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Intervista con Elena El Asmar | Spargo, Lancio, Divido, Cospargo

Elena El Asmar ha inaugurato la mostra personale Spargo, Lancio, Divido, Cospargo alla Galleria Bianconi di Milano. Un viaggio tra le possibilità di assorbimento dell’essere e i suoi imprescindibili slanci orgiastici al di fuori. La mostra è programmata fino al 10 maggio. Seguono alcune domande all’artista. ATP: Da sempre la tua ricerca punta sull’evocazioni di spazi e […]

Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.
Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.

Elena El Asmar ha inaugurato la mostra personale Spargo, Lancio, Divido, Cospargo alla Galleria Bianconi di Milano. Un viaggio tra le possibilità di assorbimento dell’essere e i suoi imprescindibili slanci orgiastici al di fuori. La mostra è programmata fino al 10 maggio.
Seguono alcune domande all’artista.

ATP: Da sempre la tua ricerca punta sull’evocazioni di spazi e tempi lontani. In occasione della mostra alla Galleria Bianconi, Pietro Gaglianò ha scritto un approfondito testo sul tuo lavoro. Uno dei punti da lui sottolineati è relativo al “tempo” come materia con cui elabori le tue opere. Mi introduci i temi affrontati in questa mostra? Che esiti ha dato la costante temporale?

Elena El Asmar: Trascorro le estati leggendo libri di giorno e guardando la notte in campagna.
Durante tutto il resto dell’anno la cosa che amo fare di più è camminare, soprattutto a Milano, dove vivo, passeggiando fianco a fianco alla Martesana.
Dell’inverno amo la neve, sopratutto per come cambia i rumori dell’aria quando si attacca col suo manto bianco sulle cose d’intorno.
Dell’estate, i temporali.
Fino a qualche anno fa temevo il boato dei tuoni, in quel momento credevo che il mondo fosse sull’orlo di una crisi irreparabile e, in questa crepa profonda del suono e dell’atmosfera, io finivo dentro con tutta la mia vita intera. Ho sempre creduto che questa paura avesse a che fare con la mia infanzia cadenzata da numerosi viaggi per visitare quella parte della mia famiglia in Libano dove c’era ancora la guerra civile e dove per raggiungere l’aeroporto o la nave, spesso, dovevamo viaggiare scortati o nascosti per evitare le sventure dei cecchini che sparavano a vista a chiunque fosse inteso come nemico. Le bombe scoppiavano di frequente, non tanto nella città di mio padre, ma sulle strade che ci avrebbero riportati nei luoghi di imbarco e sbarco.
Da circa un anno ho ripreso a studiare pianoforte. Questa pratica mi accompagna tutto l’anno e segue tutte le stagioni e tutte le varianti climatiche, atmosferiche e geografiche.
Anche l’aver perfettamente calibrato la mia respirazione con il consumarsi di una sigaretta rappresenta una costante fisica ed emotiva del mio fare quotidiano che è una linea in continua trasformazione che insegue contemporaneamente tutte le mie passeggiate, i miei amori estivi, le mattine delle albe che profumano di fresco e le nuvole di fumo che, davanti ai miei occhi, danno forma e visione al mio essere ancora viva e sopravvissuta alle crepe del suono e del mondo.
Il luogo dove la corsa tra le cose si illumina e accende un istante di tempo che rimette in confidenza l’ossessività del pensiero con il placarsi degli alberi quando calano i sussurri del vento è lo studio.
Il mio studio è una stanza che si estende tra la luce delle finestre e le mie mani. Tra fogli disseminati su tavoli e pareti e gli oggetti che su quei fogli andranno a posarsi e perdersi. Il mio studio è un insieme di vuoti, di perdite e dimenticanze. E’ un luogo che astrae la dimensione descrittiva del tempo. Anch’io perdo e lascio ciò che ero e divento un presente nuovo a me stessa che si confonde con i rami degli alberi.
Appoggiato sulla scaffalatura c’è un foglio che mi accompagna dagli anni dell’Accademia e recita le parole di Gaston Bachelard “il calendario della nostra vita può stabilirsi solamente nel suo complesso di immagini”.

ATP: Il titolo della mostra è un appunto su quattro azioni: spargere, lanciare, dividere e cospargere. Che attinenza hanno con le opere che esponi? Ne raccontano in sintesi la prassi?

EEA: “Spargo, lancio, divido, cospargo” è il titolo di una serie di quadri ai quali sto lavorando dal 2013 a oggi.
L’azione a cui questa serie di verbi si riferisce è principalmente quella della mano e dello sguardo rispetto alla pittura e al supporto.
La pittura è una disseminazione generosa di tutto il proprio essere che sceglie di prendersi cura di un grande territorio condiviso.
Il supporto, che sia carta oppure tela, è un’affiorare continuo di linee immaginarie simili a quella dell’orizzonte che si staglia davanti ai nostri occhi quando osserviamo il paesaggio. Anche un oggetto è un paesaggio nel momento in cui confonde se stesso con il luogo fisico e metaforico all’interno del quale è collocato.
La mia mano insegue ogni distanza tra l’occhio e le geografie che emergono a tratti su questo campo di gioco ma sono orizzonti accatastati uno sopra l’altro che non sono mai riuscita ad archiviare e distinguere.
Tutta la mostra, alla Galleria Bianconi, ripercorre un tentativo di modulazione continua del fare rispetto alle tensioni sollecitate da un paesaggio rispetto al quale mi trovo, mi ritrovo e svelo cose di me e del mondo finora inaspettate.

Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.
Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.

ATP: In merito alla ricerca segnica, come decidi quale tracciati seguire e approfondire, anche e soprattutto in relazione alle scelte cromatiche?

EEA: Ho una collezione di oggetti che mi porto dietro da molti anni. Per lo più sono vetri, tubi e sfere e contenitori di plastica trasparente, pizzi più o meno integri e più o meno antichi e preziosi, reti, fili, candelieri e candelabri, teiere, rosari, cartoline paesaggistiche, cartoline di fiori, argenteria varia, un teschio, pezzi di travertino, vecchi tubetti di colore a olio secco, pennelli secchi, pezzi di lampadari, lustrini, perle, scatole per vino e profumi dalla vocazione architettonica. Scarti di opere. Poi esiste un mondo di parole, scritte su libri che posso anche sfogliare.
Normalmente questi sono i soggetti dei mei quadri e disegni e sono anche le cose che amo avere vicino e guardare.
Quella tra me e il mio archivio di oggetti è una relazione aperta, non decisa a tavolino, non soggetta a vincoli di natura ideologica ma soggetta a vincoli di natura compositiva. Ci costruiamo reciprocamente mettendo in atto la possibilità di sviluppare ogni volta identità nuove all’interno di un nostro pentagramma.
Da questa necessità affettiva nasce la volontà di dare seguito a un’intuizione prima ancora che a un’idea. L’opera non è l’illustrazione di un concetto casomai un modo per conoscermi e riconoscermi attraverso i processi della pittura e del disegno, dove l’occhio prova a seguire la mano, a scongiurare uno smarrimento, a ricostruirsi e sopravvivere alla caducità della forma.
Ogni passaggio è la somma variabile di tutte queste sollecitazioni amorose.
Il colore, l’ingrediente misterioso che determina i legami a seconda della loro intensità.

ATP: Arazzi, calcografie, pitture, disegni: negli anni hai spaziato e  utilizzato molti materiali e tecniche. Con quale criterio scegli di impiegare un medium rispetto un altro?

EEA: Ricordo l’estate scorsa in campagna. Sotto la casa scorreva un fiume.

C’era un fiume che attraversava la casa e dava l’impressione a chiunque abitasse e dormisse lì sopra, che l’instabilità delle cose fosse semplicemente una condizione da perseguire per non rifuggire la realtà, che in quell’estate pareva, nonostante una lentezza esasperante, una realtà mutabile, fluida, profonda e scura e incerta come solo lo sono le onde del mare quando si perdono al largo.
Dei luoghi, ho sempre amato la possibilità che danno, a chi li attraversa, di spostare il volume immaginifico del proprio pensiero e, di conseguenza, il modo di guardare le cose ampliando il proprio punto di vista. Da lì in poi, ogni movimento, seppur esteso entro lo stesso spazio, è una traccia nuova incisa nel mondo, unica, irripetibile e anche peritura.
Ogni segno della mano è una sponda in grado di dare durata a queste piccole variazioni del presente e a tutte le sue tracce.
So che la carta sostiene l’acqua ma esige sempre leggerezza per non crollare.
La pittura ha invece un metabolismo diverso, accade grazie a lunghe sedimentazioni.
Nella tessitura, l’immagine accade tutta per intero grazie a un intreccio di fili bianchi e neri inseparabili gli uni dagli altri.
Il torchio calcografico trasforma il pensiero in ombre e rilievi prossimi alla scultura.
Porto avanti contemporaneamente, in maniera consequenziale e su più fronti, questa assidua ricerca dei limiti e dei suoi echi, come fossero direzioni da percorrere e spostare sempre un po’ più in là.
Il confine dettato dal segno, in relazione al supporto che può contenerlo, è la soglia che unisce il mondo della forma, che ha bisogno di un suo inizio e una sua fine, con quello dell’immaginazione che non conosce tempo, né durata, né inizio, né fine, come le onde di cui sopra.
Non a caso quando Giacomo Leopardi introduce l’Infinito, lo fa posizionando il suo “io lirico” dietro a una siepe.

ATP: Mi introduci un’opera in mostra che, più di altre, sintetizza la ricerca che stai approfondendo in questo ultimo periodo?

Quando la notte di San Lorenzo, e le notti vicine, nella calda notte d’agosto, ci sdraiavamo ad aspettare le stelle cadenti, ricordo me proiettata in una curiosa posizione campestre, confusa tra l’erba e la coperta, nell’attesa di un insolito bagliore.
Ricordo quell’attesa, di un movimento del cielo, quel cielo che noi chiamavamo cosmo.
Eravamo in tanti, a volte, e quella traiettoria luminosa la vedevamo spesso a turni.
Anche oggi mi sento così e non so se ci sia un’opera che racconti più di un’altra questa postura del corpo in attesa, ma so che ci sono molti neri, più neri dei notturni d’estate.

Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.
Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.
Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.
Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.
Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.
Elena El Asmar, Spargo, lancio, divido, cospargo, veduta della mostra alla Galleria Bianconi, Milano, foto Tiziano Doria.