Testo di Serena Correale —
“L’Europa è un giardino. Abbiamo costruito un giardino. […] Il resto del mondo, […] la maggior parte del resto del mondo è una giungla, e la giungla potrebbe invadere il giardino. I giardinieri dovrebbero prendersene cura, ma non proteggeranno il giardino […] la giungla ha una forte capacità di crescita, e il muro non sarà mai abbastanza alto per proteggere il giardino. I giardinieri devono andare nella giungla”.
Questo è il discorso di Josep Borrell, l’Alto rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza; parole che sentiamo risuonare nelle sale di Prometeo Gallery Ida Pisani, in occasione della mostra personale di Santiago Sierra (Madrid, 1966), LA VORÁGINE visibile fino all’8 marzo (con testo di Marco Scotini).
E’ discorso che parla di preservazione e protezione, ma che al contempo rivela un pensiero razzista, che viene ripetuto come un mantra all’infinito, nell’opera The Maelström (2023) letteralmente “il vortice”.
La proiezione – dalla durata di 35 minuti – è la rielaborazione di un video girato da Sierra in Gambia nel 2023, e mostra 48 giovani della locale squadra di calcio Tallinding United che ripetono, uno dopo l’altro, le posizioni di arresto poliziesche, come fossero esercizi di allenamento. I giovani simulano le azioni dei primi 2.000 detenuti imprigionati nell’enorme carcere di Tecoluca, nel Salvador. Le riprese dal forte impatto sociale, appaiono capovolte e in bianco e nero e fanno riferimento alla tematica di violenza da parte delle forze dell’ordine, sottolineando l’abuso di potere che molto spesso avviene nelle carceri. Proseguendo nella visione, il video acquista mano a mano velocità, con riprese specchiate e caleidoscopiche dei corpi in movimento visti non più da una visione frontale, bensì dall’alto. Una sorta di danza forzata, dove i protagonisti creano con il loro corpo forme inserite in schemi più ampi, seguendo il ritmo dell’unica frase ripetuta, talvolta dalla voce distorta e velocizzata, immergendoci sempre più dentro questo caleidoscopio infernale, arrivando all’apice della sua velocità e poi il silenzio.
Un video allucinato e assolutamente sconfortanteche crea malessere, disagio e stordimento, ma impone una forte riflessione. I volti dei protagonisti, come nella maggior parte delle opere di Sierra, non vengono mostrati.
Benché ci sia la volontà da parte dell’artista di preservare l’identità dei suoi protagonisti, oscurandone molto spesso i volti, nei suoi lavori svela apertamente le reti di potere, lo sfruttamento dei lavoratori, l’ingiustizia dei rapporti di lavoro, nonché la disonesta distribuzione della ricchezza prodotta dal capitalismo, unita alla discriminazione razziale in un mondo segnato da flussi migratori unidirezionali (sud-nord).
Il suo interesse volge inoltre verso argomenti quali la guerra, le vittime dei conflitti e le minoranze etniche.
La forza del mio lavoro è che non ha morale, non arriva a nessun risultato e obbliga lo spettatore ad assumere una sua posizione, senza modelli. Lo spettatore del mondo dell’arte mainstream si rivolge all’arte cercando di essere impegnato e cool allo stesso tempo: cerca modelli. Nelle mie opere si parla di lui, non di me” dichiara l’artista in un’intervista rilasciata nel 2019.
Proseguendo al piano terra della galleria troviamo la seconda opera in mostra Los Embarrados (2022), un’azione per molti criticata perché commissionata da un brand di alta moda spagnolo, in occasione della Fashion Week di Parigi 2022 (Sfilata di Balenciaga). Per quanto possa essere vista come un’opera controversa, anch’essa approfondisce tematiche relative alla complessità degli ambiti lavorativi e sottolinea, molte delle dinamiche affrontate dall’artista. Il lavoro di 1.300 operai per una scenografia composta da 275 metri cubi di fango che copre uno spazio di 2414 metri quadri viene racchiuso da Sierra in cinque fotografie, in bianco e nero dalle dimensioni imponenti. La spettacolarità delle immagini ci fa sentire immersi nei dettagli della scenografia, dal sentore di umido e bagnato, riuscendo a scrutare i veri protagonisti del progetto, ovvero il personale al lavoro. Ad accompagnare le fotografie troviamo, fissati a parete, i disegni tecnici che mostrano il progetto d’installazione stampati in negativo su carta fotografica, nei quali l’artista è intervenuto per simulare le parti fangose. Il concetto di traccia ha giocato un ruolo fondamentale nell’opera, per affermare attraverso le impronte nel fango, la presenza dei lavoratori che hanno preso parte al progetto.
Sierra riprende un suo precedente lavoro del 2005 House in Mud, quando ha riempito l’istituzione tedesca Kestnergesellschaft di Hannover, di 320metri cubi di terra, una miscela di fango e torba, per raccontare la vicenda storica avvenuta negli anni ’30 al lago artificiale Maschsee (Germania). Un lago creato per il volere del governo, durante un momento di disoccupazione, con il fine di convocare e far lavorare le persone disoccupate in modo che esse si sentissero vicine alle istituzioni e più facilmente condizionabile nelle scelte politiche.
LA VORÁGINE rivela due lavori, apparentemente diversi tra loro, ma che in realtà affrontano tematiche comuni di emarginazione sociale e sfruttamento. Alle opere di Sierra è affidato il compito di mostrarela sua durissima visione del mondo e dell’arte stessa. Non c’è traccia di compiacimento estetico, ma semmai una fredda osservazione della realtà. Due progetti slegati che affrontano entrambi un dualismo, come il concetto di privato e pubblico, di giardino – jungla o l’élite privata di un evento immersa nel fango del mondo esterno.
La verità è l’unica cosa che conta per Sierra, affrontata con umiltà e brutale sincerità, da colui che non si definisce neanche un artista, per non considerarsi superiore a nessun’ altro.