E’ in corso fino al 8 maggio 2022 la mostra Strade dell’artista Jordi Colomer, ospitata presso FMAV Palazzina dei Giardini di Modena e a cura di Daniele De Luigi. La mostra riunisce opere realizzate nel corso degli ultimi vent’anni di Colomer, in stretto dialogo con un’azione collettiva e partecipata pensata per la città di Modena: Modena Parade/Corteo Modenese consiste in un corteo che attraverserà il 27 marzo 2022 dalle ore 10.00 la città – dal Cimitero Nuovo di San Cataldo, opera di Aldo Rossi, fino alla Palazzina dei Giardini, sede della mostra – coinvolgendo la cittadinanza in un recupero catartico dell’esperienza dello spazio sociale, alla vigilia della fine dello stato di emergenza imposto dalla pandemia.
Nelle sue opere Jordi Colomer indaga la relazione tra individuo e spazio pubblico e la riappropriazione dello stesso, la percezione soggettiva della città che diventa all’occorrenza portatile, come in Anarchitekton o con la quale intrattenere un dialogo intimo, infine il processo di urbanizzazione come occupazione di spazio e ricerca di un equilibrio, perennemente instabile, tra ordine ed entropia.
In occasione della mostra abbiamo chiesto al curatore di sondare alcune tematiche affrontate dall’artista.
Elena Bordignon: Al centro del lavoro di Jordi Colomer vi è un’indagine sullo spazio, sia fisico e reale, che performativo e della rappresentazione. C’è una definizione coniata dallo stesso artista: “teatro espanso”. Ci introduci questo sua particolare esperienza?
DDL: Fin dagli inizi la ricerca di Jordi Colomer si è caratterizzata per il pensiero dello spazio, grazie agli studi di architettura e mediante la produzione di oggetti scultorei. Ben presto però la sua pratica lo ha portato a rifiutare la logica dell’arte contemplativa e a realizzare oggetti architettonici che potessero essere spostati, usati, abitati fungendo da dispositivi per coinvolgere attivamente nell’azione, su un doppio registro, tanto i performer quanto gli spettatori. Teatro espanso significa trasformare il reale in scena, generando un eco di riverberi tra ciò che accade nello spazio dell’azione e la fruizione successiva nello spazio espositivo, in modo da rendere indistinguibile – e in ultima analisi priva di senso – una distinzione tra realtà e finzione. Prendiamo New Palermo Felicissima: Colomer ha coinvolto nell’azione un’attrice, cittadini che hanno agito da performer e altri che hanno partecipato come spettatori su una tribuna montata su un peschereccio; quando guardiamo il video tratto dall’azione, siamo su quella stessa tribuna rimontata in sala e ci sentiamo parte attiva di una finzione, che per quei cittadini è stata però un’esperienza reale, con un impatto autentico sulla loro identità e memoria. L’arte investe la vita vera e nessuno se ne sente escluso.
EB: Jordi Colomer è un artista a tutto tondo. Nella sua carriera ha fatto molte esperienze in ambiti diversi, dall’architettura al teatro. Nella sua retrospettiva a Modena sono stati inclusi celebri lavori come New Palermo Felicissima e Anarchitekton. In particolare, quest’ultimo lavoro ha stretti legami con le avanguardie storiche. Di cosa si tratta e perché è un lavoro significativo?
DDL: Gli “architecton” sono sculture architettoniche astratte ideate da Kazimir Malevic, una sorta di trasposizione tridimensionale delle sue teorie pittoriche suprematiste concretizzatesi in parallelepipedi bianchi, un “grado zero” dell’architettura. Colomer unisce a questo concetto il termine Anarchia e crea così un neologismo che lo ribalta completamente, citando al contempo la ”Anarchitecture” di Gordon Matta-Clark e affondando il modernismo nel caos della vita reale. Anarchitekton è un’installazione composta da quattro videoproiezioni realizzate in quattro diverse metropoli: prima Barcellona, poi Bucarest, Brasilia e Osaka. In tutte c’è un bizzarro personaggio che corre per le strade di queste città, brandendo come stendardi delle maquette un po’ sgangherate di edifici, gli stessi che caratterizzano quel paesaggio urbano. La chiave di quest’opera è proprio l’ambiguità e l’insensatezza di quest’azione frammentata e reiterata, in cui realtà e rappresentazione non trovano punti di incontro e l’immaginario si impossessa dello spazio urbano.
