

Nell’era del distanziamento sociale, la Fondazione Arnoldo Pomodoro ospita una mostra concepita e costruita ‘a distanza’. “A Perfect Shop-Front” è il titolo della mostra personale dell’artista belga Kasper Bosmans (Lommel, Belgio, 1990), primo di tre progetti a cura di Eva Fabbris che si susseguiranno nel 2021.
La mostra, nel suo insieme, è un inno alla complessità della realtà, che comprende il sistema sociale e politico, le tematiche ecologiste, il rispetto delle minoranze, la consapevolezza delle relazioni tra le persone. Questi e molti altri i temi sintetizzati in una mostra-istallazione dove l’interno dello spazio della Fondazione è trasformato in un ‘esterno’: una piccola piazza in prospettiva dove osservare una porta socchiusa, una facciata stilizzata con una seconda porta e una parete che accoglie tre piccole gouache su pannelli di pioppo. Il nostro occhio è guidato nel fondo da un fregio dipinto a pavimento che taglia a metà lo spazio in diagonale.
Pochi elementi la cui semplicità tradisce la complessità a cui facevo riferimento.
Apre la mostra l’installazione che ne dà il titolo, “A Perfect Shop-Front” (2021). L’opera consiste in una “collezione eccentrica”, composta da Bosmans dal 2014, e raccoglie quelli che lui chiama gli “Americana”. L’artista racconta, durante una conversazione con Roger Hiorns (il testo completo è contenuto nella pubblicazione pensata per questa mostra, “Project Room #13 – A Perfect Shop-Front”) – “Americana è una sezione che si trova nelle case d’asta online, caratterizzata sempre dallo stesso carattere volutamente o apertamente romantico. Con il movimento Black Lives Matter e le altre correnti emancipatrici che stanno prendendo piede, è diventata completamente obsoleta. Ovunque trovassi degli ‘Americana’ a un prezzo ragionevole, che fosse in Olanda o in Belgio, li prendevo e li conservavo insieme, fino a quando mi sono reso conto di aver creato una piccola collezione, che include anche alcuni regali, un po’ come un flâneur del collezionismo. Ho pensato che avesse senso mostrare una collezione di questo tipo proprio perché è imperfetta, non è ben fatta, ma messa insieme in un modo del tutto amatoriale. Mi piace molto che sia così. Penso che la cultura consista soprattutto in questo, ovvero nel fatto di essere direttamente influenzati dall’ambiente in cui ci si trova.”
Nella finestra-vetrina sono esposti oggetti legati alla storia politica e culturale degli Stati Uniti: libri, poster, una coperta, un quadro a olio… L’artista sorvola in modo superficiale la vastità di una cultura che non gli appartiene e la fa propria sistemandola: gli oggetti trovati sono disposti come se fossero piccoli oggetti da conservare in casa, come ce ne sono tanti, tipo souvenir e mirabilia di viaggi.



All’appropriazione di oggetti lontani, sistemati quasi a comporre un rebus da risolvere, l’artista passa ad un altrettanto misterioso enigma da decifrare: “Vermiculated Rustication” (2016), un wall-drawing che rappresenta un finto muro in pietra arricchito da un bugnato rinascimentale che oscilla tra una decorazione alla ‘memphis’ e il percorso stilizzato di un verme. Giocando sul binomio duro – nella pietra – e molle – nel materiale organico -, l’installazione va a ricoprire parti del muro che circondano la piazza.
Questa è attraversata dall’opera forse più coinvolgente dell’intera mostra, “Wolf Corridors & Stamp Forest” (2020). Realizzato secondo precise indicazioni di Bosmans da alcune studentesse – le stesse sottolineano che l’artista, non solo non ha realizzato nessuna opera in mostra, ma non ha nemmeno visto lo spazio nella Fondazione Pomodoro – il fregio dipinto illustra, stilizzato, la complessa e triste situazione degli animali selvatici nel territorio europeo.
Questi spazi, pensati come delle riserve dove destinare e proteggere gli animali dall’essere umano, in realtà non fanno altro che costringere e impedire i flussi migratori. I recinti, costruiti per proteggere, diventano delle grandi gabbie: “possiamo vedere un cervo, un daino o dei cavalli selvatici correre all’interno di questo spazio. Ma quest’area custodita esiste in realtà per delle necessità umane, non nell’interesse degli animali o della natura in generale”.
Il fregio rappresenta le silhouette stilizzate di un nastro che disegna delle piccole casette, una forbice decorata con dei piccoli mattoncini, delle strisce tratteggiate che simboleggiano le strade europee di lunga percorrenza e l’effige di lupi. Attraverso la scelta di una simbologia quasi didascalica, quest’opera vuole farci ‘deviare’ dalla sostanza dei buoni propositi che solo apparentemente sono ‘buoni’, com’è il caso delle grandi riserve degli animali selvatici.
Le stesse caratteristiche stilistiche si ritrovano nelle tre piccole gouache su pannelli di pioppo intitolati “Legend” (2020). Con le stessa metodologia dell’araldica – la scienza che analizza e interpreta gli stemmi, ne studia le fonti, l’origine e la storia – l’artista concepisce tre composizioni allusive, cariche di simboli e codici. Un cavallo, dei lupi, delle forbici, un vegetale, dei globi terresti, delle stelle, una collana spezzata. Come un gioco di specchi, le opere e la loro rappresentazione si riflettono per infittire una narrazione che sì, può avere un decorso lineare, ma può anche essere sviluppata, da noi che osserviamo, in modo molteplice e inaspettato.
Completa la mostra l’instruction piece “Lazy Susan” (2020). L’artista ha chiesto alla persona che ha seguito la nascita e lo sviluppo dell’intero progetto, in questo caso la curatrice Eva Fabbris, di scegliere una tra le sue collane e, una volta posizionata sul pavimento dello spazio, tagliarne il laccio che ne trattiene i vari elementi.
Osservatore dell’accadere contemporaneo, Kasper Bosmans, prima di avere l’ambizione di raccontarci una sua personalissima lettura della realtà, ci suggerisce un modo per darne una complessa e affascinante interpretazione, ricca di rimandi, astuzie e storie (anche impegnate) da raccontare.




