Testo di Marta Acciaro —
Su Palermo sono state scritte impressioni stampate su carta, edite in libri più o meno conosciuti al pubblico. Di Palermo sono stati fotografati dettagli, inerenti o meno la mafia. I vicoli, le storpiature.
Con Palermo decine di pittori hanno potuto vivere la contraddittoria luce che si staglia in questo lutto perenne, per dirla alla Bufalino, che chi non è di Palermo non è facile che riesca a sentire
Eppure ci sono casi, rarissimi, in cui persone, artisti dall’ampia sensibilità che – pur non essendo natii di questi luoghi dall’anima desolata e dalla voce grossa – riescono a tracciare in modo disarmante tutte quelle sfumature tonali e materiche che stratificano questa città.
Alla Francesco Pantaleone Arte Contemporanea abbiamo il sottile piacere di vivere un’esperienza di questo tipo, estremamente singolare e non di facile comprensione di primo acchito, grazie al lavoro di Keiran Brennan Hinton.
La mostra, inaugurata il 9 Novembre 2019, richiede un tempo lungo per essere compresa e ‘digerita’, proprio per la magmatica carica pittorica che l’artista è riuscito a far sedimentare nelle tele.
Come ci informa Agata Polizzi, nel suo attentissimo pensiero dell’opera, “Rear Window è il risultato della residenza d’artista di Keiran Brennan Hinton a Palermo […] [che] da giovane artista canadese con una solida educazione statunitense, prova a integrarsi in una cultura potente eppure distante, cercando di scoprire e decifrare un modo progressivo un universo che è culturalmente e storicamente diverso dal proprio”.
Le 14 opere presenti in mostra si dividono in due (approssimate) dimensioni: ci sono le tele di grandi dimensioni (massimo sui 150 cm x 180 cm) e un serie di le tele di dimensioni molto più piccole.
Spostandosi in questi due differenti formati, Hinton ci offre due visioni differenti di Palermo.
Nelle opere di grandi dimensioni vi è un incontro assolutamente pensato dell’artista con la città: un modo del tutto personale di vedere, una visione totalmente altra da quella consuetudinaria che mettere in dialogo la propria tradizione culturale con quella appena scoperta. Sono 5 (di cui 2 notturni) le tele iperstratificate, dense di una pittura quasi “a levare”. L’iperstratificazione stessa non ci appare come materica e dimensionale, ma è affrontata cartellonisticamente (quasi alla Manet) sul supporto.
Avvicinandoci, soprattutto ai notturni, possiamo percepire visualmente ogni pennellata, in un percorso processuale matericamente lungo che non sembra però incidere in una tipo di pittura che “mette”, ma che “toglie”. E’ notevole la maestria tonale, gli accostamenti coloristici, le trasparenze, le linee morbide che entrano in relazione con le linee spezzate in un equilibrio visuale (ed emozionale, aggiungiamo).
Vi sono poi le seconde opere, quelle di piccole dimensioni. A differenza di quanto detto, questi dipinti si presentano con delle visioni più istintive, quasi fossero spersonalizzate dallo stesso artista e la visione non fosse più neanche la propria. Sono quadri molto differenti, rispetto a quelli di più ampio respiro, non solo nelle dimensioni ma nel modo di trattare toni e matericità pittorica. La comprensione di queste ‘aperture’ è molto più diretta e viscerale, quasi portassero la realtà ad un altro livello di percezione. Rappresentano tutte delle entrate (o delle uscite): degli attraversamento che spingono la visione verso un perenne ‘altrove’, un aldilà indefinito.
È sempre Agata Polizzi a descrivere giustamente questi lavori come “riattivatori” della decadenza circostante. Si sente puzzo di chiuso, di calcinacci e polvere, di spazi tipicamente palermitani, svuotati persino del proprio nulla.
La mostra sarà visitabile presso la sede dei Quattro Canti della galleria Pantaleone fino al giorno del finissage, il 25 Gennaio 2020.