Una sfida complessa che l’ha colta di sorpresa. La curatrice Cecilia Alemani ci introduce la mostra Il Mondo Magico del Padiglione Italia alla 57. Biennale di Venezia. Tre gli artisti protagonisti nel grande spazio delle Tese: Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey.
Il mondo magico prende ispirazione dall’omonimo libro dell’antropologo napoletano Ernesto de Martino (1908-65), pubblicato subito dopo la seconda guerra mondiale e dedicato allo studio della magia come strumento attraverso il quale varie culture e popolazioni reagiscono a situazioni di crisi e all’incapacità di comprendere e dare forma al mondo.
Padiglione Italia -Il Mondo Magico – Presentazione
Segue l’intervista —
ATP: Il Padiglione Italia è sempre stato un ‘cruccio’ tutto italiano. Contestato, disastrato, desiderato e rifiutato da tanto curatori. Quando hai saputo che eri stata nominata curatrice del Padiglione Italia, qual è stata la prima idee che ti è venuta in mente?
Cecilia Alemani: Circa un anno fa ho ricevuto un sms dall’Italia firmato dal ‘ministro Franceschini’; mi chiedeva di richiamarlo. Da subito ho pensato, è una bufala. Questo sarà Maurizio Cattelan che mi fa uno scherzo. In realtà era veramente il ministro Franceschini che si congratulava con me. E’ stata una cosa veramente assurda. Sono stata da subito felicissima. Ho capito fin dall’inizio che sarebbe stato un grande impegno, sia per le responsabilità ma anche per il tanto lavoro che c’era da fare. Abbiamo avuto, rispetto agli anni passati, un po’ più di tempo per lavorare al progetto; gli artisti hanno avuto circa un anno per elaborare le loro proposte espositive. E’ stato decisivo avere più tempo per il fundraising, per il catalogo ecc.
ATP: Come hai scoperto il libro Il mondo magico dell’antropologo napoletano Ernesto de Martino (1908-65)?
CA: Ho scoperto il suo lavoro, in un modo trasversale. Attraverso gli scritti di Georges Didi-Huberman, che è un filosofo francese che ho incontrato quando ero a Parigi a scrivere la tesi di laurea nel 2001. Lui insegnava al Ecole des Hautes Etudes di Parigi. Mi stavo laureando su George Bataille, lui ha scritto tantissimi libri su questo artista .. nei suoi testi citava Ernesto de Martino, in qualche nota a piè di pagina. Anche Didi-Huberman si è appassionato ai rituali del sud Italia, alle varie tarantolate ecc. Ho iniziato a leggere “Il mondo magico”, anche se lui è più famoso per la trilogia meridionale (Sud e Magia; Morte e pianto rituale; La terra del rimorso) .. il Mondo Magico è il libro che inaugura o incorona il suo interesse sulla sfera del magico.
Lo ritengo un libro bellissimo e ho voluto omaggiarlo, rubandogli il titolo.
ATP: Cosa ti ha suggerito questa lettura, tanto da prenderla come ispirazione per il tema cardine del Padiglione Italia?
CA: La scelta degli artisti e del tema è avvenuta abbastanza di pari passo. Ti confesso ho avuto tre settimane, dalla nomina, per proporre il progetto finale. Senza contare che quello che si vede nel Padiglione è esattamente il progetto che ho elaborato per la proposta iniziale al Ministero. E’ venuto naturale, sapevamo che volevamo proporre una selezione molto limitata di artisti; avevo già l’idea degli artisti che volevo invitare. Mi serva un’impostazione teorica o filosofica per leggere il lavoro dei tre artisti scelti. Non ho cercato di ‘ingabbiare’ il loro lavoro mettendo sopra la loro ricerca un ‘capello’ tematico, bensì sono venuti assieme. E’ anche vero che, in un contesto come quello della Biennale di Venezia, il Padiglione è lo spazio degli artisti, non tanto della mostra. Anche se in modi molto diversi, mi sembra che questi tre artisti siano interessati alla sfera del magico, del fantastico, dell’immaginario e che questa sfera pervade il loro lavoro…

Roberto Cuoghi, Padiglione Italia, Il Mondo Magico, Foto Italo Rondinella – Courtesy: La Biennale di Venezia 2017
ATP: Conoscevi bene il loro lavoro e ricerca?
