Di Alessandra Luisa Cozzi, Bianca Maria Negrini, Rosamaria Pepe*
Giulia Brivio, co-fondatrice di Studio Boîte e curatrice editoriale presso Artphilein Editions, racconta il suo percorso nell’editoria d’arte, dalla nascita delle riviste in scatola ai progetti futuri sui libri d’artista e i cataloghi ibridi. Alla base del suo lavoro una grande ricerca teorica e un’attenzione particolare per gli aspetti artigianali della produzione editoriale.
Alessandra Luisa Cozzi: Come descriveresti il percorso di formazione che ti ha portato alla fondazione di Boîte nel 2009?
Giulia Brivio: È stata una combinazione di studi ed esperienze. Dopo aver frequentato un liceo artistico ho conseguito la laurea in Scienze e Tecnologie delle Arti e dello Spettacolo, una facoltà focalizzata sull’arte contemporanea, e ho frequentato un’accademia di Visual Design, occupandomi di questioni prettamente grafiche e artistico-visuali. In definitiva, lo studio della storia dell’arte, la pratica della scrittura e la preparazione nel campo della grafica mi hanno portato alla creazione della rivista insieme alla mia socia di lunga data Federica Boragina. È stato poi fondamentale il tirocinio, diventato in seguito un lavoro, presso Viafarini. Lo stretto contatto con gli artisti è stato l’innesco definitivo per l’idea di una collaborazione che dallo spazio fisico si trasferisse alla carta stampata: così, da curatrici di mostre, siamo passate a curare articoli e numeri di una rivista.
Rosamaria Pepe: Puoi raccontarci più nel dettaglio la nascita e l’evoluzione di Studio Boîte?
GB: Quando è nata, Boîte era un’organizzazione no profit che, dal 2009 al 2019, ha pubblicato diciotto numeri dell’omonima rivista: inizialmente la regalavamo, portandola in giro per Milano e spedendola ad amici in tutta Italia. Nel 2014, abbiamo affiancato alla rivista la produzione di libri d’artista, a partire dall’incontro con l’italiano Luca Scarabelli e il camerunense Em’kal Eyongakpa,che stavano pensando a delle pubblicazioni caratterizzate da una forte artigianalità e un’approfondita ricerca sui materiali. Circa due anni fa, dopo aver sospeso la realizzazione delle riviste in scatola, abbiamo iniziato a lavorare principalmente come casa editrice, concentrandoci sui libri d‘artista e i cataloghi. Questi ultimi inizialmente ci sembravano appartenere a un mondo lontano dal nostro, poi abbiamo pensato che potevano diventare qualcosa di diverso, degli ibridi nei quali inserire materiali non presenti in mostra, che arricchissero il progetto espositivo senza svelarlo troppo.
RP: Da quali fonti di ispirazione ha preso vita la rivista Boîte?
GB: Il riferimento iniziale è stato la Boîte Verte di Marcel Duchamp:una scatola che l’artista progettò per tentare di spiegare i suoi lavori, ma che di fatto ne aumentava la complessità e il mistero. La scatola ci sembrava un dispositivo in grado di attirare l’attenzione e distinguersi dalle nuove riviste, in quel periodo sempre più frequenti a Milano e in tutta Italia. Per la struttura e i contenuti della rivista tanti riferimenti derivano dagli studi di storia dell’arte, dalle avanguardie in poi: per noi era molto importante il legame con la storia, un fil rouge che lega ogni numero di “Boîte”.
Bianca Maria Negrini: In un’intervista ho letto che una delle ragioni per cui è nato il progetto di Studio Boîte è la questione della difficile fruibilità dell’arte contemporanea nell’attualità. Come hai tradotto questa necessità nel pratico attraverso l’editoria?
GB: Attraverso la rivista Boîte, che è una delle tante attività della casa editrice. Sin da subito l’urgenza, per me e Federica, è stata quella di capire come poter parlare di arte contemporanea con un linguaggio adatto ad un pubblico più ampio, non di soli addetti ai lavori. Per noi è molto importante sensibilizzare i lettori, usando termini evocativi e introducendo aspetti di poesia o di arti affini a quelle visive. La scatola è uno di questi elementi: anche chi non ha una conoscenza approfondita di storia dell’arte è incuriosito ad aprirla e ad averne cura, grazie anche alla presenza di fogli sciolti al suo interno. Inoltre, un gioco che facevamo per attirare l’attenzione e per incuriosire i lettori era inserire nella scatola un piccolo oggetto. Un altro aspetto che ci ha aiutato a dialogare con il pubblico è stato attribuire ad ogni numero una tematica particolare e mantenere una struttura rigida con delle rubriche.
RP: I titoli delle rubriche evocano un duplice carattere, poetico e ludico. Quale valore assumono la poesia e il gioco nella progettazione editoriale?
