Testo di Alessandra Martina —
Che cosa ne sarebbe delle opere di Hidetoshi Nagasawa se non gli avessero rubato la bicicletta in Italia? L’architetto, scultore e performer giapponese, lasciò il suo paese d’origine a 26 anni per intraprendere un lungo viaggio in bicicletta che il caso ha voluto che terminasse proprio nel capoluogo lombardo. Milano omaggia l’artista nipponico attraverso la mostra retrospettiva “Hidetoshi Nagasawa. 1969 – 2018”, curata da Giorgio Verzotti, presso tre sedi espositive della città: BUILDING, Galleria Moshe Tabibnia e Casa degli Artisti.
All’interno delle sale espositive della galleria BUILDING fino al 20 luglio, ritroviamo la sezione più ricca e sostanziosa, che ripercorre l’intero arco della produzione dell’artista, dagli esordi fino alle ultime opere inedite. La mostra non segue un criterio cronologico ma si snoda in relazione alle esigenze dello spazio su tre dei quattro livelli della galleria.
Attraverso una selezione di circa quaranta opere, la mostra offre la possibilità di accentuare quelle che sono le due caratteristiche distintive della ricerca dell’artista nipponico: la sua attenzione verso i rapporti tra l’opera e l’architettura e la sua visione quasi utopistica di una scultura apparentemente priva di peso, sospesa nello spazio seppur di dimensioni monumentali.
É il caso dell’opera Casa del poeta (1999), un capanno pensile installato alla parete che ci accoglie appena varcata la soglia della sala al pianterreno. In questa dimora, la poesia domina sulla scultura fino a dissolverla, privandola della sua fisicità e riempiendola di leggerezza.
Addentrandoci nella sala, al di sotto del suggestivo lucernario, troviamo Oro di Ofir (1971), opera in cui il gesto determina la forma attraverso due elementi dorati che riproducono lo spazio interno alle mani chiuse dell’artista. Così Nagasawa cerca un dialogo tra Oriente ed Occidente, attraverso il principio del “Ma”, filo conduttore dell’intera mostra, che sta ad indicare l’idea di un vuoto mai in opposizione al pieno.
Salendo le scale, protagonista del primo piano è l’opera Colonna (1972), installata a pavimento, costituita da segmenti di marmo di vario colore e provenienza, intervallati da minimi ma visibili spazi, creando l’illusione di essere stati originariamente un unico blocco di marmo.
“M’interessa riscontrare fino a che punto è possibile ricordare ciò che si è visto attraverso il tatto. Io penso di poter ricordare più attraverso la mano che attraverso l’occhio”, con queste parole l’artista introduce Toccata (1972), opera che tuttavia è relegata in una piccola ala del secondo piano. Un videotape prodotto da Luciano Giaccari, in cui l’artista tocca lentamente un corpo di una donna nuda. Alla scomparsa della donna, Nagasawa rivive il ricordo del corpo disegnandolo su una stoffa con la mano sporca di carbone.
Nella sala adiacente, tra le varie sculture, attira l’attenzione Bastone (1972), un elemento marmoreo posizionato ad angolo tra le pareti della stanza, in cui emerge il concetto di doppia temporalità tra le due estremità.
Infine, la mostra include una lunga serie di lavori su carta, attraverso cui si manifesta una forte componente progettuale, messa però in secondo piano dalle imponenti sculture in marmo.
Fino al 25 maggio invece la Galleria Moshe Tabibnia, presentava l’inedito dialogo meditativo tra l’opera di Nagasawa, Barca (1983-1985) e i cinque tappeti da preghiera Ushak a piccolo medaglione, i cosiddetti “Tintoretto”.
Infine, un’ulteriore sede espositiva è la Casa degli Artisti, fondata dallo stesso Nagasawa, che fino al 4 giugno ha ospitato una raccolta di opere volte a restituire la dimensione più progettuale del lavoro dell’artista nipponico. Nell’atelier al primo piano, dove l’artista ha lavorato per trent’anni, era installata una selezione di disegni, maquettes e calchi preparatori che mettevano in luce la dimensione progettuale e creativa della sua ricerca. Materializzazione delle fasi preparatorie è il Compasso di Archimede (1991), un’imponente scultura esposta sul terrazzo adiacente. L’artista spiegava che le “Tre sbarre di ferro sistemate al centro di uno spazio si sollevano a un’estremità incrociandosi. Una gabbia di ferro blocca il movimento in alzata. […] Lì si materializza il concetto di tempo, che fa sparire il peso del materiale”.
Hidetoshi Nagasawa. 1969–2018
A cura di Giorgio Verzotti
Galleria Building, Milano// fino al 20 luglio 2024
Galleria Moshe Tabibnia, Milano// Chiusa il 25 maggio 2024
Casa degli Artisti, Milano// chiusa il 4 giugno 2024