CA: Roberto Cuoghi lo conosco da molto tempo, abbiamo anche lavora ad un piccolo progetto per un collezionista molto tempo fa. Andreotta Calò lo conosco da quando ha fatto la mostra “Atto Terzo, Volver”, alla galleria ZERO… Poi è venuto a New York in occasione del Premio New York e, in questa occasione, ci siamo conosciuti un po’ meglio. L’anno scorso, fino a pochi settimane fa, aveva un pezzo sulla High Line. Adelita la conosco dal 2011, quando ho visto il suo video “Postcards from the Desert Island” (2011), forse a Utrecht o Amsterdam. Lei vive a NY, dunque la incontro spesso. Forse lei è, tra gli artisti che ho scelto, la più anomala perché, pur essendo italianissima, ha una carriera più internazionale…
ATP: Soprattutto per quanto riguarda il lavoro di Andreotta Calò, mi è difficile trovare dei nessi con la magia. Trovo che la sua ricerca sia molto legata al reale. Penso ai calchi, alle sue sculture dedicate a Venezia… La sua Venezia è molto reale, concreta.
CA: Per quanto riguarda il suo lavoro, le componenti magiche o i legami con la magia sono da rintracciare proprio negli elementi su cui lui spesso ritorna con la sua ricerca. L’acqua, che è un elemento ricorrente nella sua opera, che però diventa da forza distruttiva che corrode e si mangia Venezia, a forza che genera la vita. Anche un altro elemento primario come il fuoco, l’artista utilizza spesso e ha una forte componente magica… L’installazione site specific che porta nel Padiglione, gioca su altri topoi del mondo magico, sullo sdoppiamento, sullo specchio ecc.
ATP: In merito al tema della magia, c’è una ragione storica, magari rintracciabile nell’opera di alcuni artisti nel ‘900, da cui possiamo tracciare una linea che giunga fino alle ricerche degli artisti da te selezionati?
CA: I riferimento più ovvi sono quelli dell’Arte Povera, con la figura dell’artista ‘sciamano’ se pensiamo a Pascali, Boetti o Carol Rama. Sono tutti artisti che, al di là di ciò che facevano con le loro opera, avevano un’aura di artista sciamano che forse è un po’ quello che vediamo in un artista come Cuoghi che, a mio parere, ha tutto dello sciamano (ride). Non parla, ha persone che parlano per lui, misteriosissimo… anche nell’ultima installazione che ha fatto in Grecia ha cotto le sculture in forni primordiali. (…) Non penso che sia un riferimento necessariamente voluto o aperto, ma da critica, è una linea che vedo correre nell’arte italiana così come, la riscoperta di una certa dimensione magica nella Transavanguardia. Non penso che sia necessariamente un ‘magico’ con cui sono cresciuti questi artisti, ma c’è senza dubbio, un fil rouge che li connette ad una generazione passata.. senza volerli appesantire o voler, necessariamente includere, questi maestri dell’arte povera o della transavanguardia, nella mostra nel Padiglione. Esiste un background, ma non è necessariamente ovvio.
ATP: C’è un relazione o meglio, hai tenuto conto del tema generale della Biennale VIVA ARTE VIVA quando hai scelto il taglio contenutistico per Il Mondo Magico?
