Ci porta lontano miliardi di anni fa, ci suggerisce l’alzare e l’abbassare delle maree, ci parla di equilibri e di genealogie, ci parla di memoria fotografica e come muta la relazione tra noi e la percezione del mondo. La prima parola che viene in mente visitando le sue mostre, o sfogliando i suoi libri, è ‘antologie’ ma anche un altra parola, forse più evocativa, florilegio: FLOS, FLORIS e LEGIUM, da lèggere, scegliere, cogliere… eleggere.
Al di la della perfezione delle sue fotografie, dei tagli e degli ‘impaginati’ particolari, al di là degli allestimenti studiatissimi, delle invenzioni espositive, c’è un aspetto che ho sempre ammirato della ricerca di Armin Linke: la sua maestria nel scegliere o, per tornare alla parola che mi piace tanto, eleggere un’immagine rispetto alle infinite altre. Nella bella mostra ospitata da Vistamare a Milano (fino al 14 settembre), Linke da prova di stupirci ancora una volta davanti alle sue visioni.
Il titolo suona come un invito: La terra vista dalla luna. Suggerisce di immaginare l’immaginabile: l’immensa distanza che ci separa dall’oggetto luminoso più grande del nostro cielo notturno, la luna. Una luna però già filtrata da una manipolazione, già trasformata e costruita da una visione scientifica; Linke fotografa una ‘documento’ del INAF (National Institute for Astrophysics) Firenze. Non punta l’obbiettivo verso il cielo, ma filtra una visione scientifica, elaborata per essere funzionale e istruttiva. Ma grazie al sapiente chiaroscuro e alla visione frontale, il fascino del pianeta non viene meno, anzi.
Nella grande sala espositiva della galleria, dialogano con la luna, tre visioni: la natura addomesticata di una piantagione in Indonesia, il modello in scala della Alpi in un Politecnico a Losanna e una piccola foto che ci mostra il Barcelona Pavilion progettato da Ludwig Mies van der Rohe e Lilly Reich a Barcellona. Una selezione di immagini che si completano con tre altre visioni provenienti da Leida, le Indie Occidentali e Iraq.
Visioni che, come costellazioni, raccontano ciò che Linke ha compreso in decenni di viaggi, scoperte e nella costruzione di un archivio che conta oltre seicentomila immagini: un numero sorprendentemente grande, direi quasi infinitamente grande.
In queste prima sette ‘visioni’, ma potremo citare anche il resto delle fotografie in mostra, dalla Fontaine du Palmier in Place du Chatelet a Parigi scattata nel 1981 allo scatto più recente (2022) alla Certosa di San Martino, agli scaffali della Specola a Firenze (2008); al dettaglio di Palazzo Abatellis a Palermo ai lingotti del caveau a Balerna in Svizzera. Luoghi e momenti diversi che cercano di rispondere ad un complessa ed enigmatica domanda: come la scienza e la tecnologia, ma anche l’economia e la politica, hanno prodotto le trasformazioni in corso del pianeta? Ma non solo, come la nostra percezione della realtà è condizionata da queste grandi, ma al tempo stesso, impercettibili trasformazioni?
“Sono interessato a come il processo di archiviazione metta alla prova le immagini, obbligandoti a pensare se la singola fotografia possa sopravvivere alla motivazione che spinge a scattarla in un determinato istante e se, conservata nel tempo, sappia aggiungere ulteriori livelli di lettura ai quali non avevi pensato al momento della ripresa.” Spiega Linke.
Nella selezione di opere in mostra, realizzate dal 1981 al 2023, l’artista riflette se la fotografia può sopravvivere alla motivazione che spinge a scattarla: va dunque oltre la narrazione, la forma, per cercare di capire cosa cela l’enigma della visione stessa. Ecco allora che uno scatto come quello al Museo di Babilonia in Iraq del 2002, che mostra delle comode poltrone a fianco di un vetusto condizionatore e a una bizzarra selezione di Torri di Babele di epoche e stili differenti, racconta più di ciò che mostra, suggerisce più di ciò che rivela. Un condizionatore, delle poltrone, il deserto vicino e l’immagine metaforica dell’arroganza dell’uomo che sfida la natura di Dio.
E’ come se Linke fosse giunto ad una possibile teoria: “la natura è troppo complessa, troppo vasta perchè la mente umana possa affrontarla. Va dunque rimpicciolito e semplificata, riducendola a una specie di casa delle bambole.”
(frase di Lorraine Daston, raccolta nel catalogo della mostra al PAC di Milano dal titolo: Armin Linke. L’Apparenza di ciò che non si vede. (2016-17).