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La fine dell’Umanesimo di Pierre Huyghe | Punta della Dogana

Concepita dall’artista francese insieme a Anne Stenne, l’esposizione presenta opere inedite accanto a lavori degli ultimi anni, scelte, queste ultime, per avvalorare un interrogativo che da alcuni anni guida la ricerca di Huyghe: il rapporto tra umano e non umano
Pierre Huyghe Liminal, 2024 – ongoing Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe Liminal, 2024 – ongoing Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe Liminal, 2024 – ongoing Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

Luoghi di transito e connessione, luoghi impersonali, immaginari che generano un senso di smarrimento. Con spazi liminali si descrivono quei luoghi o situazioni di passaggio, ma si allude anche a luoghi reali o fittizi che, banalmente, possono infondere inquietudine o smarrimento. Hanno qualcosa di famigliare, ma allo stesso tempo manca un appiglio che ce li renda confortevoli o accoglienti. Luoghi senza empatia che ci calano in una dimensiona straniante, ci sollecitano a trovare una via di fuga, per cercare uno spazio più accogliente o consolatorio.

La mostra di Pierre Huyghe, ospitata fino al 24 novembre a Punta della Dogana, suscita esattamente queste sensazioni di disagio, dove all’oscurità reale – la maggior parte degli spazi è immersa nel buio – si somma un’opacità intellettuale che, come i nostri corpi, spesso brancola nel buio. Liminal non è una mostra facile e comprensibile che coinvolge e intriga: è più una dimensione speculativa che invita, ripeto, a brancolare in un buio concettuale che a volte affascina e a volta disarma.
Concepita dall’artista francese insieme a Anne Stenne, l’esposizione presenta opere inedite accanto a lavori degli ultimi anni, scelte, queste ultime, per avvalorare un interrogativo che da alcuni anni guida la ricerca di Huyghe: il rapporto tra umano e non umano e il loro essere in contrasto o complementari, che genera una serie di opere che l’artista considera “finzioni speculative”. Le finzioni sono “veicoli per accedere al possibile o all’impossibile – a ciò che potrebbe essere o non potrebbe essere”.
Snodata tra stanze buie, riverberi filmici e presenze mormoranti strani linguaggi, la mostra corrobora una tesi che ha dell’inquietante: il genere umano sembra soverchiato da una forza oscura e incontrollata; l’umanesimo oramai al tramonto è raccontato mediante impulsi e sensori, immagini sfocate che condensano idee altrettanto opache oppure surreali paesaggi, dove domina una macabra luce tanto cristallina quanto assurdamente abbagliante. Le opere in mostra, con questa premessa, diventano meccanismi dove probabilità, chiarezza e comprensibilità giocano per garantire la fondatezza stessa dell’opera.
Già dalla prima grande video installazione, opera che dà il titolo alla mostra, Liminal (2024), l’artista ci immerge, per empatia, in uno spazio lunare, senza fondo e orizzonte. In un’atmosfera siderale appare la figura di una donna, senza volto, senza cervello, nuda. Si muove lenta e circospetta, compie gesti frutto di un calcolo sommatorio: la presenza femminile e lo stesso ambiente sono il frutto di sensori presenti nell’ambiente fisico o stimoli provenienti dall’esterno. Specchio opaco di una realtà umana che ha dell’incomprensibile per mille motivi, questa presenza inquietante, non priva di una strana bellezza, diventa lo specchio di un pensiero per niente consolatorio. La visione dell’essere umano che Huyghe ci restituisce è sintetizzata in una presenza spettrale, lenta e muta, poco comunicativa che, priva di occhi, ci impedisce di accedere allo “specchio dell’anima” lasciandoci appunto, in questa zona liminare, desolante.

