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‘Things”, la mostra di Isabelle Cornaro – a cura di Rita Selvaggio – da poco inaugurata a Casa Masaccio (San Giovanni Valdarno) ruota attorno al concetto di ‘impressione’, all’atto o effetto di imprimere, lasciare un segno sulle cose o sulle visioni. All’atto fisico che questa parola veicola, si aggiunge anche un altro aspetto, molto più suggestivo, quello legato alla nota corrente pittorica della seconda metà del XIX secolo. Le impressioni nell’opera della Cornaro, infatti, mantengono quella rapidità e sfuggevolezza dei mutamenti atmosferici, le stesse cangianti sfumature e tonalità. Sia che si tratti di film, che di opere scultoree, entrambe le ricerche dell’artista si sviluppano attraverso un attento studio di quelle che sembrano le basi della ‘buona composizione’: attente e ricercate prospettive, calibrate composizioni e inquadrature, punti di vista studiati alla perfezione. Questa perfetta regia permette alla Cornaro di catturare la poetica e inafferrabile mutevolezza cromatica di oggetti e superfici in relazione alla luce.
Nel lavoro che apre la mostra, “De l’argent filmé de profil et de trois quarts” (2010, film 16mm trasferito in digitale), in poco meno di due minuti, l’artista compie una sintesi di quelle che sono le tematiche dell’intera mostra, ne dà un sunto suggestivo: le immagini in movimento raccontano la mutevolezza cromatica di una serie di composizioni, siano esse astratte, geometriche o la semplice effige di una moneta. Indifferente all’aspetto reale intrinseco agli oggetti, alla loro funzionalità quotidiana, l’artista tratta ogni aspetto del reale come fosse puro pigmento da osservare e documentare. Esempio ne sono la serie di film al primo piano: dalla serie di oggetti ripresi in “Figures” (2011), organizzati ordinatamente per serie sopra una superficie azzurrina, come fossero piccole sculture dalle forme attraenti, a “Film-lampe” (2010), dove delle lampadine di forme e dimensioni differenti sono riprese da un punto di vista ravvicinato tanto da evidenziarne tutti i dettagli formali e luministici. Le impressioni, anche nei film più recenti, si intensificano mediante lenti movimenti di macchina che riprendono la liquidità vischiosità del colore (“Choses”, 2014) e il contrasto cromatico tra un rosso acceso e la trasparenza o luminescenza di superfici trasparenti o metalliche (“Métronomie”, 2014). Passaggi tonali, contrasti luminosi, volubilità materica: ciò che interessa all’artista è raccontare, in brevi e suggestive narrazioni visive, la poetica mutevolezza dei colori, il loro reagire e lievi cambianti di luce o alla messa in relazione con toni contrastanti o complementari.
In quest’occasione, l’artista presenta anche una nuova serie, “Homonymes III” (Homonymes III, 2015): “impronte dirette di oggetti che tentano di colare direttamente dal reale categorie di rappresentazione” come spiega la curatrice Rita Selvaggio. Seguito delle precedenti “Homonymes” I e II, sono opere che consistono nel calco dal vero di oggetti e specificatamente, in questo caso, si tratta di utensili e strumenti prelevati dallo studio dell’artista. Sottolineando i passaggi da uno stato materiale all’altro, i lavori si ispirano originariamente agli studi dello storico dell’arte e psicoanalista viennese Ernst Kris sulla ceramica ornamentale di Bernard Palissy, un artigiano del XVI secolo che aveva dedicato tutta la sua vita alla ricerca dei segreti del calco dal vero di oggetti.
Nell’ultima sala che chiude idealmente il percorso espositivo, il video “Amplifications” (2014): un caleidoscopio di forme e superfici, colori e riflessioni luminose. Gocce di vetro, parti di lampadari, gioielli, gemme, zirconi, brillanti. Splendore e luminescenza raccontati attraverso immagini che sfumano l’una sull’altra, intervallate da visioni che si fanno più scure e veloci dove appaiono bracciali, catene, fermagli, foglie dorate … forti contrasti chiaroscurali, fragilità e durevolezza, luci e ombre: una rincorsa tra opposti per rivelare l’affascinante significato nascosto nella superficie delle cose.
Segue una breve intervista con l’artista.
ATP: La tua mostra a San Giovanni Valdarno segue la doppia personale alla South London Gallery e a Spike Island di Bristol. Che relazione c’è tra questa e “Things”, il tuo intervento in Casa Masaccio?
Isabelle Cornaro: Tecnicamente la mostra in Casa Masaccio include una selezione di film, di cui in parte già presentati a Bristol, e una serie di nuovi castings “Homonymes III” che sono stati prodotti per quest’ occasione presso Spike Island. In termini di contenuto, le tre mostre enfatizzano gli aspetti cinematici dei differenti lavori esposti nelle diverse sedi, sia che si tratti di installazioni, sculture o immagini in movimento.
ATP: A proposito del titolo “Things”, come mai l’hai scelto? A cosa si riferisce?
IC: “Things” è un termine polisemico che ha delle connotazioni tanto concrete quanto astratte. Si riferisce a qualsiasi oggetto staticamente concreto in opposizione ad esseri animati, ma anche ad entità astratte quali situazioni, eventi etc … Mi piace la lettura di queste differenti possibilità di interpretazione.
ATP: La sede di questa mostra è densa di storia e tradizione. E’ la casa natale dell’autore della Trinità – manifesto della pittura prospettica rinascimentale, dimora dei corpi gravi, dei corpi che producono ombra. In che misura tutto questo ha influito sul display espositivo?
IC: Il display della mostra in realtà non si relaziona in modo specifico alla storia del luogo anche se è da sottolineare che tutto il mio lavoro ha dei riferimenti precisi sia alla storia che alla storia dell’arte e, tra le altre problematiche, ragiona sulle nozioni di rappresentazione e prospettiva.
ATP: Cos’è che trovi di affascinante in personaggi quali lo psicoanalista Ernst Kris e nei suoi studi sulle ceramiche di Bernard Palissy, un artigiano del XVI secolo che ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca dei segreti della porcella cinese?
IC: Bernard Palissy, come molti altri artisti del XVI secolo , vedi ad esempio Wenzel Jamnitzer, avevano sviluppato un vero e proprio metodo di produrre dei calchi di oggetti dal vero. La riproduzione meccanica di modelli prelevati dalla realtà è intrigante proprio perché permette di ottenere delle impronte molto sofisticate e anche perché evita, nel processo di rappresentazione e traduzione dalla natura all’arte, qualsiasi forma di soggettività. Per esteso, Ernst Kris mi seduce per il fatto che ha teorizzato e dato un nome a questo genere di pratiche. E’ probabile che la formazione di psicoanalista sia stata un elemento determinante nella sua attrazione per questo tipo di arte e di artisti.