“In the back of the restaurant I made him kiss the ring: Haunted House in the Key of New Years * * * Paths to G-ddess~ Tiny Dick Timmy Ricochet~ Live from the Geomancer’s Clit Ring * * * You say one thing and everyone acts like you don’t mean the opposite of it at the same time too”.
Testo di Eleonora De Beni —
Il giovane artista americano appartiene alla categoria di chi rifiuta il minimalismo anestetizzato, ponendosi all’interno di una corrente quasi manieristica a favore della fantasia vivace e dirompente. Le sue opere mostrano il carattere ambiguo dell’esistenza tra celebrazione e condanna e rivelano una sorta di aporia di fondo. Madere sembra alla ricerca di un linguaggio artistico poliedrico, con il quale esprimere le contraddizioni del presente servendosi dell’utilizzo di immagini provenienti dai mass media. Le opere site specific, create per la sua prima mostra in Italia, parlano al mondo contemporaneo attraverso diversi strumenti comunicativi.
In un’intervista, Jared descrive il suo lavoro come la composizione di un pasto nel quale tutte le parti sono equamente importanti, in rapporto organico le une con le altre, quasi a riprendere ciò che scriveva Roland Barthes nel libro “L’impero dei segni” a proposito della cultura culinaria giapponese.
La mostra, che si sviluppa nelle tre sale della Galleria Federico Vavassori, si compone di murales, statue, arazzi e oggetti di vario genere costruiti con materiali organici come il riso e di uso comune come il filo interdentale, la plastica e il nastro adesivo. I cartoni animati disegnati sulle pareti con il rossetto, dal titolo Cat Swat Brid e Cat Swat Bird Rematch, presenti rispettivamente nella prima e nell’ultima stanza, raffigurano violente scene di caccia tra gatti e uccelli, creando un pattern che invade lo spazio.
L’utilizzo del rossetto, oggetto di seduzione per eccellenza, risveglia fantasie erotiche ed è su questa scia che, nella seconda sala, diviene centrale la rappresentazione a muro di una “famiglia di batteri che vive sulla cima dei gioielli genitali femminili”. L’imminente tsunami di passione messo in scena con schizzi di onde di liquido vaginale mosse dall’eccitazione, terrorizzano la famiglia che cerca protezione in un abbraccio.
In difesa e a cavallo delle onde, l’artista schiera gli “angeli della terra”, creature bicefale per metà umane e per metà in cartone, vernice, plastica e filo interdentale, scortati da cigni bianchi modellati nel riso e disposti lungo un ruscello formato da scatole da take away.
All’interno della stessa sala e in quella successiva, torna nuovamente la figura del gatto, questa volta però presentata tridimensionalmente. Le sculture sono entrambe alte circa un metro e rivelano, all’interno del capo, oggetti che agiscono a livello sensoriale. La prima, realizzata in legno ricoperto da toppe di denim, contiene un vaporizzatore a ultrasuoni che diffonde simultaneamente luce di diverse tonalità e olio essenziale di lavanda e wintergreen. La seconda, in alluminio e nastro isolante, esibisce fiera una pianta di lavanda.
A completamento del suo lavoro, Jared crea, con la tecnica del collage, degli arazzi, simboli di un presente del tutto digitale, nei quali inserisce: selfie di personaggi famosi, bambini, animali, paesaggi da cartolina e stereotipi di ogni genere. Ci si ritrova così nel bel mezzo di una vera e propria tempesta d’immagini che sfuggono dall’essere ricordate, attraverso le quali Jared gioca a stimolare e a confondere il visitatore. L’artista si dichiara, infatti, padrone del pathos e manipolatore di chi guarda. Seduce e cattura lo spettatore frettoloso con scene d’amore, frammenti di vita familiare, figure note e armoniose, tutte riprese dai mass media e astutamente posizionate sulla tela. Uno sguardo più accurato spinge invece l’osservatore a immergersi nella trama, alla ricerca dei particolari. Vengono così a galla elementi di condanna e di sofferenza, a volte grotteschi, accostati a scene di celebrazione e di gioia, che costringono l’ospite a esperire la mostra come insieme. Ci si rende conto, alla fine del percorso, dell’ambiguità legata a ciascun elemento presente e dell’impossibilità di trovarne un significato univoco.
Galleria Federico Vavassori / Milano