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Il palcoscenico dell’esistenza di Francesco Arena a Roma

Testo di Gaia Grassi — Nella mostra Il fulmine governa ogni cosa, ospitata nella #Project Room della Fondazione Nicola del Roscio a Roma – a cura di Davide Pellicciari e Carlotta Spinelli – Francesco Arena ha realizzato un progetto immersivo ambizioso e complesso, in cui intesse un gioco di rimandi fatto di oggetti, di contenuti […]

Francesco Arena, Il fulmine governa ogni cosa, Ph. Sebastiano Luciano, Courtesy Fondazione Nicola Del Roscio

Testo di Gaia Grassi

Nella mostra Il fulmine governa ogni cosa, ospitata nella #Project Room della Fondazione Nicola del Roscio a Roma – a cura di Davide Pellicciari e Carlotta Spinelli – Francesco Arena ha realizzato un progetto immersivo ambizioso e complesso, in cui intesse un gioco di rimandi fatto di oggetti, di contenuti e contenitori, di materiali statici e dinamici, trasformando l’ambiente in un palcoscenico in cui poter interagire. L’artista porta in scena oggetti appartenuti a personaggi storici che ha approfondito nel tempo, come Martin Heidegger, Cy Twombly e Ludwig Wittgenstein, analizzando il rapporto tra di essi attraverso il tema del supporto, inteso come aiuto, sia fisico che emotivo, comune nella vita di qualsiasi essere umano.
L’unico elemento che compare entrando nella Fondazione si staglia all’interno dell’ambiente occupando tutto lo spazio tra il soffitto e il pavimento. È la riproduzione della “hütte” (capanna) di Martin Heidegger, già anticipata nel titolo della mostra Il fulmine governa ogni cosa, una citazione di Eraclito un tempo presente sull’architrave della porta di ingresso. La capanna è investita di un duplice valore: quello di essenza dell’oggetto comune, come rappresentazione dell’idea di abitare, e quello di casa del filosofo nel sui anni di ritiro nella Foresta Nera. In questo spazio denso di significato Arena ha deciso di custodire le sue opere, cinque sculture in bronzo realizzate in collaborazione con la Fonderia Battaglia di Milano. 
All’interno della “hütte”, a contrasto con il bianco delle pareti risalta il rosso del pavimento, composto da 210 assi di cera fusa che simulano la texture di un parquet in legno, su cui il passaggio dei visitatori lascerà progressivamente il segno. Questo particolare aspetto introduce un altro lato della ricerca di Arena: il rapporto delle sue opere con il tempo non si limita a quello storico, ma include diverse temporalità.

Francesco Arena, Il fulmine governa ogni cosa, Ph. Sebastiano Luciano, Courtesy Fondazione Nicola Del Roscio

In Sedia, riproduzione della sedia del pianista canadese Glenn Gould utilizzata in tutte le sue esibizioni, la storia a cui fa rifermento si materializza attraverso l’uso del bronzo, un materiale quasi immutabile a cui si potrebbe associare l’idea di monumento. Ad esso si contrappone il tempo quotidiano del giornale, infilato nella spalliera della sedia, che ogni giorno viene cambiato per riportare la data corrente. Ancora in Cartello, simbolo immancabile di ogni manifestazione, il vuoto lasciato dalla mancanza di uno “slogan, scelta voluta dall’artista per conferire atemporalità all’oggetto, è riempito dal lento colare della cera di una candela accesa, posata sul cartello stesso. L’enfasi che si crea su questo vuoto delinea ancora un altro tema della ricerca di Arena, quello della presenza dell’assenza, come in Maniglia dove un meccanismo interno fa muovere a scatti, totalmente inaspettati, la maniglia, mimando l’apertura di una porta che non esiste. Questa tendenza si manifesta in maniera ancor più forte in Cintura. Si tratta di una cintura in bronzo nero patinato sovradimensionata e sollevata da terra per contenere due persone al suo interno. L’opera è stata pensata come un omaggio a Cy Twombly, di cui Nicola del Roscio gestisce la Fondazione, ricordando gli ultimi anni della sua vita quando a volte il pittore si faceva supportare dal suo assistente, grazie proprio all’ausilio di una cintura, per dipingere le sue tele. Qui il vuoto creato dalla circonferenza della cintura rimanda al supporto di cui Twombly non poteva fare a meno e, allo stesso tempo, stimola i visitatori ad interagire con l’opera riempendo proprio quello stesso vuoto. 
Usciti dalla “hütte”, Arena ci porge un supporto critico alla comprensione della mostra, rendendo accessibile una raccolta di riferimenti, testi e immagini per muoversi più agilmente nel districato e complesso mondo che ha costruito. Un mondo fatto di oggetti comuni, resi unici attraverso materiali durevoli e malleabili, riflessioni sulle temporalità che ci circondano e sul tempo storico, presenze e assenze che coinvolgono direttamente il pubblico, che genera una riflessione sul vasto tema del supporto in un vero e proprio “palcoscenico dell’esistenza”.