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Inner M. | Intervista con Mirko Smerdel

In occasione del progetto Inner M. di Mirko Smerdel, con una installazione sonora di Marco Paltrinieri – presentato al TIST space di Bologna, a cura di Yulia Tikhomirova e TIST – Mauro Zanchi ha intervistato Smerdel. Mauro Zanchi: Da cosa...

In occasione del progetto Inner M. di Mirko Smerdel, con una installazione sonora di Marco Paltrinieri – presentato al TIST space di Bologna, a cura di Yulia Tikhomirova e TIST – Mauro Zanchi ha intervistato Smerdel.

Mauro Zanchi: Da cosa ha preso origine il progetto che tu e Marco Paltrinieri avete portato al TIST space, a Rastignano (Bologna)?

Mirko Smerdel: Il progetto nasce da una proposta della curatrice Yulia Tikhomirova ed è una riflessione sull’idea di paesaggio in un’epoca storica segnata da enormi mutamenti ambientali e sociali. Un’idea di paesaggio che cerca di svilupparsi oltre la pura rappresentazione, attraverso due metodologie separate e parallele: Marco tramite il suono e io attraverso il disegno.

MZ: Cosa significa per te il termine “paesaggio”, in questo momento storico, nel rapporto che si viene a creare tra la maggior parte delle persone –  la quale fa finta che non sia successo nulla – e i mutamenti in atto dovuti ai cambiamenti climatici e all’inquinamento?

MS: Il pianeta sta attraversando una trasformazione così profonda da ripercuotersi, in maniera drammatica, sulla società in cui viviamo. Questo è ormai sotto gli occhi di tutti in quanto la nostra quotidianità è colpita costantemente da questa trasformazione. L’intenzione di questo progetto è di mostrare, in maniera del tutto sperimentale, questi enormi mutamenti del Pianeta e di quello che comunemente definiamo paesaggio, attraverso l’interazione di diverse forme di rappresentazione visuale (umana e meccanica), con una attenzione particolare ai piccoli dettagli che condizionano la vita quotidiana degli umani. Modificando l’ambiente anche il paesaggio viene modificato costantemente dall’uomo e di conseguenza anche l’uomo ne viene influenzato, creandosi così un circolo vizioso.

MZ: In un passaggio cruciale de’ Il mignolo di Buddha, Viktor Pelevin scrive che esiste un posto denominato “Mongolia Interna”, un luogo che al contempo (non) esiste da nessuna parte e “si trova dentro colui che vede il vuoto”, un posto che davvero vale la pena per tutta la vita cercare di raggiungere. A che punto sei del tuo viaggio diretto verso questo luogo o dimensione?

MS: Vedere il vuoto e descrivere l’invisibile sono tentativi affascinanti e impossibili, con i quali spesso mi trovo a confrontarmi nella mia ricerca, e proprio questa impossibilità di visione li rende affascinanti in quanto aprono le porte dell’immaginazione.  Che poi non è altro che il Samadhi, l’ottavo ramo dello Yoga secondo Patanjali, il luogo dove l’Io Individuale si unisce all’Io Universale. Probabilmente se riuscissi a raggiungere questo luogo potrei essere considerato un Illuminato!

MZ: Spesso usiamo parole inappropriate per descrivere qualcosa che vediamo e in cui siamo collocati o compresi. E molto spesso sovrapponiamo significati nostri (secondo la nostra formazione, esperienza, cultura, luogo di nascita, etc) o sinonimi ai sensi più estesi che hanno in sé certe parole. Ci muoviamo nella realtà e nelle sue definizioni tra i termini “paesaggio”, “panorama”, “territorio”, “ambiente”, “habitat”, “luogo”, “veduta”. Il paesaggio esiste anche se noi non lo guardiamo, anche se noi non siamo più vivi? La veduta esiste anche se immaginiamo a occhi chiusi?

MS: Le differenze credo che stiano sostanzialmente nella distanza tra l’osservatore e l’osservato. Nel nostro caso l’osservato dovrebbe essere l’ambiente, ma l’uomo è così intimamente legato all’ambiente da diventare impossibile creare delle separazioni chiare. Riguardo invece la domanda sulla veduta, credo piuttosto che ci siano tracce visive, come impressioni di luce che in una carta fotosensibile si imprimono nella memoria senza che ce ne accorgiamo consciamente. Queste forme, queste vedute, seguono percorsi inconsci, sconosciuti, e possono riemergere in maniera incontrollabile. Infine c’è la “visione” una prospettiva possibile di reale che si manifesta nell’inconscio e che non ha più un legame apparente col reale.

MZ: Ci muoviamo dentro la metafora di uno spazio intimo (sia della psiche sia della percezione sia di una dimensione altra) dove rifugiarsi dal mondo esterno?

MS: Non so se sia effettivamente possibile rifugiarsi dal mondo esterno. Sicuramente non credo che possa servire a molto affidarsi a qualche religione. Credo che il potere dell’immaginazione vada oltre la semplice produzione di immagini e che ci sia ancora tantissimo da capire sui funzionamenti della memoria e dell’inconscio. È in questa direzione che possiamo cercare tale rifugio, se mai ce ne fosse uno, in quel luogo invisibile che chiamiamo inconscio.

