Artista e scrittore, John Menick è da sempre interessato a lavorare con le immagini in movimento e i media digitali, con il lavoro Edge of Life si mette in dialogo con un computer senziente dando vita ad una sorta di Test di Turing al contrario in cui è la macchina ad interrogare l’artista.
I due discutono su temi come la possibilità dell’immortalità digitale, l’emulazione del cervello per arrivare poi a discorsi sui non morti, sui vampiri e su un’isola immaginaria popolata da ologrammi. Il dialogo è serrato e si alternano un testo narrato dallo stesso artista e un montaggio di immagini di science fiction, computer graphics, film della storia del cinema, ricerche biologiche e folkloriche, dando vita ad una strana ed articolata indagine sul confine della vita, quella linea sottile che ancora rimane a divide il reale dal digitale.
Menick ha partecipato a numerosi festival e rassegne, nel 2012 ha preso parte a documenta 13 e ha esposto tra gli altri al MoMA PS1 di New York e al Palais de Tokyo di Parigi.
In occasione dello Schermo dell’Arte gli abbiamo rivolto alcune domande —
Italian version below
Arianna Canalicchio: How did the collaboration with Schermo dell’Arte come about?
John Menick: The festival screened two of my previous works: Haunting, a found footage film about haunted houses in cinema, and last year, Message from Mars, a film about Mars colonization. The director of the festival, Silvia Lucchesi, wanted to work together again, though possibly in another capacity other than a film screening. I had been thinking about the concept of the undead and how it related to artificial intelligence, and we thought it might make a good departure point for a lecture-performance to start the festival.
AC: What was the idea behind the creation of Edge of Life?
JM: For a long time, I’ve been interested in categories of existence that fall outside the usual binary of life and death. In science, for example, viruses, which are generally just RNA or DNA wrapped in a protein, are not really understood to be “alive.” Then there are these bizarre inventions called “xenobots,” which are tiny multicellular creatures assembled in laboratories. Again, they are not quite living beings. In culture, meanwhile, there is the concept of the undead, which suggests a being that looks alive, acts alive, but is not. I guess the last piece of the puzzle is AI or digital minds, which are somewhere in between. As for the work itself, the work started as an AI interrogating me about whether or not I wanted my mind uploaded into a computer. Actually, in the end, the AI delivers the lecture, and I’m not really that necessary.
AC: What is, for you, the edge of life?
JM: I think it’s a territory that relates a great deal to the arts and cinema, especially the latter which relies on an uncanny animation through the persistence of vision. We’ve all recently become painfully aware of how viruses work, and their impact is especially striking considering that they are not much more than little errant pieces of genetic material. Across the board, what we consider alive and dead, and how we treat those entities is changing. Especially when we consider how we treat artificial intelligence, robots, and digital assistants. I’ve always been moved how Japanese owners of Aibo robot dogs give funerals for their robots when they can no longer been repaired.
AC: What is your relationship with technology, and in which direction do you think we are headed?JM: Ambivalent, like most people. I’m a member of the last generation that remembers a time before the Internet and cell phones. I entertain a certain amount of nostalgia for that time, for sure, but I think it’s dangerous to fetishize the past. Social media on the whole I’ve come to think is destructive, especially as we’ve seen it weaponized by intelligence agencies and the far right. But I’m also someone who works almost exclusively in technology. I do all my own tech work, and I was a software engineer for years, so I’m by no means a luddite. My work is thoroughly digital at this point. As for where it is headed, I really can’t expect Silicon Valley to change the world for the better.
AC: What are you working on now? Can you give us a preview of your upcoming projects?
JM: Much of my upcoming work involves what I’m thinking of as a kind of technological archeology. I’m making work—films, sculptures, drawings—based on various, mostly forgotten, machines from the twentieth century. The next one will be a generative film about the collapse of industrial towns in the US and an early piece of technology that attempted to automate cultural production. I don’t want to say much more than that. To be honest, the most recent election has us all reconsidering what we are working on, but it’s too soon to tell what needs to be done.
Traduzione in italiano:
AC: Com’è nata la collaborazione con Lo Schermo dell’Arte?