CA: Non sapevo il tema finché non è stato annunciato lo scorso novembre. Mi sembra che ci siano delle assonanze, dei riferimenti. Da un lato l’apertura, il dire ‘questa biennale è per gli artisti, degli artisti, con gli artisti’ è il focus sull’artista stesso che è un po’ quello che ho voluto fare anche io. (…) Uno dei cambiamenti più evidenti rispetto alle mostre nel padiglione Italia negli anni passati è che lo spazio espositivo del padiglione è il più grande di tutti gli ambienti della Biennale e viene dato a tre artisti. Sono praticamente tre grandi mostre introspettive, individuali. Secondo ma Christine Macel ha un impianto abbastanza forte.. penso alle tante piccole mostre che si relazionano le une con le altre. (…) Per quanto mi riguarda, quello che ho voluto fare con la mia proposta – anche se non è esplicito – è forse più vicino a quello che è l’impianto di Okwui Enwezor… lui ha proposto una visione del mondo documentarista e più razionalista che ha contraddistinto molte tendenze dell’arte dagli anni ’90 in poi e che ha avuto la sua apoteosi proprio nella sua ultima biennale. E’ uno dei curatori che più mi hanno più influenzato per intraprendere questo percorso professionale.
Vorrei che la mia mostra faccia la stessa cosa: dare una lettura del mondo da un angolo più umano e passionale.
ATP: Più volte hai ribadito nel testo “la magia come mezzo per ricostruire la realtà”. Per quanto riguarda Adelita, forse questo è decisamente importante: quello di trovare delle prospettive interpretative per ricostruire un’altra realtà.
A questo proposito cito de Martino in merito ad un suo pensiero. Lui parlava di magia, non guardava solo ai vari maghi, fattucchiere ecc. Lui li studiava ma il suo pensiero era rivolto (anni ’40) ai riti, alle logiche scaturite dai comportamenti ‘magici’. Non vedeva la magia come una fuga nell’irrazionale, ma come uno strumento dell’uomo per leggere la realtà e per ribadire la propria presenza nel mondo in un momento di crisi. Questa sua ricerca va dalle più antiche civiltà africane fino ai giorni nostri. Adelita è, tra gli artisti che ho scelto, l’esempio più calzante di questo approccio, ossia di un’artista che vuole riscrivere la realtà attraverso l’immaginario, il fantastico, ma anche attraverso la critica sociale. Ovviamente non in modo documentaristico ma usando strumenti che vengono dal teatro e dalla collaborazione di gruppo.
ATP: Ci sono dei nessi o delle relazioni tra i progetti proposti dai tre artisti?
CA: Il Padiglione è gigantesco, dunque ognuno ha uno spazio specifico. C’è un percorso di mostra definito e le opere non comunica in nessun modo tra loro. Una delle scelte che ho voluto fare è, rispetto agli allestimenti delle scorse Biennale, quella di costruire meno muri possibili. Non ci sono partizioni, non ho voluto fare inscatolamenti perché, uno degli altri aspetti che mi interessa approfondire, è anche quello di mettere le opere in relazione allo spazio architettonico del Padiglione. Il luogo è bellissimo, fortemente connotato. Ci sono molti elementi che ricordano la funzione di questo luogo, penso alle rotaie nel pavimento che servivano per lo scarico del carbone… Gli artisti sono stati invitati a relazionarsi con lo spazio, senza mascherarlo ma tessendo un dialogo con le loro opere. Giorgio Andreotta Calò, dei tre, è quello che lo fa di più. Le installazione che vediamo nel Padiglioni non hanno nulla a che fare con gli allestimenti museali, non ci sono muri bianchi…
ATP: Come hai vissuto la raccolta fondi per la mostra Il Mondo Magico ?
Innanzitutto devo ringraziare tantissimo gli artisti perché senza di loro non saremmo mai riusciti a raddoppiare i fondi stanziati dal Ministero. Qualsiasi mostra ospitata alle Tese è molto costosa proprio per l’imponenza dello spazio. O si pagano costi stellare per i trasporto delle opere già fatte, altrimenti – ed è la scelta che ho fatto io – si decidere di produrre tutte opere nuove… e le produzioni nuove, ovviamente, costano. Venezia, poi, è complicatissima.
Devo dire che abbiamo un riscontro molto positivo da tanti collezionisti, sia italiani che internazionali che si sono uniti per supportare il Padiglione e i progetti degli artisti. Devo dire poi, che sono un po’ viziata. Negli Stati Uniti, a differenza che in Italia, fa parte della loro mentalità non stupirsi se qualcuno chiede dei soldi per un progetto. In America ti dicono o sì o no. In Italia, invece, se chiedi dei soldi la risposta è: Cosa mi dai in cambio? La filantropia non prevede niente in cambio… Già dall’inizio abbiamo avuto una risposta estremamente positiva, prova che una collaborazione tra privato e pubblico può sussistere anche in Italia.