EB: Colomer esplora la natura utopica dell’urbanismo delle grandi città, ma allo stesso tempo presenta la decadenza distopica e l’alienazione connessa all’architettura, mostrando come l’esistente sia fatto anche di disordine ed entropia. Quali lavori in mostra citeresti che meglio raccontano queste sue visioni?
DDL: Marie-Ange Brayer ha definito proprio Anarchitekton “una produzione di utopia”, ma in effetti è una definizione che si sposa a molte sue opere. Colomer si muove nello spazio vuoto che marca la distanza tra il progetto, l’ideale, l’Utopia con la U maiuscola della civiltà moderna, e gli infiniti modi con cui le persone vivono nella realtà i luoghi e l’architettura, alterano le funzioni prestabilite, modificano le abitudini previste rifuggendo dall’ordine costituito. Questo è il terreno delle piccole utopie realizzabili descritte da Yona Friedman, che sono state per Colomer oggetto di profonda ispirazione. Medina Parkour ad esempio, nasce da una residenza a Tetuan in Marocco dove insieme agli abitanti ha scoperto modelli alternativi di sviluppo e uso dello spazio urbano. Il lavoro mostra la possibilità di attraversare i luoghi in modo non convenzionale, mettendo in dialogo usi tradizionali dello spazio radicati nei paesi arabi con pratiche metropolitane contemporanee “ribelli” e ai limiti della legalità.
EB: Perché l’artista ha scelto come titolo della mostra ‘Strade’? A cosa fa riferimento?
DDL: Scendere in strada significa uscire dalla comfort zone dello spazio privato e individuale per fare esperienza del mondo e incontrare l’altro. È il luogo del possibile e dell’imponderabile. Possiamo usare le mappe per orientarci, ma come per Anita Tocopilla in The Istanbul Map nessuna cartografia corrisponderà mai alle nostre geografie emozionali, segnate dagli accadimenti imprevisti. Per questo la strada è centrale nel lavoro di Colomer, è luogo di conoscenza attraverso la pratica del camminare, spesso perdendosi come insegnavano i Situazionisti, è il teatro del quotidiano ma anche, come detto, lo scenario prediletto di molte sue azioni. Il titolo al plurale unisce questo significato concreto a quello metaforico: le strade incarnano la libertà di scelta, la possibilità di cercare e trovare alternative ai modelli sociali preordinati. Credo che sia intorno al concetto di strada che maggiormente prende forma la dimensione profondamente politica del lavoro di Colomer.
EB: In occasione della mostra, l’artista presenta una nuova azione performativa per “un recupero catartico dell’esperienza dello spazio sociale”. Mi racconti, nello specifico, in cosa consiste questa performance e come coinvolgerà i cittadini?
DDL: Abbiamo chiesto a Colomer più di due anni fa di immaginare un’azione pubblica collegata alla sua mostra personale. Dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19 sono emersi in modo prorompente due argomenti: da una parte la necessità di riconquistare un uso pieno e collettivo dello spazio pubblico, negato o alterato dalle restrizioni; dall’altra l’invisibilità della morte, presente ogni giorno sui media e in ogni discorso pubblico e privato, ma nascosta, emarginata, sottratta ai riti. La morte è forse il più grande tabù della società moderna e la pandemia lo ha reso ancor più evidente. Jordi ha incardinato su questi due temi la sua idea performativa, che ha preso il nome di “Modena Parade / Corteo modenese”: un corteo funebre rovesciato, guidato da un gruppo di performer in costume da scheletro, che si terrà domenica 27 marzo e che partirà dal Cimitero di Modena, dove campeggia l’iconico ossario cubico di Aldo Rossi, per approdare ai Giardini Ducali, luogo di feste fin dai tempi degli Estensi. L’evento è organizzato da FMAV Fondazione Modena Arti Visive insieme al Collettivo Amigdala di Modena. Abbiamo voluto che fosse un corteo per la città e che nascesse dalla città, abbiamo infatti coinvolto scuole elementari, licei artistici e musicali, cori e scuole di danza, ma anche cittadini attraverso un cantiere aperto per produrre oggetti, immagini e parole da portare in strada, per “mettere un costume addosso alla morte” in modo gioioso e condividere paure e speranze. Come ogni corteo, sarà una grande finzione teatrale che diventerà reale, generando esperienze e connotando lo spazio pubblico dandone una diversa percezione. Modena Parade è una versione contemporanea delle processioni nate in passato in conseguenza di pestilenze e carestie, e pone la domanda se e come sia possibile oggi reinventare una tradizione.