ATP DIARY

Interview with Rosa Aiello — FATE PRESTO, Casa Masaccio

[nemus_slider id=”70611″] — English text below Fino al 26 novembre prosegue la mostra FATE Presto di Rosa Aiello a cura di Rita Selvaggio. Ospitata negli ambienti di Casa Masaccio a San Giovanni Valdarno, la mostra sviluppa un’approfondita riflessione dell’artista su quelle che lei chiama “strutture”, ossia l’insieme di linguaggi, codici, regole, dogmi che vigono nel […]

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Fino al 26 novembre prosegue la mostra FATE Presto di Rosa Aiello a cura di Rita Selvaggio. Ospitata negli ambienti di Casa Masaccio a San Giovanni Valdarno, la mostra sviluppa un’approfondita riflessione dell’artista su quelle che lei chiama “strutture”, ossia l’insieme di linguaggi, codici, regole, dogmi che vigono nel nostro quotidiano: “famiglia, architettura, città, la galleria, moralità, narrazione, ruoli sociali, istruzione, colpa, tassonomia, dovere, solo per citare alcuni esempi.”  Partendo da ritrovamenti casuali – una pubblicità, una frase sentita, una notizia – l’artista tesse un percorso espositivo ritmanto dal titolo stesso della mostra “Fate presto”: “Volevo stabilire un rapporto pressante con lo spettatore, trasmettergli un’urgenza, la mia stessa ansia dovuta a come dare senso a questa massa di frammenti.”
Scendendo a compromessi con ciò che le piace, che ama e che ha vissuto, la Aiello ha concepito una mostra-puzzle dove lo spettato può, mediante un atto combinario, costruire e seguire il proprio ‘buon senso’ verso la comprensione delle opere.
Il percorso espositivo – servendosi di loop, di suoni e luci, alfabeti, puzzle e giochi di enigmistica, di interventi decorativi minimi – agevola l’emersione della storia domestica delle stanze di Casa Masaccio che, inevitabilmente, si intrecciano con la stessa narrazione – reale o immaginaria – dell’artista.

Rosa Aiello, Fate Presto. Casa Masaccio Centro per l'Arte Contemporanea. Exhibition view. Ph OKNOstudio.
Rosa Aiello, Fate Presto. Casa Masaccio Centro per l’Arte Contemporanea. Exhibition view. Ph OKNOstudio.

Segue l’intervista con Rosa Aiello

ATP: In una mostra recente presso la Galleria Vavassori di Milano, sono stata colpita da uno dei tuoi statement : “ Se penso a situazioni come questa, risulta evidente che le strutture ci proteggono dagli eccessi”. Cosa vuoi dire? Di che tipo di strutture parli?

Rosa Aiello: In mostra c’era un’altra dichiarazione: “Se guardo a situazioni come questa, allora non ci può essere alcun dubbio sulla violenza delle strutture”. Questa posizione è molto più rappresentativa di ciò in cui credo, mentre l’affermazione che citi tu era più che altro una proposizione, non un’opposizione, non una posizione inconciliabile, ma solo apparentemente contraddittoria.
Volevo ammettere la mia ambivalenza di giudizio sulle strutture, la mia paura nei loro confronti, il mio essere all’interno di esse e il fascino che provo per loro. Uso una definizione allargata per dire che cosa è una struttura. Includerei: linguaggio, famiglia, architettura, città, la galleria, moralità, narrazione, ruoli sociali, istruzione, colpa, tassonomia, dovere, solo per citare alcuni esempi. Volevo anche indicare il pericolo nel valutare aneddoti o “ il senso comune” come misure di verità.

ATP: Parlando di “Fate Presto” la tua mostra per Casa Masaccio, potresti spiegarmi in che senso hai interpretato questo titolo. Lo consideri un ritornello?

