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Non chiudere gli occhi| Intervista con Agnes Questionmark – Tenuta dello Scompiglio

"Lo sguardo, come scrive Donna Haraway in The reinvention of nature, “è il punto di partenza per una risposta, per un cambiamento”. Haraway parla tantissimo di situated knowledges, ovvero la postazione dalla quale tu parli, reagisci contro un sistema." Agnes Questionmark

Testo e intervista di Matteo Carli

Dal testo del curatore Angel Moya Garcia: «(…) la costituzione degli occhi come una sorta di soglia specchio, come confini non violabili che permettono di osservare la realtà, impedendo che questa possa essere manipolata, controllata e regolata»

Lo scorrere di liquidi viscosi, il rumore di operanti oggetti metallici, l’inconfondibile “bip” dei monitor ospedalieri misuranti le prestazioni cardiache; voci lontane, sommesse e incomprensibili, un lentissimo ma cadenzato rimbombo, come di un cuore stanco e rallentato. Anche accedendo ad occhi chiusi a Nexaris Suite, esposizione di Agnes Questionmark curata da Angel Moya Garcia negli spazi della Tenuta dello Scompiglio di Vorno, ci renderemmo conto di essere in una sala operatoria. Sul letto operatorio, contro la sua volontà, giace una delle creature ibride a cui ci ha abituato l’artista. 
Il video a tre canali che occupa la prima stanza è ambientato in una Nexaris Suite, ovvero, come spiega il curatore Moya Garcia «una stanza chirurgica ibrida e automatizzata in cui si intersecano due delle tecniche più richieste nel campo medico per la produzione di immagini di altissima qualità per una diagnosi perfetta». Nei video osserviamo quella che in origine sembra a tutti gli effetti un’operazione chirurgica ma che ben presto si trasforma in un’aggressione omicida da parte di dottoressa (l’artista stessa) e infermiera, ai danni del corpo alieno del paziente. Nella sala successiva percorriamo fisicamente la stanza chirurgica e troviamo la creatura sotto operazione. Dalla nera massa corporea sgorgano tentacoli rosa lucidi e mollicci; l’unica ulteriore parte visibile del corpo sono gli occhi, ultimo baluardo identitario, spalancati con forza da degli uncini di metallo e minacciati dagli aculei di due braccia meccaniche. L’unica ulteriore parte visibile del corpo sono gli occhi, ultimo baluardo identitario, spalancati con forza da degli uncini di metallo e minacciati dagli aculei di due braccia meccaniche.
Ancora una volta Questionmark immagina le proprie creature transpecie sottoposte a processi di medicalizzazione forzata. Se nel caso dell’installazione Cyber Teratology-Operation, presentata all’ultima Biennale di Venezia, l’opera faceva sorgere quesiti sulle associazioni tra genere e riproduzione, Nexaris Suite si sofferma sulle costrizioni identitarie eteronormative, le difficoltà persistenti per le persone trans nel mondo medico attuale e il controllo opprimente della società normativa sui percorsi di transizione, invitando a tenere aperti gli occhi e lo sguardo riflettente, senza cadere anestetizzati. 

Intervista con Agnes Questionmark

Matteo Carli: Iniziamo parlando del tuo lavoro attualmente esposto alla Tenuta dello Scompiglio. Qual è la genesi di Nexaris Suite? Hai visto all’opera una vera sala operatoria di questa tipologia?