GB: Sono molto importanti. All’inizio Boîte per noi è stato un gioco che volevamo fare con le parole: ciò che ci ha spinto – oltre alla passione per l’arte contemporanea – è stato l’amore per la scrittura; la scatola stessa era piuttosto ludica, creava un’interazione col lettore. L’altro aspetto è quello della poesia, tradotta in diversi modi all’interno della rivista. C’è una prima parte monografica, dedicata al tema scelto per il numero, che corrisponde alle prime rubriche, ad esempio: “Tutta l’arte è stata contemporanea”, una introduzione storica; “Testimoni oculisti” – una citazione di Marcel Duchamp – che presenta tre artisti di tre generazioni diverse; “Amarcord”, una rubrica basata su aneddoti, con una scrittura più personale, intimistica e spesso poetica; “Biblioteca universale”, una bibliografia. La seconda parte coinvolge diversi ‘attori’: una rubrica dedicata alla poesia e agli artisti che scrivono, “Inventario privato”; “Boîte en rêves” (la boîte dei sogni), che è la pagina dove pubblichiamo libri d’artista; “Prendi cura di te stesso” – una rubrica per noi molto importante, tratta da un’opera di Sophie Calle – in cui chiediamo agli artisti come si prendono cura di loro stessi attraverso l’arte. L’idea tra gioco e poesia è proprio quella di far capire come l’arte possa in un certo modo cambiarci la vita, anche nelle piccole cose.
BMN: Nelle tue esperienze nel mondo dell’editoria c’è anche quella di curatrice presso lo spazio Choisi, un luogo che offre innumerevoli progetti, dalle residenze a incontri con scrittori e artisti. Quando e come è nata l’esigenza di dare più mezzi di espressione all’editoria d’arte contemporanea?
GB: Collaboro con la casa editrice Artphilein, collegata alla libreria Choisi, dal 2013, anno in cui la direttrice della fondazione svizzera che la finanzia ha scoperto Boîte online e ne ha ordinato tutte le copie; poco dopo ci siamo incontrate a Lugano e ho cominciato a lavorare con loro. Negli anni lo spazio è cresciuto: accanto alla libreria Choisi, con un taglio prettamente fotografico, sono stati aperti una biblioteca di libri di fotografia (Artphilein Photobook Library) e uno spazio espositivo per progetti editoriali. Lavorando con i libri e andando in giro per l’Europa alle fiere ho notato che le fasi di produzione e di ricerca che portano alla pubblicazione di un libro spesso non vengono percepite dal fruitore. Con Choisi l’idea era di creare uno spazio per dare nuova vita al libro, dunque abbiamo chiesto agli artisti di presentare la loro produzione editoriale in modo diverso, esponendo il progetto secondo la propria sensibilità. L’intento è di far vedere il libro come frutto di un percorso di produzione e come dispositivo che apre a nuovi scenari.
ALC: Come nascono i progetti editoriali che curi?
GB: Le discriminanti per la scelta di artisti e progetti variano in base alla casa editrice. Per quanto riguarda Artphilein Editions la selezione deriva generalmente dalla direzione della fondazione: gli artisti propongono delle idee o sono invitati a realizzare un libro, dopodiché si valuta la validità del progetto editoriale. Sia Boîte che Artphilein trattano solo progetti in corso d’opera, non richiedono all’artista il prodotto pronto per la stampa ma, a partire da una prima raccolta di immagini, idee e concetti, lo aiutano a sviluppare l’opera, in modo collaborativo. La genesi dei progetti di Boîte varia di volta in volta. Alcuni nascono da proposte provenienti da artisti che sentono il bisogno di avvicinarsi al mondo dell’editoria – che è un campo in forte crescita – e desiderano realizzare un libro dedicato a un loro progetto. Altri da una nostra idea: a me piace molto andare in studio dagli artisti per vederli all’opera e capire su cosa stanno lavorando e capita spesso che suggerisca loro di tradurre un’opera o una ricerca in forma di libro.
ALC: Solitamente coinvolgi artisti che già contemplano il mezzo editoriale all’interno della loro pratica? Diversamente, come si modifica il loro linguaggio artistico nel passaggio alla carta stampata?
GB: Solitamente si tratta di artisti che non hanno mai realizzato un libro e per loro è abbastanza difficile cimentarsi con questa forma d’arte. Molti possiedono ampie collezioni di libri, hanno gusti ben definiti e conoscenze sviluppate, ma la traduzione del loro linguaggio in forma editoriale è un processo molto articolato, che richiede numerose prove e una lunga fase progettuale. Un ulteriore problema è rappresentato dalla ricerca e raccolta dei fondi: in vista della fase produttiva è importante comunicare all’autore i vincoli tecnici e di costo relativi alla carta, ai materiali e alla rilegatura, in modo che elabori idee concretamente realizzabili. Ciò è fondamentale in quanto ogni elemento e dettaglio del libro d’artista è studiato in funzione di un significato preciso. Come avviene nei dipinti e nelle sculture, a un certo tipo di supporto e materiale corrisponde un determinato risultato estetico, emotivo e di significato: scegliendo una carta differente si modifica l’esperienza della fruizione, la sensazione provata dal lettore nello sfogliare il libro. Nell’edizione speciale di SLEEPLESS STORIES di Marta Pierobon, l’ultimo libro edito da Boîte, abbiamo creato una scatola con inserite due piccole sculture di occhi, simbolo ricorrente della ricerca dell’autrice dedicata al surrealismo domestico. Un dettaglio, questo, essenziale per costruire il senso del libro, per il quale abbiamo realizzato una campagna di crowdfunding, proponendo in anticipo alcune edizioni speciali dalla cui vendita si è ricavato il necessario per la stampa.