RA: Sì è un ritornello in quanto abbiamo pensato ad una mostra che avesse un’organizzazione ritmica, oltre che spaziale. Speravo che nel ripetere la parola “Fate” (fato) in tutto il percorso espositivo potesse essere un modo di leggere le altre opere esposte, per cercare ripetizioni, per permettere drastici cambiamenti di significato basati sul contesto in cui è utilizzata una parola e per indicare questi spostamenti di significato tra lingue.
Ho trovato la frase “Fate Presto” in pubblicità (in riferimento a una svendita di scarpe), nei notiziari (in riferimento a un terremoto), nella vita quotidiana (“Siamo in ritardo!” Fate presto e entrate in macchina”), e anche, nella versione in inglese imbastardito di un titolo che trasmette poco significato, ma ha una pesante connotazione mistica.
Volevo anche stabilire un rapporto pressante con lo spettatore, trasmettergli un’urgenza, la mia stessa ansia dovuta a come dare senso a questa massa di frammenti.

ATP: Quanto la scrittura o le tecniche narrative influenzano le tue opera?

RA: I miei video e altre opere iniziano quasi sempre con la scrittura – non un copione, ma una storia o un esercizio di linguaggio che mi aiuta a capire l’umore, le sensazioni, l’ambito del materiale con cui sto lavorando. Lavorare con il linguaggio mi permette di accedere a qualcosa di concreto anche se non necessariamente razionale. Posso sempre tornare al testo originale o scrivere qualcosa nella stessa sfera di pensiero per trovare soluzioni ai problemi dell’opera. Trovo che mi riservo sempre chiavi e connessioni che potrebbero servirmi.

Rosa Aiello, Filo da bucato (re), 2017, (part.). Steel wire, steel hardware, clothespins, socks, porcelain. Ph OKNOstudio.
Rosa Aiello, Filo da bucato (re), 2017, (part.). Steel wire, steel hardware, clothespins, socks, porcelain. Ph OKNOstudio.

ATP: Il percorso espositivo sembra essere condotto da codici di linguaggio e regole. Le parole che appaiono nei quadrati magici in mostra ritornano come eco nei contenuti dei video che a loro volta sono organizzati da sistemi alfabetici e linguistici.

RA: Sento che è importante sottolineare che, per me, l’ansia è una parte importante del fare. Non paura, ma qualcosa che ha a che fare con un numero enorme di frammenti e le loro possibilità di spostamento e di relazione. Le cose mi sfuggono.
Ho spesso scelto di forzare una struttura arbitraria (come l’architettura domestica, le stagioni, gli alfabeti, le regole, piuttosto che usare la logica o un arco narrativo convenzionale) per definire i limiti e la progressione di un lavoro. Questo mi dà un falso senso di sicurezza che permette un movimento più spontaneo ed intuitivo nel corso del processo. Questa strategia nasce dalla convinzione che permettendo alle strutture familiari quotidiane di dominare, ci saranno inevitabili connessioni con l’esperienza individuale, e che l’osservare la reazione o il significato che queste strutture producono nello spettatore, mi insegna qualcosa sulla struttura stessa.
Mi piace anche usare il sistema in maniera infedele, per alimentare risultati da un sistema all’altro, creando a volte cortocircuiti – come le parole del video e quelle dei quadrati magici – ho costruito i quadrati magici dopo aver passato molto tempo sulle riprese per i video, ma poi ho scelto la sovrapposizione delle parole da una serie di cruciverba del tipo domanda e risposta, basandomi sulla loro risonanza con i quadrati magici e il filmato – le parole sono sia input che risultato nel processo decisionale.

Devo inoltre dire che la mostra è anche la più personale che abbia mai fatto. Ho provato ansia nel rivelare queste strette relazioni, di guardarle e rapportarmi con loro. Ho scelto di utilizzare materiali che mi piacciono, che perfino amo: persone che amo, un luogo che amo, la musica che amo, oggetti che mi attraggono e di rischiare tutta la sentimentalità, la nostalgia e l’indulgenza che accompagna tutto questo. I sistemi mi danno il senso di superare il rischio del frivolo collegando il personale a una struttura esterna, ma anche i sistemi stessi presentano il rischio della fatuità nel loro essere arbitrari. Mettendo insieme filmati molto personali e organizzazioni molto arbitrarie sto provando a trovare una strada che si muova tra responsabilità e rinuncia.
Mi ritrovo sempre in balia delle cose: senso e caos, ordine e irriverenza, sicurezza e ansia.