Agnes Questionmark: Si, l’opera nasce dopo essere stata invitata da un importante chirurgo di Berlino ad assistere ad una delle operazioni di microchirurgia robotica che svolge nella sua clinica privata. Si trattava in particolare di un intervento di sostituzione della lente dell’occhio. È stata un’esperienza catartica per me e per la realizzazione di questo progetto, e in assoluto la cosa più bella e toccante che io abbia mai visto. Mi ha colpito la performatività legata alla stanza, dove ci sono regole e codici da rispettare: la sterilizzazione di ogni elemento organico e no, l’accesso limitato, l’annotazione degli orari di apertura e chiusura delle porte, videocamere ovunque. Sembrava di stare in un film, in una sorta di Matrix. Nell’operazione l’unico elemento organico visibile erano gli occhi del paziente, spalancati come in Arancia Meccanica di Kubrick. Tutto il resto era meccanizzato, compreso il processo d’operazione: le mani del dottore non agivano direttamente sul paziente ma comandavano dei piccoli joystick, tramite cui dei micro-tools andavano ad operare dentro l’occhio. Scomparsa anche qualsiasi forma di contatto umano. Gli occhi sbarrati in mezzo a questo ambiente totalmente meccanizzato mi hanno fatto provare una sensazione davvero uncanny; sembrava di trovarsi di fronte ad una creatura di scienza-finzione con soggetto l’organo umano ampliato a contatto col corpo meccanico. Tutto ciò mi ha fatto riflettere ancora di più sul ruolo del mondo medico e sull’avanzamento tecnologico raggiunto in questo ambito e, più nello specifico, su quali siano le ripercussioni di questi avanzamenti nella nostra vita sociale, quale il loro valore politico. Essendo io una persona trans, che ha dovuto affrontare una medicalizzazione (e tutt’ora esisto grazie a medicina e chirurgia), in che posizione mi metto rispetto a questo mondo medico? Dove esisto io in questo mondo medico?

Agnes Questionmark Nexaris, 2024 Jesmonite, silicone, pittura acrilica, ferro e sound design Dimensioni: 900 cm x 480 cm x 640 cm di altezza Courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio Ph Leonardo Morfini
Agnes Questionmark Nexaris, 2024 Jesmonite, silicone, pittura acrilica, ferro e sound design Dimensioni: 900 cm x 480 cm x 640 cm di altezza Courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio Ph Leonardo Morfini

MC: Entriamo più nel dettaglio delle opere. Il sonoro che invade lo spazio di entrambe le sale, le differenti scelte registiche nel video Opera Medica, la composizione materica del macchinario e del corpo del paziente nell’installazione Nexaris; tutto contribuisce ad avvolgere sensorialmente chi attraversa lo spazio e a realizzare il significato stesso dell’opera. La tecnica, al servizio dell’idea, ricopre un ruolo importante nel tuo lavoro. Hai un team di collaboratori stabile? Quante e che figure hanno contribuito alla realizzazione di Nexaris Suite?

AQ: Ho lo stesso team di tecnici dal 2018 e ho recentemente preso uno studio in Italia solo per loro; voglio che stiano bene, siano felici e abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno. Con loro ho un rapporto bellissimo perché conoscono alla perfezione il mio lavoro, sanno di cosa necessito e il fatto che lavoriamo insieme da così tanto tempo fa sì che ci sia una fiducia totale tra di noi e si possa lavorare a distanza. Io faccio tutti i disegni e le composizioni di preparazione e loro eseguono l’opera. Viaggio infatti molto spesso in Italia per controllare i lavori. Ho poi un team di produzione con un project management. Diciamo che il mio lavoro “takes a village” (ndr. ride), per realizzare queste installazioni giganti che ovviamente non potrei realizzare da sola.

MC: Nell’installazione video Opera Medica, dottoressa e infermiera si accaniscono sul corpo alieno del paziente. Sembrano provare godimento nell’aggredire un corpo diverso, non conforme, in un crescendo di violenza che dallo scrutinio morboso e invasivo giunge fino alla follia dell’azione omicida. Cosa sta all’origine di questo comportamento sadico?

