La presenza dell’assenza del signor F in contemplazione di una personalissima idea di bellezza, 2012 – luce, tetraedro
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Ma andiamo per ordine.
Mi sono cercata il significato del titolo della mostra, Chora: dal greco, ‘regione’, la parte fuori dalle mura della polis; era il luogo dove i contadini coltivavano i campi e si dedicavano all’agricoltura. Ma forse mi sbaglio e prendo una direzione sbagliata rispetto a quella dell’artista…
L’artista, da comunicato stampa, mi invita ad immaginare la mostra come una sorta di spettacolo di illusionismo, quelli che andavano di moda a fine ‘800. In realtà, andando così indietro nel tempo, non posso che avere qualche sfuggente immagine cinematografica, magari anche sbagliata.
Oltre a questo, a complicare ancor più le cose – dopo aver visto la mostra – c’è anche un testo scritto da Giulio, PITTURA. Con molto semplicità, l’artista esordisce ponendosi un quesito: come e perchè l’uomo ha cominciato a dipingere. Stimolata, riapro un vecchio testo universitario (De Vecchi – Cerchiari) e cerco la prima immagini da cui si fa partire ‘tutto’. Tutto inizia dal Bisonte Ferito – pittura rupestre – 13.000 11.000 a.C. Grotta di Niaux (Ariège): “L’arte del Peleolitico è essenzialmente naturalistica, tende cioè alla riproduzione del reale, proprio perchè attraverso le raffigurazioni si manifesta espicitamente la volontà di dominare la realtà, che deve quindi presentarsi come ben identificabile e riconoscibile”.
Non so se ho risposto alla sua domanda. Forse mi sbaglio di nuovo e prendo una direzione sbagliata… Forse la sua è una domanda retorica. L’artista cita Plinio secondo il quale la pittura ha avuto origine nel momento in cui sua figlia ha tracciato il profilo del suo innnamorato prima che partisse.
La cosa che più mi lascia sorpresa è il motivo per cui l’artista innalza la pittura a linguaggio ‘divino’ (‘La Pittura è capace di sfondare i muri facendo posto alla Visione’, scrive Giulio), quando poi la rinchiude dentro un teatro del mistero e dell’illusione. Come se la Pittura (P maiuscola) avesse bisogno di stampelle e cornici e occhi di bue…
Mimesi? Verosomiglianza? Inganno? Sembra che leggendo il testo, l’artista parli di una pittura gestuale e istintiva che non di una tecnica che diventa un mezzo di rappresentazione come un altro.
I quadri di Frigo trasfigurano e deformano la realtà: guardandoli bene, mi ricordano De Dominicis, Bacon e, per spostarci più prossimi all’oggi, Roccasalva (un eccellente pittore non-pittore).
Penso che la pittura, più di altri linguaggio, abbia bisogno non tanto di ‘nero/mistero’ attorno, bensì di tanto silenzio. Non va nè spiegata nè raccontata. E’ intenso pensare che non abbia una vera e proprio origine.. una grotta, degli animali, delle ombre, l’amore, la scienza o la committenza.
Tiro una tenda nerissina e i miei occhi si strizzano all’improvviso. Nella sala adiacente a quella principale, una luce bianchissima quasi mi traumatizza. La stanza è vuota. No, non è vuota. Appesi al soffitto con sottilissimi fili trasparenti, dei piccoli semi.
Dimenticavo. C’è anche un timer con un conto alla rovescia. Non ho avuto la prontezza di chiedere a cosa si riferisse.
(La mostra è) “un ultimo artificioso tentativo di salvaguardare la poesia dell’esperienza del mistero.” da CS.
Penso che la vita è un mistero irrisolto continuo e costante. Giulio non ti preoccupare troppo, possiamo ancora stare tranquilli o, meglio, inquieti.
Dimenticavo. A scanso di equivoci: Giulio Frigo resta uno tra gli artisti giovani italiani tra i più promettenti. La mia non è una critica nè personale nè dettata da nessun rancore. La sua mostra mi ha lasciato un pò perplessa. Ho espresso alcuni dubbi e mi auguro che servano a rendere più interessante e dialettico il suo lavoro.