E’ in corso fino al 22 agosto la mostra di Pamela Breda, The Quintessence, a cura di Daniele De Luigi ospitata negli spazi di MATA, sede espositiva di FMAV a Modena.
Il progetto, vincitori della settima edizione del bando Italian Council, racconta gli spazi ed i laboratori finalizzati allo studio delle leggi fondamentali dell’universo, dal microcosmo della fisica quantistica al macrocosmo del multiverso.
In occasione della mostra hanno posto alcune domande all’artista in merito alla sua fascinazione per l’universo, alle scoperte compiute durante i suoi viaggi e scoperte, alla lettura e trasformazione dei materiali scientifici con cui si è confrontata e, non ultimo, se c’è un’immagine, tra quelle in cui si è imbattuta, che sintetizzano la sua visione dell’universo.
Elena Bordignon: L’universo è una delle “dimensioni” più affascinanti che, da sempre, affascinano l’uomo. Per la tua mostra The Quintessence, ti confronti proprio con l’universo. Da dove nasce questo interesse?
Pamela Breda: Il mio interesse per l’universo nasce da quando, fin da piccola, guardavo le stelle in cielo e immaginavo cosa poteva succedere su pianeti e galassie lontane migliaia di anni luce dalla terra. Nel corso di una residenza condotta qualche anno fa in Svizzera ho scoperto per caso l’immagine di una lastra astrofotografica realizzata negli anni Settanta in Cile. Sono rimasta molto affascinata da quest’oggetto, ed ho iniziato a fare una ricerca più specifica su come le foto dell’universo sono realizzate a partire da una serie di dati spesso invisibili agli occhi (onde radio, raggi x, etc.). Da lì è nata l’idea di realizzare una ricerca più ampia sull’immaginario dello spazio interstellare, per capire come l’universo viene rappresentato e come le immagini di stelle, galassie e pianeti lontani raccontano molto degli uomini che le hanno prodotte.
EB: Con le tue osservazioni – grazie ad un ampio spettro di mezzi espressivi, quali video, fotografia, materiale d’archivio ed installazioni site-specific – indaghi il confine tra la visione antropocentrica della realtà e la fede nell’obiettività della conoscenza scientifica. Cosa è emerso, grazie alle tue indagini, tra queste due visioni?
PB: Quello che è emerso è che la scienza è molto meno categorica di come viene di solito percepita dai non addetti ai lavori. Nel corso della ricerca ho intervistato molti scienziati – cosmologi, astrofisici ed ingegneri – discutendo con loro in particolare di filosofia della scienza, per far luce su come l’astrofisica produca conoscenza su oggetti e fenomeni distantissimi dalla Terra. Ne è emersa un’interessante dicotomia: la scienza è un insieme di tecniche oggettive per studiare l’universo, le stesse tecniche nascono però da interessi soggettivi. La conoscenza astrofisica contemporanea nasce quindi da calcoli matematici e strumenti di precisione, ma anche dalla creatività degli scienziati, dalle loro intuizioni, dai loro dubbi ed errori.
EB: Hai fatto viaggi e incontri, hai visionato documenti e materiali documentativi. Quali aspetti del materiale con cui ti sei confrontata, ti ha maggiormente colpito? In particolare, mi interessa la realizzazione dl The Quintessence (69’, 2020), il film che analizza la produzione di conoscenza scientifica in diversi centri di ricerca astrofisica in Europa e negli Stati Uniti.
PB: Sicuramente la visita di enormi archivi di immagini – come quello della collezione della Bodleian Library di Oxford o della Harvard University – è stata un’esperienza affascinante. Spesso queste immagini sono state chiuse all’interno di scatole e archivi per decenni, prima di essere riscoperte ai giorni nostri. Un altro elemento interessante della ricerca è stata la visita a laboratori all’avanguardia nella ricerca astrofisica contemporanea, spesso localizzati in luoghi difficili da raggiungere e inaccessibili al pubblico. Penso ad esempio ai Boulby Underground Laboratories, laboratori sotterranei collocati nei corridoi di una vecchia miniera nel nord dello Yorkshire, o all’osservatorio Gorgergrat, situato sulla cima dell’omonima montagna Svizzera, una delle zone d’Europa in cui lo scarso inquinamento luminoso permette di osservare ad occhio nudo migliaia di stelle della via Lattea. Tutti i laboratori ed i centri di ricerca che ho visitato sono stati documentati attraverso supporti audio e video come palcoscenici da cui l’uomo elabora teorie avanzate sullo spazio interstellare a partire da materiali e tecnologie analogiche, legate ad un preciso “qui ed ora”.
