Valentina Furian e Claudia Losi presentano, in occasione della XVIII edizione di Lo Schermo dell’Arte, due opere inedite in realtà virtuale. La mostra Eating The Planet, ospitata negli spazi della Strozzina di Palazzo Strozzi a Firenze e realizzata dal laboratorio di produzione per le arti visive e performative Officine Creative dell’Università degli Studi di Pavia, è visitabile a ingresso libero, per tutta la durata del festival, dal 12 al 16 novembre.
Le istallazioni – Anìmule vr. Il mondo sottile (2025)di Claudia Losi e BITE (2005) di Valentina Furian -rappresentano per entrambe le artiste il primo confronto diretto con la realtà virtuale. Due esperienze immersive profondamente diverse accomunate da una riflessione sulla rappresentazione della realtà tra luce e ombra.
In Anìmule vr. Il mondo sottile, Losi trasforma la fragilità della carta, materiale che strappa e manipola, in creature fantastiche che prendono vita in un universo sospeso tra riconoscibile e sconosciuto. Una non realtà che ha ancora qualcosa di familiare ma che si allontana da ciò che conosciamo, costruendo nuove geometrie di luce. Le immagini sono accompagnate da un audio a più voci, in cui frasi dell’artista e testi per lei significativi vengono letti da donne di lingue ed età differenti, intrecciando ritmi, accenti e cadenze.
In BITE, Furian pone invece lo spettatore al centro dell’azione: chi osserva diventa parte integrante del lavoro, immerso in uno spazio che invita all’esplorazione attiva. L’esperienza, sospesa tra realtà e allucinazione, mette in scena una tensione percettiva e concettuale che interroga la complessità e l’ambiguità dei rapporti di forza e di potere.

In occasione della mostra abbiamo rivolto alcune domande alle due artiste —
Intervista a Claudia Losi
Arianna Canalicchio: Com’è nata l’idea per Anìmule vr. Il mondo sottile?
Claudia Losi: Anìmule è il macro-progetto a cui lavoro dal 2022 e da allora continua a crescere, secondo un processo che lo modifica nel tempo, in base alle occasioni che si presentano. Tutto è partito da un gesto semplicissimo: lo strappo. Strappando e manipolando dei fogli di carta, carta comune, ho cominciato a realizzare delle sagome, a partire da ciò che i profili dei frammenti tra le mie mani mi suggerivano o sovrapponendovi mentalmente delle forme che desideravo “fermare”, uno strappo dopo l’altro. Così hanno cominciato ad apparire forme animali o vegetali, di animali umani ibridati con le molteplici variazioni del vivente e del non vivente, e molti esseri fantastici che mettevano insieme tutto quanto. Da quei primi tentativi sono nati poi una serie di laboratori in cui coinvolgo altre persone (di età, provenienza e attitudini diverse) e di cui conservo tutte le sagome realizzate, creando un mio personale archivio polimorfo. Queste sagome le attivo fisicamente nello spazio, utilizzando la luce per creare una narrazione di ombre. Luce, ombre e storie che mutano, scompaiono e ricompaiono in nuove declinazioni.
Quando mi è stata offerta la possibilità di lavorare a un progetto VR, mi è sembrato naturale (e non uso “naturale” a caso) andare verso la rappresentazione di una non realtà, verso qualcosa che si allontanasse dall’imitazione del reale e spingesse invece verso la costruzione di un mondo immaginifico, un “mondo sottile”, un inframondo, in cui il fruitore si trova di fronte a un paesaggio in movimento composto da quinte mobili di carta (o meglio il simulacro di quel materiale). Una successione di figure appare seguendo un audio, una narrazione a più voci, un paesaggio sonoro anch’esso moltiplicato. Queste sagome fluttuanti e mobili proiettano la propria ombra sul paesaggio di carta: una grotta, un bosco, una cascata. Il fruitore ha la sensazione di essere l’origine del fascio luminoso che illumina l’oscurità che lo circonda e da cui emerge questo universo cartaceo.
La frase che apre ciascuno dei quattro capitoli in cui è divisa la storia, recita così: “Ogni storia ha un inizio / ogni storia ha una fine / a volte l’inizio non è inizio / a volte la fine non è fine / stiamo nel mezzo / quando tutto accade / quando nulla accade”
AC: Quale è stato il tuo primo approccio alla realtà virtuale? Che spazio pensi che si stia ritagliando nel sistema dell’arte?
CL: L’opportunità di partecipare a questa residenza (presso Officine Creative dell’Università degli Studi di Pavia) e di collaborare con professionisti che avevano già una notevole esperienza sia nel campo della curatela che in quello della produzione, mi ha permesso di avvicinarmi alla realtà virtuale, di cui sapevo davvero poco, senza troppi timori.
Provo un entusiasmo probabilmente infantile nel mettermi alla prova in ambiti non abituali per me, come dire, mi piace ampliare gli spazi di azione e osservare, frequentandoli, cosa succede a me e al mio lavoro. Allo stesso tempo, è essenziale capire come il nucleo su cui si basa la mia pratica possa riverberare attraverso nuovi “strumenti” e continuare a esprimere ciò che mi sta a cuore.
Il corpo, il corpo senziente, incarnato, è la base della mia pratica. La “carne del mondo”. Ma lo è anche l’immaginario, sia esso singolare o collettivo: la sfida è stata quella di fondere, attraverso la realtà virtuale, questi aspetti in maniera osmotica. Non so se ci sono riuscita. Di certo mi ha immersa in un contesto di meraviglia che non avevo mai provato prima. Non so quale sia lo spazio che la RV si sta ritagliando nel sistema dell’arte, ma di certo offre un’opportunità molto interessanti. Come il video dagli anni ’60?
