ATP DIARY

Jonathan VanDyke, L blue N black I green M organge K violet

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How can the language and meaning of gesture be re-thought through the practice of painting today? This is one of the questions that Jonathan VanDyke raises in his art, which melds the expressive force of gesture as presence with a sense of the contingency of bodies moving together and against one another. His practice, an expansion of painting that embraces space, gesture and multilayered visual codings, pivots around the extended dialogue between artist and his collaborators, David Rafael Botana and Bradley Teal Ellis. Looking at gesture not simply as a sign of personal agency, but as a trace of energy between deeply engaged partners, his work charts a new territory for the relevance of gestural painting in contemporary art, guided not just by innovative forms of mark-making but by deep and extended looking…

Excerpt from the exhibition essay by Allison Unruh

Ultima settimana per visitare la mostra di Jonathan VanDyke alla galleria 1/9. Nato nel 1973, VanDyke è l’autore di una performance memorabile: nel 2011 passò quaranta ore in piedi, fermo, davanti a un grande quadro di Jackson Pollock (The Long Glance). Un’azione semplice, intensa e commovente, che fonde l’amore per la pittura a una profonda comprensione dell’opera di Pollock e indaga il significato dello sguardo così come il rapporto artista/spettatore.

La presenza di Pollock è evidente anche nella mostra da 1/9: le opere esposte, che immediatamente richiamano la pratica del dripping, sono in realtà il risultato di una collaborazione tra VanDyke e la coppia di ballerini David Rafael Botana e Bradley Teal Ellis. Il processo che dà vita a queste tele è molto articolato e consiste in una serie di passaggi che all’interesse per il corpo e il movimento tipico dell’action painting sommano un’attenzione nuova per il supporto (la tela è costituita da tessuti intrisi di affettività e ricordi così come di tracce dell’esperienza performativa) e una generosa quantità di fonti che l’artista riproduce o rielabora. Ad esempio, la fotografia di una mano che sistema la mini-riproduzione di un’opera all’interno del modellino della mostra si rifà a una storica fotografia di Pollock, nella quale l’artista sistemava la maquette di una scultura nel modellino del suo “museo ideale”.

Innanzitutto VanDyke ha raccolto ritagli di tappezzeria che ha assemblato imitando la struttura del suddetto modellino (che sarebbe, appunto, la maquette in gesso e filo metallico di una grande scultura mai realizzata). I fasci di tessuto vengono quindi immersi nella vernice e posizionati su tele stese sul pavimento dello studio. Qui i ballerini realizzano la loro performance di danza. Mentre ballano, sulle camicie da loro indossate rimangono impresse tracce di colore. I tessuti vengono infine scomposti e ricomposti secondo un motivo geometrico ispirato a un pavimento in marmo di un rione di Roma.

Gli spazi della galleria sono rinnovati da una struttura in legno chiaro che VanDyke ha progettato seguendo il modello di un dettaglio architettonico modernista fotografato a Roma. Queste strutture sostengono le opere e permettono allo spettatore di visualizzarne il retro, che rivela un ulteriore passaggio del complesso processo di costruzione di ognuno degli shirts paintings: un patchwork di scampoli di lino ottenuti dalla biancheria di famiglia e dai vestiti della madre dell’artista. Il dato autobiografico si inserisce con dolcezza e discrezione nel risultato finale: anche i fasci di tessuto utilizzati come serbatoi di colore, sottolinea l’artista, rimandano a un’illustrazione di testicoli in sezione a lungo osservata da bambino e mai dimenticata.  Interrogando i confini tra il gesto e la pittura, tra la natura stabile dell’opera e quella provvisoria dell’atto della danza, il lavoro di VanDyke assume e rielabora un atteggiamento artistico specifico, delineato da artisti come Yves Klein, Jackson Pollock, il gruppo Gutai e Tino Seghal.

Il titolo della mostra richiama la celebre poesia di Arthur Rimbaud, Voyelles (1883). Nella poesia il poeta francese insegue una percezione nuova e totale della realtà, divertendosi ad attribuire colori, profumi, luci e suoni alle vocali. VanDyke ridistribuisce i colori scelti da Rimbaud alle consonanti L, N, I, M, e K, come in un proseguimento del sonetto. L’opera di VanDyke, in effetti, si basa proprio sulla sinestesia, fondendo realtà sensoriali diverse e mescolandole tra loro (la vista che richiama alla pittura con il tatto che rimanda al corpo e il suono che induce alla danza). Se le parole di Rimbaud impastano insieme segno grafico, colore, suono, luce, sapore e immagine, la mostra di VanDyke sembra pensata per un corpo che, come nelle Correspondances di Baudelaire (per restare in tema) attraversa “forêts de symboles, qui l’observent avec des regards familiers.”

La mostra è “una foresta di simboli” che l’artista compone e lo spettatore attraversa. In Long Glance fu il corpo di VanDyke stesso, insieme al tempo – alla fatica, alla solitudine, all’amore – a indagare e celebrare l’esperienza dello sguardo. In questa mostra, invece, il corpo dell’artista delega, cammina a ritroso, mette in scena tensioni e immagini che precedono (e motivano) il gesto pittorico, dando forma a una palpabile – ma mai esplicita – riorganizzazione della tensione erotica.

Jonathan VanDyke,   L blue N black I green M orange K violet - Installation view -  Courtesy 1:9 Gallery,   Roma - Photos by Giorgio Benni
Jonathan VanDyke, L blue N black I green M orange K violet – Installation view – Courtesy 1:9 Gallery, Roma – Photos by Giorgio Benni
Jonathan VanDyke,   L blue N black I green M orange K violet - Installation view -  Courtesy 1:9 Gallery,   Roma - Photos by Giorgio Benni
Jonathan VanDyke, L blue N black I green M orange K violet – Installation view – Courtesy 1:9 Gallery, Roma – Photos by Giorgio Benni
Jonathan VanDyke  Borromini Gelatin silver print Edition of 4 11 x 14 inches / 28 x 35,  5 cm 2015 Courtesy 1:9 Gallery,   Roma - Photos by Giorgio Benni
Jonathan VanDyke Borromini Gelatin silver print Edition of 4 11 x 14 inches / 28 x 35, 5 cm 2015 Courtesy 1:9 Gallery, Roma – Photos by Giorgio Benni