EB: Hai attraversato, grazie alle tue ricerche, un’ampia varietà di materiali scientifici, prodotti in un ampio lasso di tempo. A tuo parere, quanto c’è di immaginifico, nella lettura di questi materiali, tanto da assumere i connotati di una narrativa epica e leggendaria?
PB: Tutti i materiali che ho raccolto, analizzato ed elaborato nel corso della ricerca sono altamente immaginifici. Il mio progetto mira ad approcciare la scienza in quanto narrazione, al fine di mostrare come la ricerca scientifica non sia un insieme di teorie stabilite come assiomi assoluti. Si tratta piuttosto di un flusso costante di informazioni continuamente riscritte, di calcoli ricalibrati ed esperimenti ripetuti sulla base di nuove teorie ed ipotesi. Attraverso la voce degli scienziati analizzo tutto ciò che solitamente non viene considerato come parte della ricerca astrofisica contemporanea. tutto quello che potremmo definire appunto immaginifico. Fino a qualche secolo fa, gli uomini osservavano le stelle ed immaginavano storie al fine di dare una spiegazione ai fenomeni celesti. Ora gli scienziati possiedono strumenti avanzati di osservazione grazie a cui elaborano complesse teorie scientifiche che vengono continuamente riscritte e modificate. Dal mio punto di vista anche queste ultime sono narrazioni e in quanto tali sono caratterizzate da una forte valenza epica e leggendaria.
EB: Nella serie di collage Heavenly Bodies sembra per molti versi che gli esperimenti ad alto grado di scientificità si intreccino con riti che evocano il dramma cosmico di divinità e forze primigenie. Come hai creato questo parallelismo?
PB: Nel corso della prima parte della ricerca ha analizzato vario materiale d’archivio perché mi interessava indagare come le rappresentazioni dell’universo sono cambiate nel corso delle varie epoche storiche, per arrivare alle immagini prodotte nell’epoca contemporanea. Dal mio punto di vista, la più avanzata ricerca astrofisica contemporanea ha una forte valenza narrativa, e si pone come un nuovo capitolo all’interno di una serie millenaria di storie riguardo allo spazio interstellare.
Dunque il parallelismo fra osservazioni contemporanee ed antichi riti e miti riguardo all’universo si è sviluppato in maniera molto naturale, a partire dalle centinaia di immagini che ho collezionato nel corso del progetto che approccio come un flusso visivo continuo ed in costante trasformazione, fino ai giorni nostri.
EB: Per tornare al tema dell’universo, c’è un’immagine in cui ti sei imbattuta nelle tue ricerche che ne sintetizza la visione o il significato?
PB: Tutte le immagini che ho incontrato nel corso della ricerca colgono qualche aspetto particolare dell’universo, e soprattutto di come l’uomo si relaziona allo stesso. Mi vengono in mente due immagini molto forti che ho incluso nei lavori presenti in mostra, immagini antitetiche ma al tempo stesso complementari.
La prima è la foto di alcuni Selkham, tribù della Patagonia sterminata dai coloni occidentali nel 19imo secolo. I Selkham fin dall’antichità navigavano fra le isole della Patagonia orientandosi con le stelle, e celebravano rituali e danze dipingendo sui loro stessi corpi. Raffigurazioni di stelle e costellazioni: portavano letteralmente l’universo su di loro.
L’altra è un’immagine molto più recente, realizzata dal telescopio spaziale Hubble. Rappresenta centinaia di migliaia di galassie visibili in una porzione di universo infinitamente piccola. E’ una fotografia che mi fa pensare al concetto di sublime, un senso di ammirazione ma anche di spaesamento e paura di fronte all’immensità dell’universo.
Entrambe queste immagini racchiudono un preciso legame con l’universo, e generano una riflessione poetica molto forte riguardo agli uomini che le hanno prodotte.