AQ: Il video Opera Medica è stata una parodia. Avevo bisogno di fare un video ironico, divertente e ho coinvolto un’altra persona trans, una mia grandissima amica con la quale collaboro da tanto tempo. Volevo creare una sorta di risposta al mondo medico per sublimare le frustrazioni che, come persone trans, abbiamo subito, e che tutt’ora subiamo. Non sto giudicando negativamente il mondo medico: alla fine è grazie a medicine e dottori che riusciamo ad essere noi stesse; però ciò non toglie che durante la transizione si passi attraverso oppressioni molto forti e i passaggi di operazioni su corpi non conformi che si vedono in Opera Medica sono la metafora del processo di medicalizzazione delle persone trans. È un video quindi parodico, divertente, ispirato a tanti film che guardo (da Dario Argento a John Water), che punta anche a realizzare qualcosa di scherzoso e trash quando di solito i temi trasgender e queer vengono affrontati in maniera molto seria. Stavolta ho provato a farlo attraverso l’ironia, un po’ come in Orlando di Paul Preciado. Lui solo poteva fare un film così ben fatto, divertente, su tutte le frustrazioni e i piccoli dettagli che le persone trans devono affrontare durante il loro percorso. Come nel suo caso ho cercato di dare vita ad un film trans per persone trans. C’è bisogno di persone trans che creino queste narrative, che si approprino della scienza-finzione, da sempre dominata da artisti maschi, eteronormativi. Io questo lo sento molto, sento di dover creare una nuova scienza-finzione, una nuova narrativa per persone non solo trans e queer, ma anche per tutti coloro che vivono delle sensazioni di disagio all’interno della dominanza maschile eteronormativa. 

MC: Lo sguardo (meccanico, umano o alieno che sia) e la sua capacità di controllare, difendere, aggredire, ricopre un ruolo fondamentale nell’esposizione. Anche nella tua opera alla Biennale di Venezia, Cyber – Teratology Operation, lo sguardo era un tema: in quel caso però gli occhi della creatura erano sbarrati da una lastra metallica, mentre in Nexaris sono l’unica parte visibile del corpo. Mi puoi parlare di più di questa potenza insita negli occhi?

AQ: Lo sguardo, come scrive Donna Haraway in The reinvention of nature, “è il punto di partenza per una risposta, per un cambiamento”. Haraway parla tantissimo di situated knowledges, ovvero la postazione dalla quale tu parli, reagisci contro un sistema. Lo sguardo, the vision, per lei è importantissimo: può essere medico, meccanico, tecnologico, quindi di surveillance, oppressione e controllo, ma può essere anche dal basso verso l’alto, a sfidare questa gerarchia. È importante, in questo momento di estremo controllo tecnologico, mantenere quello sguardo umano dal basso verso l’alto, per poter far fronte a questa onnipotenza e onnipresenza della tecnologia. Quindi lo sguardo, che risponde e ritorna indietro al mittente, è l’unica arma che abbiamo oggi, dove la tecnologia si è astratta e inserita un po’ ovunque. Questo è un po’ il senso di dare importanza allo sguardo della creatura, cosa che a Venezia mancava perché in quel caso era importante per me meccanizzare lo sguardo, farlo passare attraverso la telecamera. 

Agnes Questionmark Nexaris, 2024 Jesmonite, silicone, pittura acrilica, ferro e sound design Dimensioni: 900 cm x 480 cm x 640 cm di altezza Courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio Ph Leonardo Morfini
Agnes Questionmark Opera Medica, 2024 Video a 3 canali, 9’ Courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio

MC: In molti tuoi lavori il confine tra realtà e finzione si assottiglia fino a scomparire. Penso ad esempio ad Attempt I e Attempt II, in cui i visitatori devono aver pensato di ritrovarsi di fronte a dei reali esperimenti scientifici. Anche quando la finzione è esplicitata però, come nel caso di Nexaris Suite, permane la sensazione di trovarsi di fronte ad una potenziale realtà alternativa, forse non così distante da noi. Dato anche il tuo interesse per l’ingegneria genetica, quanto è importante che le tue creature si avvicinino alla nostra realtà fisica? La plausibilità è effettivamente un elemento che cerchi d’infondere ai tuoi lavori?

