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Testo di Paola Tognon
Alla Collezione Maramotti, accanto alla mostra personale di Corin Sworn, quinto Max Mara Art Prize for Women, troviamo una mostra davvero speciale, come il suo titolo, Industriale Immaginario (fino al 24 aprile 2016). Lavorando sulle opere della Collezione Maramotti mai esposte in precedenza, alcune fra quelle che appartengono al primo nucleo storico di acquisizioni della Collezione, altre acquisite recentemente o commissionate nel tempo, la mostra configura, articola e propone l’analisi di una relazione rilevante negli ultimi decenni, quella fra materiali e contesto, fra prodotto e rielaborazione, tra manufatto e artefatto, tra informazione e comunicazione, tra politica e poetica. Ciò che ne emerge, attraverso l’assonanza o la contrapposizione di opere, anche di epoche apparentemente lontane (dall’opera del 1953 di Nuvolo alle più recenti, del 2013, di Laure Prouvost o di Elisabetta Benassi) è una lettura inedita che, senza voler dimostrare o asserire concept di tendenza, lavora per accogliere e svelare una possibile costante dell’arte, quella della rappresentazione della realtà e della sua percezione tra naturale e artificiale, tra memoria individuale e collettiva.
Le opere, che si allargano nelle sale al piano terra della Collezione, sono allestite mediante un template semplificato per luce e geometria, funzionale alla focalizzazione dei singoli lavori e insieme alla messa in evidenza di relazioni o dialoghi insospettabili (ma non casuali) che, pur senza rigidi criteri cronologici, generazionali o materiali, si instaurano da una parete all’altra o da una sala a quella successiva. Non si tratta quindi di una mostra tematica, e tantomeno di un espediente per esporre opere inedite appartenenti ad una collezione di particolare rilievo, ma più sottilmente e felicemente di un sistema di analisi che, basandosi sulla profonda conoscenza delle opere e del loro contesto storico-artistico, apre a relazioni inaspettate e provocanti. Così come succede con il titolo stesso della mostra: Industriale Immaginario. Ripensarlo, dopo aver visto l’opera di Andrea Zittel, A-Z Wagon Station customized by Hal McFeely del 2003 o quella di Krištof Kintera, Small Factory (Personal Industry L.T.D.) del 2009; oppure quella di Elisabetta Benassi, Untitled (The Innocents Abroad) del 2011 e quella di Kaarina Kaikkonen, From Generation to Generation del 2001 ci permette di cogliere, in libertà e quasi con uno stupore curioso, la valenza del binomio e alcuni fra i suoi possibili svolgimenti dentro la storia e la memoria. Per tutto ciò – e pur con tutte le dovute differenze di entità e misura – dopo aver visto a Torino la prova muscolare (e forse inutile dal punto di vista del valore aggiunto) delle esposizioni Tuttovero al Castello di Rivoli e alla GAM, la mostra Industriale Immaginario torna alla memoria come una felice proposta di lettura oltre che di scoperta di opere inedite.
Ecco in ordine alfabetico i nomi degli artisti coinvolti nella mostra Industriale Immaginario: Vincenzo Agnetti, Elisabetta Benassi, Lara Favaretto, Paolo Grassino, Gregory Green, Peter Halley, Matthew Day Jackson, Kaarina Kaikkonen, Krištof Kintera, Annette Lemieux, Nuvolo, Carl Ostendarp, Laure Prouvost, Tom Sachs, Vincent Szarek, Andrea Zittel.