Testo di Antongiulio Vergine
La quinta personale presentata alla galleria Kaufmann Repetto di Milano, dedicata all’artista americano Billy Sullivan, è un viaggio nell’intimità. La mostra, visitabile fino all’11 gennaio 2020, mette in scena lavori che coprono un arco temporale di quasi cinquant’anni, dal 1971 al 2019. Gli oli, i pastelli e gli inchiostri rievocano un passato che è già presente, scavano nei ricordi e nei trascorsi personali dell’artista. L’intero corpus di opere assume le forme del diario personale o dell’album di famiglia e riflette sulla forza evocativa del ritratto: le “muse” sono le persone più care, gli amici ripresi in momenti di ordinaria quotidianità.
Il ricordo costituisce il perno attorno al quale si è sempre mosso il lavoro di Sullivan. Non è un caso che la fotografia sia il punto di partenza della sua pratica: essa, infatti, costituisce il medium per eccellenza nel caso di operazioni quali il recupero e la memoria, essendo in grado di evocare quella “presenza dell’assenza” ben descritta da Edgar Morin. La fotografia riveste dunque un ruolo fondamentale nella ricerca dell’artista, che la utilizza come modello per dar vita alle sue opere. Il risultato, però, è fortemente filtrato dalla su interpretazione personale che lo conduce ad una sintesi espressiva fondata sull’impiego di colori accesi e pennellate decise.
Nella prima sala, il racconto per immagini di Sullivan comincia con un autoritratto insieme all’allora moglie Amy del 1971 e termina con Lea and Mike, ritratto di una coppia in spiaggia del 2019. L’approccio voyeuristico dell’artista si percepisce fin da subito: il suo occhio si sostituisce a quello della macchina riprendendo momenti di pura intimità alternati ad altri più distesi e giocosi. Come nel caso della migliore fotografia di raportage – Robert Frank è uno dei suoi fotografi preferiti – Sullivan congela alcuni istanti della sua vita: tra i vari ritratti si scorgono quelli del curatore Klaus Kertess – diventato poi suo marito –, dello stilista Kenzo, della modella Naomi Campbell e dell’artista Lawrence Weiner. Predomina, come in un album di famiglia, la componente intima che infonde un carattere schietto e sincero e sollecita, in chi guarda, un senso di curiosità e immedesimazione.
La seconda sala è composta invece da lavori più recenti: tra questi si notano il ritratto dell’artista John Giorno, quello della coreografa Trisha Brown e dello stilista francese Irié. In queste opere la dimensione quotidiana è sottolineata dai contesti domestici nei quali si trovano i protagonisti, fissati in pose disinvolte e naturali. Lo sguardo di Sullivan rivela una certa freddezza, figlia del mezzo fotografico impiegato – e forse anche dell’esperienza trascorsa presso la cerchia di Andy Warhol –, ma tale distacco viene attenuato dall’aura fresca e brillante che avvolge i dipinti. In un’intervista, Sullivan affermò di essere affascinato da Manet e Soutine – si reca spesso al Musée de l’Orangerie ad ammirare le loro opere – e di essere stato influenzato dall’amica Joan Mitchell: osservando i suoi dipinti, si scorgono in effetti tutte queste radici – riscontrabili nella scelta di colori limpidi e vivaci e nell’utilizzo di pennellatte corpose e vibranti – il tutto, però, permeato da una sensibilità propria, da una visione libera e sincera, come il rapporto che lo lega ad ogni singola persona ritratta.
Ogni personaggio si mette a nudo davanti ai suoi occhi e Sullivan fa lo stesso con noi, mostrandoci spaccati di vita privata. Come nella fotografia, predomina il gioco degli sguardi, con l’occhio dell’artista che si sostituisce a quello della macchina e l’occhio dello spettatore che prende il posto di quello dell’artista. In Muses, però, non vi è alcun intento di trasmettere impassibilità: ciò che traspare è il coinvolgimento dell’artista nel ritrarre le persone che gli sono più vicine, il sentimento che lo lega ad esse e che riaffiora ogni qual volta si tenti di ripescare i ricordi dalla memoria. È ciò che accade, in fondo, quando si sfoglia un album di famiglia.
Billy Sullivan – Muses
Kaufmann Repetto, Milano
Dal 21 novembre 2019 al 11 gennaio 2020