MZ: Come interagiscono in Inner M  i tuoi lavori e ricerche con l’audio installazione di Marco Paltrinieri? Come, insieme, esplorano l’universo delle possibilità di decostruzione della nozione comune del paesaggio e dell’affidabilità (illusoria) dei mezzi visivi?

MS: I lavori in realtà non interagiscono fisicamente, ma hanno in comune il tema di ricerca e il fatto di essere un percorso che dal mondo esterno entra nell’inconscio e nella memoria, ma lo fanno attraverso percorsi e metodologie diverse. Il lavoro di Marco Paltrinieri è esclusivamente sonoro, accompagnato da una voce narrante, e deve essere fruito in uno spazio completamente buio, in modo da lasciare il massimo spazio all’introspezione e alla possibilità di immaginare un luogo.
Il mio lavoro invece si compone di una serie di disegni apparentemente molto stilizzati e astratti, risultanti di un processo complesso di dialogo tra differenti mezzi rappresentativi.
Infine subentra in entrambi i lavori un elemento estraneo – la macchina – che però non viene inteso come uno strumento estraneo che si sostituisce all’uomo ma che in qualche modo si lega a noi e alla nostra sfera privata, in un dialogo costante tra naturale e artificiale.
Pensiamo infatti che il destino dell’intelligenza artificiale non sia quello di sostituirsi all’intelligenza umana ma di “fondersi”, in un certo senso. Stiamo già interagendo quotidianamente con le macchine, ma nemmeno ci facciamo più caso e questa forma di simbiosi è destinata a diventare sempre più complessa.

MZ: Come hai tradotto in forma (o in segno) l’idea o la presenza evocativa della “Mongolia Interna”?

MS: Al centro del lavoro risiede la raccolta di video personali e found footage di paesaggi naturali e artificiali selezionati sulla base di un’idea di habitat umano alla fine dei tempi.
Da questa selezione di video nascono i disegni, realizzati cercando di ricalcare a mano i paesaggi in movimento sul monitor.
Questi disegni sono poi stati digitalizzati e fatti disegnare da una macchina a controllo numerico, in modo da creare così un continuo rimando tra paesaggio, uomo e macchina, attraverso differenti forme di espressione e rappresentazione, dal video al disegno manuale al disegno meccanico.

MZ: Mi interessa molto approfondire la concezione del collage che tu hai ulteriormente declinato in maniera originale, partendo da una raccolta di video personali e di found footage che esplorano i paesaggi naturali e artificiali.

MS: Ho cominciato a collezionare video trovati in rete quasi più come riflesso compulsivo che con una vera idea progettuale. Stessa cosa vale per le tracce video riprese da me, senza una precisa idea di progetto ma come pura registrazione di quello che mi sta attorno.
Dopodiché ho cominciato a pensare a questo materiale come un possibile contenitore da cui attingere per costruire via via dei lavori come nel caso di questi disegni, ma anche per pensare a dei veri e propri film, che vorrei costruire come dei collage di vari elementi in dialogo tra loro e finalizzati ad un racconto. Qualcosa che formalmente potrebbe avvicinarsi molto ai film di Chris Marker, Guy Debord e Christian Marclay.

MZ: Perché hai messo in azione un doppio passaggio per visualizzare le tue immagini? Mi spiego meglio: perché hai digitalizzato i disegni che hai ottenuto con il gesto della mano per poi farli ridisegnare da una macchina a controllo numerico? 

MS: Mi interessa molto che emerga una certa ambiguità tra disegno manuale e meccanico oltre che nella rappresentazione stessa del paesaggio. Questa ambiguità vorrebbe servire a far chiedere allo spettatore che cosa stia effettivamente guardando.

MZ: Che senso ha continuare a creare opere d’arte, libri, saggi, composizioni musicali, case, etc. visto che la scienza prospetta la sesta estinzione di massa?

MS: Quando nasciamo sappiamo già che siamo destinati a morire, eppure ci sforziamo a vivere il nostro unico (o forse no) passaggio nel mondo al meglio. Non sono pessimista. Anzi, credo che il conoscere (in questo caso, la possibilità di un’estinzione di massa) debba aiutare a vivere con più consapevolezza.
In più se siamo all’inizio della sesta estinzione di massa e se quindi la storia del mondo ne ha già viste altre cinque, possiamo presumere che anche dopo questa estinzione ci sarà un nuovo ciclo. Questa nuova era predetta da molti studiosi, tra cui Richard Leaky e Roger Lewin, non sarà necessariamente la fine della vita sulla terra e non è detto che gli umani rientreranno tra le specie in estinzione, dipenderà molto dagli umani stessi visto che la particolarità di questa sesta estinzione di massa è quella di essere causata proprio dagli umani, i quali non sembrano rendersene troppo conto, forse perché è un fenomeno troppo grande e complesso. Credo che la necessità di registrare e di testimoniare e infine di lasciare tracce in varie forme sia insita nell’uomo.

Inner M.
Di Marco Paltrinieri e Mirko Smerdel
A cura di Yulia Tikhomirova e TIST
1-20 novembre TIST space
Via Serrabella 1, Rastignano (Bologna)
Opening: 1° novembre dalle 12 alle 18. Orario performance: 13.00, 15.00, 17.00