AC: Ci sono elementi autobiografici o di esperienza personale che hanno influenzato la realizzazione del lavoro?
CL: Questo aspetto credo sia disciolto in molte delle articolazioni che ha preso il lavoro. Forse in maniera più evidente nell’audio: una storia-non storia, suddivisa in quattro capitoli, in cui si susseguono frasi mie, frammenti estratti e rielaborati da letture per me importanti, legate al tema della predazione, del linguaggio e del tempo profondo di cui noi tutti facciamo parte. E poi ci sono le voci: la voce di una bambina che ha appena imparato a leggere, le voci di donne adulte di altri paesi che hanno letto in italiano testi che capivano solo parzialmente, la mia voce e quella di alcuni ospiti. Accenti, cadenze e ritmi diversi e poi titubanze ed errori che mi sembrano richiamare quell’infrasottile al quale è dedicato tutto il lavoro.
Ho mescolato piani e tempi diversi, tutti legati a incontri e progetti di lavori precedenti. Per esempio, l’installazione pensata per la Strozzina: per trasformare lo spazio, una stanza buia, in un “luogo”, in cui il pubblico potrà indossare i visori, presento un grande tappeto che riproduce un lichene (realizzato in collaborazione con Lottozero di Prato). I miei primissimi lavori, quando ero ancora in Accademia, furono proprio dei licheni, delle Tavole Vegetali. Una ciclicità che mi piace osservare e provare a comprendere.
AC: Stai già lavorando a qualche nuovo progetto?
CL: Sempre. Porto avanti più progetti contemporaneamente: si alimentano a vicenda e sono tutti collegati tra loro. A gennaio, presso una galleria milanese, inaugurerò una personale in cui presenterò i “precipitati” di alcuni dei progetti che ho realizzato negli ultimi cinque anni. E, in qualche modo, anche in questa occasione, le sagome dai bordi irregolari di Anìmule appariranno, come ombre.




Intervista a Valentina Furian
Arianna Canalicchio: Dopo aver partecipato a VISIO nel 2020 che sensazione è tornare allo Schermo dell’Arte?
Valentina Furian: Lo Schermo dell’Arte è sempre stato, per me, un punto di riferimento fondamentale per quanto riguarda le moving images. Ho partecipato a VISIO durante il periodo del Covid-19, in una versione remota, e successivamente ho avuto l’occasione di incontrare di persona alcune delle artiste e degli artisti della stessa edizione in occasione della mostra Resisting the Trouble – Moving Images in Times of Crisis, curata da Leonardo Bigazzi alla Manifattura Tabacchi. Tornare quest’anno al festival per presentare, a Palazzo Strozzi, il mio primo lavoro in realtà virtuale, BITE (2025), rappresenta per me un momento importante e significativo.
Sarò presente al festival nei primi giorni per accompagnare il progetto.
AC: Come ti sei avvicinata alla tecnologia della realtà virtuale? Che spazio pensi che si stia ritagliando nel sistema dell’arte?
VF: Il lavoro presentato in anteprima mondiale è stato realizzato grazie all’assegno di ricerca presso l’Università di Pavia, in collaborazione con Officine Creative. Durante un anno intenso di ricerca e produzione, ho avuto l’opportunità di lavorare a stretto contatto con Elisabetta Modena, Anna Calise e Stefano Conca Bonizzoni. Lavorare con la realtà virtuale ha messo in discussione, e al tempo stesso riaffermato, alcuni elementi centrali della mia pratica. Questa tecnologia richiede, ad esempio, un approccio fortemente performativo al fare filmico, che si è rivelato sorprendentemente in sintonia con il mio modo di lavorare con le immagini in movimento. Credo che la VR sia ancora una tecnologia che non abbiamo pienamente compreso, né come osservatrici né come artiste e artisti. Le sue sfide tecniche richiedono una fiducia nel medium difficile da costruire, proprio per la sua storia ancora giovane. Mi sono sentita fortunata ad avere avuto l’opportunità di lavorare con questo linguaggio, in questo momento del mio percorso artistico, anche perché offre ancora uno spazio aperto di esplorazione e possibilità.
AC: Lo spettatore in BITE è posto in una condizione di continua tensione, pensi che questo sia una metafora della vita?
VF: L’osservatore e l’osservatrice in BITE si trovano in una condizione di continua tensione, perché per me era fondamentale posizionarli al centro della scena, coinvolgendoli direttamente in ciò che accade. Non sono semplici spettatori o spettatrici: diventano parte dello spettacolo stesso. Indossare il visore significa assumere un ruolo attivo e centrale, pur in un ambiente che, va forse sottolineato, in BITE è un falso 360°, dentro lo spazio in cui si è immersi.
AC: Vuoi anticiparci qualcosa sui tuoi prossimi progetti?
VF: In questo momento mi trovo a Parigi, in residenza alla Cité des Arts, dove sto conducendo una ricerca in diversi archivi cinematografici della città. Attualmente ho alcuni lavori esposti in alcune mostre in Italia: in particolare, uno dei miei film più recenti, Aaaaaaa (2025), prodotto dal Museo MAMbo (Bologna), è presentato alla Quadriennale di Roma nella mostra Il Corpo Incompiuto, a cura di Alessandra Troncone. A Milano è invece esposto Centauro (2023), film prodotto da Fundación PROA (Buenos Aires) e GAMeC (Bergamo), presentato nell’ambito di BIENALSUR, a cura di Benedetta Casini. Nel prossimo anno mi attendono nuovi viaggi negli Stati Uniti e in Sud America per un progetto di ricerca sostenuto dall’Italian Council 2025, che mi porterà verso il mio prossimo film.
Cover: Valentina Furian, BITE, 2025, VR film frame, courtesy artist