Pierre Huyghe UUmwelt, 2018–ongoing Courtesy of the artist; © Kamitani Lab / Kyoto University and ATR © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe, Zoodram 6, 2013, Courtesy Staatliche Museen zu Berlin, Nationalgalerie, 2015 purchased by the Freunde der Nationalgalerie © Pierre Huyghe

Nel film Human Mask (2014), l’artista ci porta sempre in una terra desolata – nei dintorni della città di Fukushima (Giappone) – questa volta reale in quanto devastata dal terremoto e dalla catastrofe nucleare del 2011. Qui una scimmia indossa la maschera di una bellissima bambina e, addestrata, ripete in modo quasi meccanico dei gesti semplici e ripetitivi come toccarsi i capelli o la maschera che indossa. Lo scollamento tra la maschera dalle fattezze incantevoli, saperla indossata da una scimmia e l’ambiente, silenzioso e deserto, crea una crescente e inspiegabile inquietudine. 
La sala successiva, sempre caratterizzata dalla costante penombra, ospita quattro acquari dalle diverse dimensioni, concepiti come un “corpo diffratto nello spazio. Ognuno di essi è un ambiente popolato da entità diverse”. Abitati da forme di vita quali granchi di vario genere, conchiglie, stelle marine, anemoni, che ‘dialogano’ con una conchiglia di resina della Musa dormiente (1910) di Costantin Brancusi, con il modello in cemento della scansione di una caverna, con il modello, sempre in cemento, di una figura sdraiata (quella esposta nel parco Karlsaue di Kassel in occasione di Documenta 13 nel 2012), rocce galleggianti e alghe. In questi ambienti, naturale e artificiale si intrecciano a citazioni dalla storia dell’arte (Brancusi) ma anche con i residui del genere umano (la figura sdraiata) in un ecosistema lento e imprevedibile, cangiante e bisognoso di continue cure e attenzioni. Spettacolare Cambrian Explosion (2013): una enorme roccia galleggiante che sembra muoversi incongruamente rispetto alla forza gravitazionale. In questo acquario, tra la sabbia nera, vivono due specie antiche apparse 540 milioni di anni fa, da cui ha avuto origine la maggior parte delle forme viventi.

L’immersivo Cubo in cemento armato, posto nell’ambiente centrale a doppia altezza di Punta della Dogana, ospita Camata, un film autogenerato e montato in tempo reale dall’intelligenza artificiale. Le immagini scorrono senza né capo né coda, sempre diversamente montate, generando una narrazione circolare che non si esaurisce mai. Il film mostra, con una messa a fuoco strepitosa, il ritrovamento di uno scheletro umano emerso parzialmente dalle sabbie, di quello che è considerato il deserto più antico e arido del pianeta, Atacama in Cile. Alcuni macchine riprendono quel che resta di un corpo umano, compiendo una sorta di rituale sconosciuto; indugiano nella ripresa di alcune parte del corpo, femori, falangi, rotule e cranio, restituendoci una sorta di paesaggio macabro in un più ampio paesaggio sconfinato, terra di nessuno senza vita e speranza. La crudezza dell’ambiente ricorda vagamente gli spazi visionari dei quadri di Yves Tanguy, dove alla precisione iperrealistica, si intrecciava la misteriosa mollezza delle atmosfere oniriche.

Tra una stanza e l’altra, per accrescere la sensazione di continua trasformazione e ibridazione, si aggirano figure vestite di nero che indossano delle maschere con schermo LED dorate. L’opera è Idiom: una figura sconosciuta che si auto-genera e si sviluppa in tempo reale. Le maschere sono provviste di sensori che rilevano stimoli e informazioni ambientali e li traducono in fonemi incomprensibili. Avvicinandosi a queste misteriose presenze, si ha la sensazione di essere osservati, compresi e digeriti da una macchina superiore ed evoluta che ci trasforma in un idioma sovraumano ancora tutto da decifrare.

