E’ in corso fino al 28 ottobre la personale di Giuseppe De Mattia, La rivolta del primo oggetto, alla Nowhere Gallery di Milano. L’idea dell’artista parte da lontano, da una civiltà remota e le sue credenze. Vivificandole e facendole proprie, De Mattia creata una sequenza di ‘ritratti’ di oggetti che, per vie che non ci è dato conoscere, gli si sono scatenati contro.
Seguono alcune domande all’artista —
Elena Bordignon: Partiamo dal titolo, “La rivolta del primo oggetto”. Cosa intendi con questo titolo che suona come un avvertimento? Perché fa pensare che, dopo al primo, ci saranno anche altri oggetti che si daranno alla ribellione.
Giuseppe De Mattia: Il titolo si riferisce ad un mito apocalittico legato alle popolazioni precolombiane Moche ma in generale alle popolazione dei Nativi Americani secondo il quale, la morte del sole avrebbe portato, con le tenebre, una rivolta degli oggetti contro gli uomini.
I Moche (Perù costa Nord) raccontano questo mito attraverso l’arte decorativa, disegni su vasi e bottiglie, questi stessi oggetti si trasformano in portatori di messaggi nefasti.
Il pensiero di una sequenza di rivolte di oggetti è corretto. Sto pensando di cominciare una lunghissima serie, scanzonata nel tempo, che potrei fare per tutta la vita in cui individuo degli oggetti che “mi” si ribelleranno.
Tornando da un viaggio in Costa Rica, raccontavo ad un mio caro amico restauratore e chimico la fascinazione che stavo provando per l’arte precolombiana: la sovrapposizione tra scultura, forme solide e pittura nei vasi e negli oggetti in terra cruda decorata. Al mio amico avevo mostrato, con lo stesso interesse, come le persone che popolano la parte caraibica riutilizzassero le antenne paraboliche come insegne per i loro negozi, decorandole in maniera grezza o molto raffinata.
E’ stato questo mio amico a parlarmi per primo del mito della “Rivolta degli oggetti”.
EB: L’installazione modulare “Dispetti del primo oggetto”, consiste in 300 monocromi che ospitano piccoli disegni: un’amaca, una fionda, una sedia, animali ecc. Mi racconti come nasce questo lavoro? Come scegli gli oggetti da disegnare?
GDM: Tutto questo progetto nasce da un viaggio in America Centrale più di un anno fa, che mi ha aperto ad un mondo tutto nuovo di intendere l’arte e mi ha lasciato una serie di simbologie impresse nella mente. In questo viaggio ho avuto con me, per tutto il tempo, dei quaderni e dei fogli sciolti, una matita e una penna stilografica. Gli oggetti disegnati sui fogli provengono da quei quaderni e fanno parte di una raccolta molto ampia che dovrebbe finire in una mostra in Costa Rica, prima o poi.
Sono quasi tutti disegni di oggetti di mia affezione da sempre, alcuni sono nuovi, scoperti durante il viaggio. Anche questi nuovi sono diventati oggetti d’affezione.
Uno di questi, un orologio, raffigura un orario preciso. Indica le 3 del mattino, orario in cui mi sono reso conto di essere stato punto da un ragno. La reazione alla puntura del ragno aveva disegnato una sorta di stella sul mio avambraccio, l’avevamo disegnata assieme. Grattandomi avevo spostato l’infiammazione allungando anche una delle punte della stella.
Alcuni degli oggetti rappresentati, anche quelli più rassicuranti, come la sedia o l’amaca, potrebbero essere i prossimi oggetti in rivolta.
EB: Mi incuriosisce la presenza di acqua piovana nell’opera “Acquitrino”. Perché la utilizzi? Qual’è il processo che hai seguito per la realizzazione di quest’opera?
GDM:
Con una canna trovata sulle spiagge di San Vito (Chieti) avevo costruito un calamo e avevo deciso di portarlo con me in viaggio, come oggetto feticcio e funzionale allo stesso tempo. Appena arrivato in una foresta pluviale mi sono reso conto di non aver bisogno della matita e della stilografica, ma di poter usare il calamo e le cartucce della stilografica diluite con acqua. Pioveva sempre e continuamente e l’acqua più comoda da raccogliere era proprio quella piovana. L’acqua piovana c’è sempre ed ha già un suo colore se la raccogli in una pozzanghera o in un recipiente terroso.
Per questa mostra ho immaginato che la prima rivolta fosse di un washboard in rame che ho costruito per farne uno strumento musicale al rientro da questo viaggio.
La rivolta del primo oggetto consiste nell’aver lasciato un suono assordante dello strumento suonato come fossero cento insetti della foresta con il loro suono “elettrico”, nell’aver piegato tutti i fogli, quelli disegnati e quelli ancora da disegnare dopo averli bagnati e di aver inzuppato e restituito dei colori basici all’unica fotografia scattata nella foresta stessa. Acquitrino rappresenta un punto di svolta nel mio lavoro, una fase in cui il disegno e la pittura si sovrappongono alla fotografia, mezzo che ho prediletto per quasi un decennio.