ATP: Parlando di “Calypso’s way” il romanzo a cui stai lavorando, quali sono le connessioni tra “Fate presto”, la mostra, e il libro?

Calypso’s Way e le opere per Fate Presto sono state prodotte nello stesso tempo e nello stesso ambiente, che è la mia casa di famiglia in Calabria. Entrambi i progetti hanno a che fare con le mie comunità e la mia posizione a metà dentro e a metà fuori rispetto a questo luogo (che è una nazione, una cultura, una lingua, un modo di vivere). Sono stata lì quasi ogni anno della mia vita, eppure, a differenza dei miei cugini, sono stata educata e sono nata in Canada e ho avuto tutti i vantaggi offerti da quel tipo di educazione.
Ogni componente mi ha aiutato a capire l’altra: il libro usa personaggi e una narrazione immaginaria per trattare ciò che nella mostra sono persone e luoghi reali, e naturalmente c’è un soggetto condiviso, storie condivise, uno stato d’animo simile, molte delle stesse forze sociali, ma le differenze materiali e formali significano che imparo cose molto diverse da ognuno.

Rosa Aiello, Amore Molesto, 2017. HD single channel video, multi channel sound. Courtesy the artist and Galleria Federico Vavassori. Ph OKNOs
Rosa Aiello, Amore Molesto, 2017. HD single channel video, multi channel sound. Courtesy the artist and Galleria Federico Vavassori. Ph OKNOs

Interview with Rosa Aiello
FATE PRESTO
Untill 26 November 2017 – Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno

Casa Masaccio presents FATE PRESTO, the first solo exhibition to be held by Rosa Aiello (1987) at an Italian public institution.
The show springs from a reflection on how ways of life and social structures are the result of a series of repetitions, interruptions, stutters and retreats, refrains, departures and returns, reproductions and cycles.. This is done on the level both of time (the physicality of nature, the repetition of seasons, the succession of days) and of performance (habits, customs, work, duress, the humanity of the affections), as well on that of ideology (rituals, roles, disciplines).
People have always performed ‘refrains’, i.e. with linguistic, artistic and scientific forms, modes and rituals that give order. FATE PRESTO is the refrain of this exhibition. It is a title that makes sense in Italian as well as in English, although in the transition from one language to the other it takes on a quite different meaning. Fate in Italian is an exhortation to action, to produce, and in combination with presto, signifies ‘do it quickly’, ‘hurry up’. The English word fate means destiny, the effects of events that do not depend on will. while the word presto is used to indicate a very fast tempo in music, and by conjurers, as in the phrase ‘hey presto,’ which calls to mind something that appears so quickly and easily it could be magic.

ATP: In a recent exhibition hosted by the Vavassori Gallery in Milan I was impressed by one of your statements: “If I think about situations like these, then it’s clear that structures protect us from excesses.” What do you mean? About what kind of structures are you talking about?

Rosa Aiello: There was another statement in the show, “If I look at situations like these, then there can be no doubt about the violence of structures.” This position is much more representative of what I believe, while the statement you mention was more of a proposition not of an opposite, nor irreconcilable, but seemingly contradictory position.
I wanted to admit my ambivalence about structures, my fear of them, embeddedness in them, and fascination with them. I use a loose definition to say what is a structure. I would include: language, family, architecture, cities, the gallery, morality, narrative, social roles, education, guilt, taxonomy, duty, to name a few. I also wanted to point to the danger in taking anecdotal accounts or “common sense” as measures of truth.

ATP: Speaking about your exhibition at Casa Masaccio, “Fate presto”: can you tell me in which sense did you interpreted this title? Do you consider it as a refrain?

RA: Yes it is a refrain in that we thought of the show having a rhythmic organization, over a territorial one. I hoped that repeating “Fate” throughout the show could present a way of reading the other works in the show: to look for repetition and to allow dramatic shifts in meaning based on the context of the word, and to indicate these shifts also be between languages.
I came to the phrase “Fate Presto” through advertising (in reference to a shoe sale), the news (in reference to an earthquake), in day to day life (“We’re late! Hurry up and get in the car.”), and also as a bastardized English version of a title which conveys little meaning a heavy mystical connotation.
I wanted also to establish an insistent relationship with the viewer, where I am telling them to feel urgency, where I am urging them to feel anxious with me about this mass of fragments and how to make sense of them.

