ATP DIARY

Il ‘realismo’ di Francesco Arena

  Riduzione di mare, 2012 –  Photo Credit: Massimo Valicchia – Courtesy: the artist and Monitor  Dettaglio performance – Photo Credit: Massimo Valicchia – Courtesy: the artist and Monitor   Orizzonte, 2012, Photo Credit: Massimo Valicchia – Courtesy: the artist and Monitor  *** Ci sono i temi agghiaccianti da una parte e la pesantezza del […]

  Riduzione di mare, 2012 –  Photo Credit: Massimo Valicchia – Courtesy: the artist and Monitor
 Dettaglio performance – Photo Credit: Massimo Valicchia – Courtesy: the artist and Monitor

  Orizzonte, 2012, Photo Credit: Massimo Valicchia – Courtesy: the artist and Monitor

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Ci sono i temi agghiaccianti da una parte e la pesantezza del metallo, del sale e della terra dell’altro. Da una parte ci sono sofferenza, ingiustizia, disumanità, pazienza, salvezza, morte  e vita, e dall’altra ci sono delle forme minimali. Francesco Arena – in occasione della sua mostra da Monitor, Roma – si impone di superare una sfida non facile: sintetizzare attraverso appunto delle forme scultoree, dei racconti atroci di cronaca vera, di sofferenza vera, di morte certa. L’artista ha trascorso un periodo a Lampedusa e torna ‘da noi’, sistema arte  – avido di racconti, di forme, di sofferenza e tutto il resto – con due sculture di forte impatto.
“All’interno di una delle due sale, una trave di metallo è sospesa tra due pareti e posizionata in modo che la faccia superiore si trovi a 157 centimetri da terra (distanza degli occhi dell’artista dal suolo). Essa è ricoperta della terra proveniente dal centro di prima accoglienza di Lampedusa per uno spessore di circa due centimetri.”
“Riduzione di mare, situato nella seconda stanza, è un blocco di sale del peso di 34 kg (quantitativo di sale ottenuto dall’evaporazione di un metro cubo di acqua di mare) che verrà progressivamente leccato nell’arco dei giorni della mostra da sei performer. Ogni performer leccherà il blocco di sale con l’intento di sovrascrivervi un testo tradotto in codice morse, toccandolo con dei colpi di lingua corti- corrispondenti al punto- e lunghi -corrispondenti alla linea. Il testo tradotto in morse è un documento compilato dall’ organizzazione olandese United for Intercultural Action (European Network Against Nationalism, Racism, Fascism and in Support of Migrants and Refugees) che consta dell’elenco dei 16136 persone morte nel tentativo di emigrare nella sola Europa. Questo elenco prende in esame esclusivamente le morti di cui i mass media hanno dato notizia partendo dal 1 gennaio 1993 sino al 29 gennaio 2012.” (Da CS)
Silenzioso, pacato, asciutto il primo intervento; perde un po’ d’intensità  il secondo. Avevo già visto a Grenoble una performance di Francesco, in cui, sempre utilizzando il codice morse, diffondeva con una smerigliatrice la canzone di Battiato ‘Povera Patria’. Ora come allora –  forse ora il testo è  realmente drammatico – la complessità della performance penalizza l’intensità dell’opera. Formalmente il cubo di sale seduce; sembra contenere atroci ricordi, immagini agghiacianti, urla o singhiozzi. Forse bastava il potere di un forma che lascia spazio a ben altre complicazioni. L’aspetto performativo a mio avviso passa in secondo piano.
L’opera Orizzonte – la lunga trave che divide un ‘sopra e sotto’, il cielo e la terra, un nord e un sud del mondo – mi ha ricordato un’opera capitale della storia dell’arte. Penso che Francesco per temi e attenzione si sia avvicinato a questo tipo di sensibilità. Come se, passato oltre 150 anni, gli elementi basilari della sensibilità umana restano per lo più gli stessi.
Pare a me.
Gustave Courbet, Gli spaccapietre, 1849  
Questa tela, già esposta al museo di Dresda, è andata distrutta durante la seconda guerra mondiale. Ce ne resta solo una documentazione fotografica. Essa, tuttavia, è una delle opere che meglio sintetizza la scelta sia poetica sia stilistica di Courbet.  I due personaggi raffigurati sono due lavoratori dediti ad un lavoro rude e pesante. Lavorano in una cava di pietra spaccando la roccia con la sola forza fisica.  (…)  Fa da sfondo alla scena il fianco di una montagna che occupa tutto l’orizzonte. Si intravede solo un po’ di cielo in alto a destra. (…) Courbet è cinico e crudo nel rappresentare questa scena. Non gli dà alcuna intonazione lirica per esprimere la nobiltà di un lavoro che, seppure modesto, è comunque un momento di nobilitazione. Denuncia, invece, con un linguaggio obiettivo la reale situazione sociale dei lavoratori. Questo contenuto di polemica sociale era ovviamente poco accettabile dall’ordinario pubblico dell’arte, fatta soprattutto di persone ricche che, quindi, mal sopportavano la rappresentazione della povertà che era, implicitamente, un atto di accusa nei loro confronti.  In questa tela oltre al soggetto, dal contenuto evidentemente polemico, anche la composizione risulta inaccettabile per i canoni estetici del tempo. Manca un equilibrio compositivo preciso. Un asse orizzontale non c’è, dato che manca la linea di orizzonte.
Questa mancanza di esteticità canonica finiva per accentuare ulteriormente l’intento di Courbet: egli non vuole assolutamente proporre un’arte che trova nella bellezza una facile funzione consolatoria ma vuole proporre documenti visivi che creano lo shock della verità. La sua pittura è tutta giocata su questa funzione: i suoi quadri sono essenzialmente dei documenti etnografici. Ma ciò che costituisce lo scandalo della sua pittura è che lui propone questi documenti etnografici nel campo dell’arte. (Testo di Francesco Morante, Il Realismo)
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