Biografie che si mischiano a studi accademici, vita vissuta che si intreccia con ricordi (veri o presunti), conoscenza che sporca di esistenza e viceversa. Nella mostra di Guglielmo Castelli, a cura di Milovan Farronato, il tema centrale e l’infanzia con le sue crasi, le sue leggerezze e misteri. Improving Songs for Anxious Children – ospitata dal 16 aprile al 7 luglio 2024 a Palazzo Tito (Fondazione Bevilacqua la Masa) – riunisce una serie di dipinti, maquette, opere tessili e lavorate a maglia che, nell’insieme, sondano il labile confine tra fragilità e violenza. Il titolo è mutuato da un libro per bambini pubblicato all’inizio del ventesimo secolo che mette in guardia contro la sbadataggine, la disattenzione, il raccontare bugie e altri comportamenti apparentemente scostumati dei bambini.
Per questa occasione abbiamo posto alcune domanda al curatore Milovan Farronato.
Elena Bordignon: Al centro della mostra di Guglielmo Castelli, troviamo il mondo dell’infanzia, con le sue idiosincrasie fatte di rabbia e dolcezza, paure e spensieratezza. Nel ruolo di spettatore, prima che curatore, quanto ti è consono il mondo (misterioso) dell’infanzia?
Milovan Farronato: Ho molti ricordi dell’infanzia, frugali e incerti. Presenti e inconsistenti. Sfuggenti quanto le immagini dipinte da Castelli. Gravitanti di ombre la cui origine non sempre è certa e il cui peso è greve come quello delle nuvole di Caravaggio. Ricordo chiaramente una gabbia di uccelli nella casa di una bisnonna a Bassano del Grappa, dove tu sei nata, ma se fosse reale avrei avuto solo un anno o poco di più. Forse da bambino ho visto una foto di quell’immagine, ma se fosse andata così, non è dato sapere perché quella foto non esiste negli album di famiglia. Immagini dentro immagini? Credo che accada anche nei dipinti di Guglielmo. Ci sono molti flashback e altrettante ricorrenze. Anche nei miei ricordi infantili ci solo motivi ed elementi che ritornano come gli uccelli.
EB: Il titolo della mostra, Improving Songs for Anxious Children, è mutuato da un libro per bambini pubblicato all’inizio del ventesimo secolo che mette in guardia contro la sbadataggine, la disattenzione, il raccontare bugie. Come ha tradotto o trasformato Castelli il mondo bambinesco?
MF: C’è una certa divertita e decisamente consapevole perseveranza. Un agrodolce senso di persistenza e accanimento. Giona nella balena, un fiammifero che accende una maledizione . E poi Luise Bourgeoise che ha sempre ragione. E una vetrina ricolma di dolci in prossimità di un eden incatenato. Ti ho convinta?
EB: Oltre al mezzo pittorico, Castelli ha ampliato il suo linguaggio espressivo mediante maquette, opere tessili e lavorate a maglia. Come dialogano queste tecniche con la pittura?
MF: Dice Castelli che per continuare a dipingere ci vogliono ragioni serie e che per trovare un rinnovato desiderio avverte ogni tanto l’irrefrenabile bisogno di migrare altrove. Io gli credo.
EBAl di là del tema della mostra, il mondo visionario che appare nei dipinti di Castelli richiama molte ricerca di pittori storicizzati; non mi riferisco solo alle avanguardie storiche, ma anche più indietro, al Manierismo e a certi pittori minori e dalle eccentriche ricerche e sperimentazioni. Dal tuo punto di vista, quali sono i pittori che avvicineresti alla sua ricerca?
MF: Nel comunicato stampa di questa mostra abbiamo citato le atmosfere metafisiche di De Chirico. Nel mio testo che accompagna la pubblicazione menziono più di un periodo e un genere che un autore: i libri di emblemi ci dirottano nel 600 fiammingo . Castelli compone anche un mondo brulicante , pieno di dettagli. Comunque penso anche a dei contemporanei come Kai Althoff e Enrico David . Non per attribuirgli una parentela, ma per immaginarli espressioni distinte di un comune, attuale bisogno.
EB: Liquida, stratificata, materica o rarefatta, gestuale e, al tempo stesso, lenticolare. Se ci soffermiamo alla grammatica strettamente pittorica delle opere di Castelli, direi che l’artista riesce a controllare tante e diverse tecniche. Al servizio del suo racconto immaginifico, come leggi e racconteresti il suo fare pittura?
MF: Come dici tu a strati progressivi e disciplinati. Cinque passaggi in totale . Un processo fluido, ma calcolato . Un racconto intenzionale, ma benedetto da qualche imprevisto nel finale. Ellittico non lineare . Ti basta ? Altrimenti potrei aggiungere in conclusione ‘paradossale’!