AQ: È un po’ la domanda centrale del mio lavoro e tendo a pormela io stessa. La risposta è sì e no. Da un certo punto di vista è importante per me dare un messaggio forte e creare un’illusione in cui lo spettatore si senta veramente in un mondo alieno, diverso da quello umano o da quello a cui è sempre stato abituato, in un’altra realtà. Un’alternativa più presente che futura però: tutti questi esperimenti genetici, tutti questi cambiamenti di trasformazione sono già in atto adesso nel mondo medico, nel mondo agricolo, alimentare, farmaceutico. Ci sono già le chimere, gli ibridi, gli esperimenti transgenici e noi stessi accogliamo la mostruosità, siamo mostri; i corpi queer sono considerati tali ma anche quelli non queer: abbiamo l’abietto, il mostruoso. Il mio lavoro diviene allora lo specchio di una parte nascosta o che celiamo dell’essere umano. Quest’illusione che porto alla luce dev’essere quindi plausibile, come dici tu, ma al tempo stesso rimane per me fondamentale negare la sua veridicità, dando spazio alla parodia, all’ironia, all’assurdo. Da questo punto di vista mi vengono ancora in mente i film di JohnWaters e la loro importanza all’interno di una narrativa queer, nel non eseguire sempre tutto alla perfezione. Dentro Nexaris Suite per me l’installazione Nexaris è la parte più di qualità, teatrale, e come il teatro è illusione; Opera medica no, i corpi sono palesemente di silicone e non ho dato importanza a tutta la parte più trash. L’ho curata meno, volontariamente. Sto anche io stessa abbracciando una sorta di leggerezza nel mio lavoro e di divertimento, mi dico che non deve essere sempre tutto preciso e perfetto. 

MC: Mentre la tua arte indaga il transumano e propone un’umanità libera dalle restrizioni normative binarie, la nostra società manifesta ancora spire omofobiche, transfobiche e razziste, fa fatica ad abbandonare preconcetti secolari. Donald Trump ha da pochi giorni firmato un ordine esecutivo mirato in sostanza ad eliminare l’identità transgender e non-binary. Come ti rapporti con questo orrore quotidiano e in che modo, se lo fa, influisce sul tuo lavoro?

AQ: Prima di tutto un chiarimento. Tante volte il mio lavoro viene legato al transumanesimo che però si sta rilevando estremamente problematico in questi anni. La mia opera è in realtà una critica al transumanesimo come viene presentato oggi da Trump, Musk e tecnocrati vari, ovvero nei termini di sviluppo di un corpo umano, bianco, cisgender e normativo che possa andare a conquistare nuovi pianeti. Mi rivedo di più nel postumanesimo di Rosi Braidotti per dire o più in generale in termini come transpecismo. Per tornare alla tua domanda, in Italia siamo abbastanza pronti e preparati a questo tipo di discorsi politici ma ciò non toglie che non dobbiamo continuare a lottare per la nostra identità. Io un po’ me ne frego, nel senso che Trump può dire quello che vuole e io non ho bisogno della sua conferma per essere me stessa. È ovvio che le conseguenze delle sue azioni sono catastrofiche perché danno valore a chi nel suo piccolo agisce da transfobo. A me però tutto questo dà la forza di continuare a lottare: sono scappata dall’Italia per questo, per fuggire dalla transfobia, dall’omofobia e dal bullismo ed ora che mi ritrovo in un paese in cui di nuovo veniamo targetizzati politicamente, come pura demagogia, non si spegne in me la voglia di continuare a lottare. A New York c’è un’enorme comunità di persone trans, quindi in realtà possono dire quello che vogliono in politica ma noi esistiamo e ci moltiplichiamo. Tutto questo fa capire quanto è vacuo e nullo quel che dice una persona così potente, può fare tutte le leggi che vuole ma noi esistiamo e creiamo la nostra comunità e identità. Ovviamente mi rendo conto di dire tutto ciò da una prospettiva privilegiata, sempre tornando alla visione, perché sono una persona bianca e agiata economicamente, ho potuto fare degli studi ed il mondo dell’arte è estremamente privilegiato. Chi davvero rischia molto di più sono persone non bianche che appartengono ad una classe sociale bassa, dato che in America si tratta sempre di un problema di classe e di etnia/razza. Però ecco, consapevole della mia fortuna, l’atteggiamento e le parole di questi soggetti mi danno solo più forza di dire “okay dobbiamo davvero rimboccarci le maniche”, noi che possiamo dobbiamo continuare a fare arte e prenderci dei rischi contro questi bulli.

Agnes Questionmark Opera Medica, 2024 Video a 3 canali, 9’ Courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio Ph Leonardo Morfini
Agnes Questionmark Opera Medica, 2024 Video a 3 canali, 9’ Courtesy Associazione Culturale Dello Scompiglio Ph Leonardo Morfini