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IL SOSIA — ARTISTI E COLLEZIONI PRIVATE
Galleria Civica, Trento, 30 maggio – 11 ottobre 2015
Che poi non si dica che il Mart non valorizza le proprie collezioni! A guardar bene, anche con uno sguardo d’insieme un po’ affrettato, le due mostre che s’interfacciano al Mart e alla Galleria Civica di Trento in questo periodo e fino all’autunno, sono un importante progetto culturale incentrato sulle collezioni del museo. Da una parte, nella sede principale di Rovereto, al primo piano, #collezionemart: una mostra letteralmente bifronte, perché si snoda tra due gallerie con due differenti titoli #modernaclassicità e #canonecontemporaneo. Dall’altra, Il sosia. Artisti e collezioni private: una mostra che porta otto artisti contemporanei a interpretare la relazione tra i ruoli dell’artista, del curatore e del collezionista.
Se il curatore figlio d’arte Federico Mazzonelli si pone volutamente “a lato” del percorso espositivo, gli artisti formano la mostra attraverso rapporti di somiglianza, confronto, similitudine, differenza, specchiamento, ispirazione con le opere dei collezionisti privati chiamati in causa.
Sono dunque due gli attori in scena: 8 artisti da una parte ( Michael Fliri, Adrian Paci, Eva Marisaldi, Luca Vitone, Giacomo Raffaelli, Marzia Migliora, Luca Coser e Alice Ronchi) e 8 collezionisti dall’altra ( Collezione Antonio Dalle Nogare, Gianfranco de Bertolini, Roberto Degasperi e Elisabetta Alberti, Mauro de Iorio, Giorgio Fasol AGI Verona Collection, Francesco Giovanelli, Paolo Pedri e Collezione V.R.)
Si parte all’entrata delle sale con una serie di rimandi alla Natura morta, il Ritratto e il Paesaggio che il curatore allestisce come invitasse lo spettatore a giocare sui generi: ecco Pier Paolo Calzolari, Ryan Gander e Markus Schinwald. Si procede con la prima tappa: le bellissime maschere di Michael Fliri (Tubre, Bolzano, 1978), The void sticks on us II (2015), che si riflettono o, anzi, non si riflettono sulla superficie a specchio minimalista di Daniel Buren e nello sdoppiamento concettuale della tela di Giulio Paolini.
Adrian Paci (Scutari, Albania, 1969) è il secondo artista contemporaneo che s’incontra nella mostra: The Guardians (2015) è un lavoro video girato nel cimitero cattolico di Scutari mentre dei bambini puliscono e si prendono cura delle tombe, dopo esser state per molto tempo abbandonate a causa del regime, che impediva il culto e la vita religiosa. Le architetture pure, solide, essenziali, abbandonate e misteriose del cimitero si allineano concettualmente agli edifici metafisici che compaiono nella Piazza d’Italia con torre rosa (1934) di Giorgio de Chirico e al capannone industriale dipinto da Giovanni De Lazzari.
Più intimo il lavoro di Eva Marisaldi (Bologna, 1966) che presenta una serie di disegni formato A5 fermati a terra da dei sassi, vicino alle opere di Alexander Archipenko, Zanele Muholi, Django Hernandez e Mike Nelson. Sono disegni, lei dice, che partono dalle “riflessioni di quattro menti” e che mi sembrano appunti visivi, bozzetti appena accennati di pensiero sul lavoro artistico. Il lungo corridoio che porta al piano di sotto della Galleria, mette a parete uno di fronte all’altro due lavori di Giacomo Raffaelli (Rovereto, 1988): il video NPLone (2014), acquisito da un collezionista con cui l’artista si è posto in dialogo nei mesi precedenti alla mostra, e alcune opere a parete di cornici con diverso spessore che “registrano” con la pittura gli incontri avvenuti tra artista e collezionista. L’unico lavoro, questo, che non si confronta con altri artisti delle collezioni ma con il collezionista Alter Ego dell’artista, simile nella differenza.
Marzia Migliora (Alessandria, 1972), ispirata al lavoro di Gander, una figura in bronzo distesa simile a una ballerina di Degas che gioca con una piccola forma geometrica, realizza dei gruppi scultorei composti da un vaso tondeggiante di argilla dal fondo instabile, che si sostiene grazie a delle rigide forme bronzee poste attorno, avvolte da una cinghia nei tipici colori del modernismo, giallo rosso blu e nero. Come il fuggevole linguaggio impressionista della ballerina si contrappone alla rigidità della geometria modernista, i fragili vasi della Migliora vacillano senza la presenza delle strutture che li sorreggono.
Con il lavoro Vuole Canti, Luca Vitone (Genova, 1964) lavora sull’anagramma del suo nome e di 18 artisti trentini il cui nome anagrammato è nascosto nel titolo di altrettante fotografie di alberi esposte in mostra. Ogni albero diventa un debutto, il segno che ciascun artista ha lasciato sul territorio. Assieme alle stampe, Vitone presenta le autentiche di opere degli artisti che sono state collezionate in regione.
Le ultime due stanze dell’allestimento ritornano sui temi classici del volto e del ritratto con Luca Coser (Trento, 1965) e i suoi lavori L’arte, insomma, non esiste e Doppio sogno, che si connettono a un cangiante volto di Medardo Rosso e a un viso ieratico di Tullio Garbari. Mentre Alice Ronchi (Ponte dell’Olio, Piacenza, 1989), in un delicato accostamento con la fotografia di Luigi Ghirri intitolata Santa Severa, che ci fa osservare una marina attraverso una grata, ritorna sul paesaggio smontandolo nei suoi aspetti più minimali e astratti: un video proiettato con un 16 mm ci mostra delle righe di colore in loop, la ripartizione geometrica di una veduta, e le sculture Flora rendono tangibile la fisicità del paesaggio intravisto attraverso dei vasi impilati gli uni sugli altri.
La conclusione del percorso arriva diretta con il lavoro specchiante di Justin Beal e le due fotografie di Roni Horn di una volpe artica che ci fissa frontalmente in una, mentre ci gira le spalle nell’altra. Uno sguardo Altro intenso e vicino ma che già ci sfugge.
Testo di Valeria Marchi