Pierre Huyghe Camata, 2024, Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe Camata, 2024, Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023
Pierre Huyghe Camata, 2024, Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Pierre Huyghe, by SIAE 2023

Le sale superiori ospitano Offspring (2018), un meccanismo auto generante che apprende continuamente dalle condizioni esterne che influenzano il suo comportamento, generando così una serie di fasci luminosi in continuo mutamento. L’ambiente formalmente ricorda una piccola sala da ballo dove fasci di luce di colore diverso, sembrano seguire una indistinta trama musicale che non ci è dato sentire. Inevitabile, però, immaginarla.
Con il film De-extinction del 2014, Huyghe ci fa viaggiare attraverso una pietra d’ambra che racchiude due insetti durante l’accoppiamento. Le riprese indugiano nella pietra dura che, ingrandendo in modo esponenziale i dettagli, sembra galleggiare nella materia dorata della pietra trasparente. Girato con telecamere macroscopiche e microscopiche, la pietra d’ambra materializza lo spazio e il tempo che ci separano dai due antichi esemplari risalenti a un milione di anni fa.
Chiude la mostra una grande ambientazione che ospita UUmwelt – Annlee, 2018-2024.
In un’ambientazione distopica, dove la pavimentazione è stata coperta di sabbia in modo non uniforme, tra buche e asperità, si erge un grande schermo che mostra immagini che sono originate dalla mente di un essere umano. L’attività cerebrale è fotografata nel momento in cui la persona sta immaginando Annlee, personaggio anch’esso immaginario. Uno alla volta, una rete neurale profonda ricostruisce ciascun pensiero e le immagini sono costantemente ricostruite e modificate senza sosta da fattori esterni come luce, temperatura e, non ultimo, lo sguardo di noi spettatori. Davanti a questo schermo dalle immagini liquide e baluginanti, un ammasso di materiale sintetico e biologico come zucchero, resina e acciaio inossidabile. Rannicchiata o afflosciata, questa figura – ha per titolo Mind’s Eyes (2024) – è un artefatto del regno dell’immaginario, ma anziché farsi immagine come in UUmwelt, si è fatta materiale, quasi di scarto, quasi fosse in procinto di liquefarsi o, al contrario, di attirare altri materiali. Un essere decisamente conturbante, perché irrealizzato o in attesa. Torniamo alla figura che ha aperto la mostra, senza volto, cervello e volontà.

Scrive il filosofo Tobias Rees in merito all’opera Human Mask”: “Human Mask rappresenta la rottura di Huyghe con l’umano. Una mise-en-scène, una spietata denuncia dell’umano come condizione di possibilità della moderna esperienza del reale. Benché fornisca una scrupolosa testimonianza dei disastri provocati dalla distinzione di umani, natura e tecnologia in categorie ontologiche a tenuta stagna, Human Mask non offre vie di scampo a tali disastri: sfuggire è impossibile, perché Huyghe aderisce rigorosamente alle tre categorie ontologiche, senza mai sconfessarle. Ovviamente, nel film non ci sono umani. Ma tale assenza non è che il riverbero della dannosa convinzione che gli umani siano superiori alla natura, in virtù del loro (supposto) monopolio del potere d’invenzione. Come a dire che non è l’umanesimo a poter offrire vie di fuga ai disastri provocati dall’umano.”

“Non voglio esibire qualcosa a qualcuno, ma piuttosto il contrario: esporre qualcuno a qualcosa. “ – Pierre Huyghe (2019)

Pierre Huyghe, (from left to right) Offspring, 2018, Pinault Collection; Offspring, 2018, Courtesy Leeum Museum of Art. Installation view, “Pierre Huyghe. Liminal”, 2024, Punta della Dogana, Venezia. Ph. Ola Rindal © Palazzo Grassi, Pinault Collection
Pierre Huyghe Umwelt—Annlee, 2018-2024, Courtesy the artist and Galerie Chantal Crousel, Marian Goodman Gallery, Hauser & Wirth, Esther Schipper, and TARO NASU © Kamitani Lab / Kyoto University and ATR © Pierre Huyghe, by SIAE 2023