ATP: How much does the writing and the narration techniques influence the making of your artworks?

RA: My videos and other artworks almost always start with writing – not a script, but a story or a language exercise that helps me understand the mood, the feelings, the field of material I’m working with. Working with language allows me to access something concrete but not necessarily rational. I can always return to the original piece of writing or write something in the same thought-world to find solutions to problems in the art work – I find I’ve always left myself keys, connections that serve me.

Rosa Aiello, Giornale Quotidiano, 2017. Newspaper. Ph OKNOstudio.
Rosa Aiello, Giornale Quotidiano, 2017. Newspaper. Ph OKNOstudio.

ATP: Language’s codes and rules seemed to lead the path of the exhibition. The words that appear in the exhibition’s squares echo in the content of the videos, which are themselves organized by alphabetic and linguistic systems. Can you explain the path that you followed for the choice and the development of the exhibition’s work

RA: I feel it’s important to say that, for me, anxiety is an important part of making. Not fear, but something to do with a overwhelming number of fragments and their shifting possibilities, relationships. Things get away from me.
I often chose to force an arbitrary structure (like domestic architecture, seasons, alphabets, rules, rather than logic or a conventional narrative arc) to define the limits and progression of a work. This gives me a false sense of security that allows more wild and intuitive movement in the making process. This strategy comes from a belief that by letting familiar everyday structures dominate, there will be inevitable connections to individual experience, and that seeing how these structures produce a reaction or meaning in a viewer will teach me something about the structure itself.
I also like to use system unfaithfully, to feed outcomes from one system back into another, sometimes creating short-circuits – like the words from the video and from the magic squares – I constructed the magic squares after having spend a lot of time with the video footage, but then chose the overlaid words from a list of crossword puzzle question and answers based on their resonance with the magic squares and the footage – the words are both inputs and outputs in the decision-making. I must also mention that show is the most personal I’ve ever done. I had anxiety about revealing these close relations, of my own looking at and relating to them. I chose to use material that I liked, even loved: people I love, a place I love, music I love, objects I am attracted to, and to risk all the sentimentality, nostalgia, and indulgence that goes along with that. The systems give me a sense that I am overcoming the risk of frivolity by connecting the personal to an outside structure, but the systems themselves also introduce the risk of frivolity in their being arbitrary.
I am trying by bringing together highly personal footage and highly arbitrary organizational to find a way forward that moves between responsibility and renunciation.
I find myself always wavering between things: meaning and chaos, order and irreverence, security and anxiety.

ATP: Speaking about the book you’re working on, “Calypso’s way”. What are the connections in between the “Fate presto” exhibition and the book?

RA: Calypso’s Way and the works for Fate Presto were made at the same time and in the same environment, which is my family home in Calabria. Both projects have to do with my communities there, and my position halfway-in, half-out of this place (which is a nation, a culture, a language, a way of life). I have been there almost every year of my life, and yet, unlike my cousins, I was educated and born in Canada, and had all of the advantages that that upbringing afforded.
Each piece helped me to understand the other: the book uses characters and a fictional narrative to treat what in the exhibition are real people and places, and there is of course shared subject, shared stories, a similar mood, many of the same social forces, but the material and formal differences mean that I learn very different things from each.

Rosa Aiello, Pomodoro arrostito, 2017. Silicone, rug. Rosa Aiello, Castagne, 2017. Chestnuts. Ph OKNOstudio.
Rosa Aiello, Pomodoro arrostito, 2017. Silicone, rug. Rosa Aiello, Castagne, 2017. Chestnuts. Ph OKNOstudio.
Rosa Aiello, Medicine, 2017. Medicines, antibiotics, cortisone, vials, steril water, hypodermic needle. Ph OKNOstudio.
Rosa Aiello, Medicine, 2017. Medicines, antibiotics, cortisone, vials, steril water, hypodermic needle. Ph OKNOstudio.