ATP: Nella mostra che curi al Castello di Rivoli, ‘La storia che non ho vissuto (testimone indiretto)’, hai invitato una serie di artisti italiani accumunati dall’interesse per la storia del nostro paese: Francesco Arena, Rossella Biscotti, Patrizio Di Massimo, Flavio Favelli, Eva Frapiccini, goldiechiari e Seb Patane. Come motivi questo loro interesse?
Marcella Beccaria: In molte opere e nelle tante discussioni che ho avuto con gli artisti durante la gestazione della mostra, è emerso il pensiero che per avere una più profonda comprensione del presente bisogna sempre guardare al passato. Gli artisti invitati, le cui metodologie e linguaggi sono molto differenti tra loro, sono accumunati da questa ricerca e comprensione per i fatti storici italiani contemporanei. Ho notato che li lega un desiderio comune di capire le ragioni storiche di molti fatti, per cogliere anche un ‘sentire’ comune che prescinde dalla loro esperienza. Cercano una chiave di lettura del presente attraverso le vicente – spesso drammatiche – del passato.
ATP: Ho notato che spesso, anziché essere oggetti di indagine, le opere degli artisti da te invitati, sono delle interpretazioni o suggestive forme di rappresentazione dei fatti. Questi artisti non rischiano di fermarsi alle apparenze e di eludere la sostanza di molti importanti fatti storici?
MB: E’ una domanda difficile da rispondere anche perché si apre la grande questione dell’interpretazione dei fatti storici. Un libro che ritengo importante per come ho fatto crescere questa mostra è stato ‘Il giudice e lo storico. Considerazioni in margine al processo Sofri’ di Carlo Ginzburg. Il giudice non dovrebbe scrivere la storia e lo storico non dovrebbe giudicare. Un libro è nato da tante considerazioni in margine al processo Sofri. I processi giudiziari sono stati in Italia un proscenio sul quale questi due ruoli si sono pericolosamente confusi. Io aggiungerei al ruolo del giudice e dello storico, anche la figura dell’artista. Secondo me esiste una ‘verità’ e un ‘metodo dell’artista. L’opera d’arte diventa il frutto di un’autonomia metodologica non portatrici vi verità assoluta, bensì di un punto di vista sulle vicende passate. Emergono allora anche nelle opere in mostra a Rivoli, dei continui tentativi ben lontani dal diventare delle indicazioni unidirezionali sulla lettura dei fatti. L’attitudine degli artisti di fronte alla storia si è rivelata allora come un’azione di interrogazione e non tanto di interpretazione. Ogni artista ha interrogata una certa vicenda in modo soggettivo e autonomo, ben lontano da dare risposte come verità ultime. Ogni opera tenta – magari con diverse intensità – di alimentare un dibattito e di porre interrogativi.
ATP:Perché proprio adesso una mostra con temi di questo tipo?
MB: Più volte mi sono chiesta, vedendo tante mostre di artisti italiani contemporanei, come mai nessun curatore abbia posto l’accento su una certa produzione artistica legata a tematiche storiche. Facendo molte ricerche mi sono accorta che gli artisti invitati erano tutti accumunati da un profondo interesse per questi temi. Ovviamente la selezione non è esaustiva e non pretende di essere tale.
ATP: Molti dei temi che hanno scelto – ben descritti in sintesi nel testo di presentazione alla stampa: “ Dalle ambizioni colonialiste, agli anni di piombo, alle stragi, ai poteri oscuri, le opere prodotte da questi artisti si riferiscono spesso a eventi tragici, tuttora scomodi, la cui ombra si allunga sul presente, continuando talvolta a dividere l’opinione pubblica.” – riguardano fatti antecedenti alla loro nascita. Discutendo con loro, hai percepito che molti di questi drammi pesano ‘realmente’ sulla loro sensibilità e coscienza?
MB: Sì, uno degli aspetti che lega gli artisti invitati è il fatto di non aver vissuto in prima persona molte vicende che poi, trattano nelle loro opere. Quasi tutti loro hanno appreso molti fatti drammatici della storia italiana attraverso documenti, articoli, libri, film ecc. Molte opere, infatti, sono il frutto di ricordi mediati.