John Menick: Il Festival ha proiettato due dei miei lavori precedenti: Haunting, un film di found footage sulle case infestate nel cinema, e l’anno scorso Message from Mars, un film sulla colonizzazione di Marte. La direttrice del festival, Silvia Lucchesi, voleva collaborare di nuovo, magari in un’altra veste oltre alla proiezione di un film. Stavo riflettendo sul concetto di morti viventi e su come si ricollegasse all’intelligenza artificiale, e abbiamo pensato che potesse essere un buon punto di partenza per una lezione-performance per aprire il festival.
AC: Qual è l’idea che sta dietro la creazione di Edge of Life?
JM: Da molto tempo sono interessato a categorie di esistenza che sfuggono alla consueta dicotomia vita/morte. In campo scientifico, per esempio, i virus, che sono generalmente solo RNA o DNA avvolti in una proteina, non sono davvero considerati “vivi”. Poi ci sono queste invenzioni bizzarre chiamate “xenobot”, piccole creature multicellulari assemblate in laboratorio. Anche in questo caso, non sono propriamente esseri viventi. Nella cultura, intanto, c’è il concetto di morti viventi, che suggerisce un essere che sembra vivo, agisce come se fosse vivo, ma in realtà non lo è. Credo che l’ultimo pezzo del puzzle sia l’IA o le menti digitali, che si trovano da qualche parte a metà strada. Per quanto riguarda l’opera in sé, il progetto è iniziato con un’IA che mi interroga su se desidero o meno caricare la mia mente in un computer. Alla fine, però, è l’IA che tiene la conferenza, e io in realtà non sono poi così necessario.
AC: Cos’è per te il confine della vita?
JM: Penso che sia un territorio che ha molto a che fare con le arti e il cinema, in particolare con quest’ultimo, che si affida a un’animazione inquietante attraverso la persistenza della visione. Tutti noi siamo recentemente diventati dolorosamente consapevoli del funzionamento dei virus, e il loro impatto è particolarmente evidente considerando che non sono altro che piccole e erranti particelle di materiale genetico. In generale, ciò che consideriamo vivo e morto, e come trattiamo queste entità, sta cambiando. Specialmente quando pensiamo a come trattiamo l’intelligenza artificiale, i robot e gli assistenti digitali. Mi ha sempre colpito come i proprietari giapponesi dei cani robot Aibo celebrino funerali per i loro robot quando non possono più essere riparati.
AC: Qual è il tuo rapporto con la tecnologia e in quale direzione pensi che stiamo andando?
JM: Ambivalente, come la maggior parte delle persone. Sono un membro dell’ultima generazione che ricorda un tempo prima di Internet e dei telefoni cellulari. Sicuramente nutro una certa nostalgia per quel periodo, ma penso che sia pericoloso idealizzare il passato. I social media in generale li considero distruttivi, soprattutto dopo aver visto come siano stati utilizzati come arma dalle agenzie di intelligence e dalla destra estrema. Ma sono anche una persona che lavora quasi esclusivamente con la tecnologia. Faccio tutto il mio lavoro tecnico da solo, e sono stato ingegnere del software per anni, quindi non sono certo un luddista. Il mio lavoro è ormai completamente digitale. Per quanto riguarda la direzione in cui stiamo andando, sinceramente non mi aspetto che la Silicon Valley cambi il mondo in meglio.
AC: A cosa stai lavorando adesso? Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi prossimi progetti?
JM: Gran parte del mio lavoro futuro riguarda ciò che definisco una sorta di archeologia tecnologica. Sto realizzando opere—film, sculture, disegni—basate su macchine diverse, per lo più dimenticate, del ventesimo secolo. Il prossimo progetto sarà un film generativo sul collasso delle città industriali negli Stati Uniti e su una delle prime tecnologie che tentava di automatizzare la produzione culturale. Non voglio dire molto di più su questo. A dire il vero, le recenti elezioni ci stanno tutti facendo ripensare a ciò su cui stiamo lavorando, ma è troppo presto per capire cosa bisogna fare.
Edge of Life di John Menick
Stati Uniti, 2024, 40’
Presentato alla 17° edizione dello Schermo dell’arte, 2024
13/11/2024 – Cinema La Compagnia, Firenze