RP: Verso quale orizzonte futuro si sta muovendo la ricerca di Boîte?
GB: Parlando di futuro, Boîte sicuramente si concentrerà su due filoni: il libro d’artista e il catalogo ibrido. Una delle sfide che portiamo avanti da molto tempo è riuscire ad avere dei finanziamenti per pubblicare traduzioni in inglese dei testi di artisti italiani, per mostrare il loro lavoro anche a un pubblico internazionale. Un’altra sfida è quella di continuare l’attività di workshop: un canale fondamentale per portare l’editoria d’artista a un pubblico più vasto, strutturato con pratiche editoriali e di publishing; tra gli esempi più recenti cito i workshop con l’artista Riccardo Arena alla Galleria Milano, insieme a Kunstverein. Per instaurare un rapporto col pubblico sono inoltre fondamentali le fiere, come The Art Chapter, che Boîte cura per BASE, o Sprint a Milano. Questi eventi, dedicati all’editoria indipendente e all’arte contemporanea, permettono di spiegare cos’è il libro d’artista e quali opportunità offre l’editoria, anche in relazione a un crescente collezionismo.
ALC: L’editoria d’arte, ad oggi, ricerca un equilibrio tra sperimentazione digitale e tecniche e materiali tradizionali, o tende verso l’uno o l’altro versante?
GB: Il digitale è piuttosto problematico in editoria: gli artisti che lo utilizzano non hanno ancora sviluppato dei progetti editoriali veri e propri, o meglio, non hanno ancora trovato formati particolarmente originali e innovativi; inoltre si tratta di un’operazione che richiede l’intervento di un programmatore. Il problema consiste nel creare un materiale per cui abbia senso il formato digitale, virtuale, piuttosto che quello stampato. Al momento, per gli artisti che utilizzano i video come medium principale fare un libro è complicato, perché bisogna trovare il modo giusto per tradurre questo linguaggio. Una delle strade che verrà certamente percorsa in futuro è quella della realtà aumentata, grazie alla quale dalle pagine dei libri si avviano animazioni, colonne sonore e video. Con Boîte, che è una realtà molto legata alla scrittura e all’oggetto-libro artigianale, non abbiamo mai fatto particolari esperimenti digitali.
ALC: Quali sono le case editrici e i progetti editoriali che ritieni più validi nel panorama attuale, sia nazionale che internazionale?
GB: In Italia ci sono molti editori di altissima qualità, il nostro paese è riconosciuto anche all’estero per la validità dei libri che produce e diffonde. Tra i primi bisogna ricordare Mousse publishing, una rivista che pubblica numerosi cataloghi e libri d’artista, e Nero publishing, che sta portando avanti un fondamentale lavoro di traduzione di testi mai diffusi in Italia. Entrambe queste realtà hanno una distribuzione internazionale, atipica per le piccole case editrici indipendenti, come Boîte, che si inseriscono in un mercato più mirato. Per quanto riguarda l’estero, nei siti delle Art Book Fairs (come Offprint, Friends with Books, London Art Book Fair…) si possono scoprire molti editori interessanti, oppure nelle librerie come Printed Matter, bookshop storico a New York fondato da Sol LeWitt e Lucy Lippard.
In Italia sono molto interessanti i libri editi da Rorhof, la casa editrice, con sede a Bolzano, di Nicolò Degiorgis, che, oltre alle proprie produzioni, collabora con gli artisti alla realizzazione di un libro come conclusione del periodo di residenza presso la loro sede. Apprezzo molto anche Witty Books di Torino e Origini Edizioni di Livorno, nei cui libri, tutti rilegati a mano, c’è un connubio tra poesia e fotografia.
Tra le librerie consiglio, a Roma, Leporello e, a Milano, Armani Libri Koenig, MiCamera, Gogol&Co, B**k e Corraini, che ha grafiche di altissimo livello e vanta collaborazioni con artisti del calibro di Munari.
Tra i distributori internazionali di libri d’artista cito in particolare Antenne books, Idea books, Les Presses Du Réel e Bulk art books.
BMN: Che consiglio daresti a una giovane persona interessata al mondo dell’editoria?
GB: Darei due consigli: il primo è di trovare una piccola casa editrice e di proporsi per un periodo di formazione, in modo da assistere a tutta l’attività svolta, dalla progettazione del libro alla distribuzione nel punto vendita; l’altro è avere delle basi di grafica.