ATP: Non ti nascondo che ho non pochi riserve per come vengono spesso ‘illustrati’ molti dei fatti drammatici che citavamo poco sopra. Nel senso che spesso ho la sensazione che le opere si perdano in evocazioni poetiche – quando non platealmente romantiche – perdendo di vista quello che invece dovrebbe forse essere: interrogativi che devo farci riflettere. Pensi che questa mostra avrà questo obbiettivo? O quale avrà, secondo il tuo punto di vista?
Marcella Beccaria: Sicuramente una degli obbiettivi sottesi alla mostra è quello di porre al pubblico delle domande. Interrogativi che ogni persona risponderà attraverso il proprio vissuto e la propria esperienza o conoscenza dei fatti. I visitatori saranno di età molto diverse e a seconda del proprio vissuto, ricorderanno o ricostruiranno le vicende storico a seconda anche del loro credo politico o della loro cultura.
ATP: Hai individuato come gli artisti si sono relazionati alle vicende storiche?
MB: I metodi sono stati tanti, così come i mezzi espressivi. Ci sono artisti che hanno letto la storia recente attraverso la propria esperienza personale, scandagliando il proprio io. Ad esempio Flavio Favelli – presente con una grande opera riguardante la vicenda di Ustica – ‘racconta’ questo fatto attraverso il ricordo di quel periodo. Era un ragazzino in vacanza con i proprio nonni, allontanato dalla propria famiglia per delle vicende non felici. Flavio allora, sovrappone i ricordi che aveva della propria vita da bambino, con le drammatiche vicende di Ustica. Anche Seb Patane ha lavorato su un’esperienza personale, in particolare, sul dialogo con la madre. Quest’ultima, da giovanissima, era stata iscritta ai Figli della Lupa, un’organizzazione ideata dall’Opera Nazionale Balilla. L’opera di Patane, ripercorre i ricordi della madre che, tra memorie e dimenticanze, ricostruisce quel periodo. Francesco Arena, invece, nella sua quasi ossessione, per i numeri, le geometrie, le precise aritmetiche, svolge un’indagine storica per approssimazioni. Parte da dati esatti, recuperati da documenti reali, per dar vita ad opere che richiamano alcune vicende. Patrizio di Massimo cerca di interrogare i fatti storici, così come i documenti rimasti o ritrovati di certe vicende. Cerca di mettere in dubbio chi la registrato o documentato alcune vicende… punta dunque il dito sulla legittimità di ‘fare’ la storia, di scriverla e documentarla. Rossella Biscotti espone più opere e una in particolare ci tengo a segnalare perché nasce dalla collaborazione con il Cinema Massimo a Torino. Ogni sabato sera, sarà proiettato prima dell’inizio della pellicola in programma, un suo intervento che riguarda una famosa citazione di Benito Mussolini: “La cinematografia è l’arma più forte.” Eva Frapiccini ha lavorato con il mezzo fotografico, cercando i luoghi in tutta Italia dove sono avvenuti gravi omicidi durante gli Anni di Piombo. Compie una sorta di interrogazione sulle tracce lasciate da quelle sanguinose vicende. In alcuni casi in questi luoghi non è rimasto nulla, quasi neanche il ricordo. Ecco allora che concetti come dimenticanza, memoria, sparizione, rimosso, sono temi che – in relazione alla ‘storia’ – diventano di estrema importanza. Anche Goldiechiari, lavorano sul concetto di ‘traccia’, in relazione al lorovissuto personale e alla loro coscienza politica. Espongono dei collages dove intersecano vicende molto conosciute, accanto a fatti meno noti o completamente dimenticati.
Francesco Arena, Rossella Biscotti, Patrizio Di Massimo, Flavio Favelli, Eva Frapiccini, goldiechiari e Seb Patane, sono i protagonisti de La storia che non ho vissuto (testimone indiretto), individuati quali rappresentativi di una nuova generazione di artisti italiani che individua nella storia del nostro Paese il proprio oggetto di indagine. Articolate in un’ampia varietà di forme e scelte linguistiche, le opere in mostra sono incentrate su alcuni tra i momenti che hanno tragicamente segnato l’Italia nel corso del Novecento.
La mostra è a cura di Marcella Beccaria
Castello di Rivoli, fino al 18 novembre 2012.
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