Per quanto riguarda il catalogo, non avete voluto fare una cosa canonica. Come lo avete strutturato? Che taglio avete pensato per ‘Il Mondo Immaginario’?
CA: Avendo avuto un può di tempo da dedicare al catalogo sono riuscita a coinvolgere delle personalità a cui tenevo particolarmente come la scrittrice britannica Marina Warner, che da decenni scrive di magia, oppure Giuliana Bruno che è una filosofa italiana che insegna ad Harward e che ha scritto un bellissimi testo sul lavoro di Giorgio. Il coinvolgimento di queste personalità è stato possibile perché abbiamo avuto molto tempo. Ho voluto invitare scrittore che non sono strettamente legati al mondo dell’arte contemporanea, con altri, invece, dalle conoscenze più specifiche. Ci sono due testi introduttivi, tra cui uno scritto dall’antropologo Fabio Dei, uno degli studiosi più esperti sugli scritti di Ernesto de Martino che insegna a Pisa, e di Giovanni Agosti che insegna storia dell’arte alla Statale di Milano; ha scritto un libro di de Martino negli anni ’80, quando aveva vent’anni, e che abbiamo ristampato con una nuova introduzione. Rispettando l’approccio multidisciplinare dello stesso de Martino, abbiamo deciso di dare un taglio eterogeneo al catalogo.
ATP: Mi sveli cosa porteranno gli artisti?
CA: Premesso che non posso svelare nulla… Cuoghi ha fatto una grande installazione scultorea che invade lo spazio dell’Arsenale; sarà un po’ come se ricostruisse il suo studio. Non è, dunque, una mostra finita ma sarà in fieri. Lui porta avanti un nuovo capitolo nella sua ricerca, legato al linguaggio scultoreo. Già dalla partecipazione alla sua ultima Biennale, Il Palazzo Enciclopedico, Cuoghi ha presentato un tipo di scultura che ha aperto una nuova ricerca sui materiali: un monolite gigante ma leggerissimo coperto di polvere. Sta dunque portando avanti in modo estremo e sperimentale, includendo dei materiali nuovissimi, mai usati prima, e combinandoli con tecnologie o tematiche piuttosto tradizionali; c’è, nella sua ricerca, la contrapposizione tra l’aspetto più tecnologico e all’avanguardia con elementi o contaminazioni arcaiche.
Adelita ha fatto un nuovo video che ha filmato a New York, basato su un workshop, che corre tra il mondo magico e quello razionale o quello che lei chiama ‘la tecnica’ e l’irriducibile che pervade tutto il mondo. L’artista presenta un’installazione video con alcune sculture, dei props o oggetti di scena che si vedono nei film e che hanno aiutato i ragazzi nelle loro discussioni.
Giorgio Andreotta Calò, che è tornato a vivere, dopo tanti anni, a Venezia, propone un lavoro che ha dei nessi con la città lagunare, ma anche con il padiglione stesso. L’artista ha già lavorato negli spazi delle Tese come aiuto di artisti come Richard Serra e Kabakov, invitati nel 2001 da Harald Szeemann a lavorare proprio in questi spazi, che non erano ancora destinati al Padiglione Italia. Calò, dunque, ha un legame molto profondo e passionale il Padiglione. Lui, rispetto agli altri artisti, si è immerso completamente nell’atmosfera che governa lo spazio espositivo. Fin dal mio invito ad esporre al Padiglione Italia, ha avuto un’idea molto precisa del progetto che voleva fare, cosa che si è in seguito rivelata complicatissima.

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, Padiglione Italia, Il Mondo Magico, Foto Italo Rondinella – Courtesy: La Biennale di Venezia 2017

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, Padiglione Italia, Il Mondo Magico, La Biennale di Venezia 2017