Duuuude
Duuuude ha iniziato a danzare per il pubblico verso le ore 19 del 27 gennaio 2017 a Glasgow, presso la galleria The Modern Institute, spostandosi poi in altri spazi come Il Colorificio di Milano e il MAXXI di Roma.
Duuuude prende la sua radice dalla parola “dude”: una parola elastica, flessibile, che più viene usata e più si estende non solo nella sua forma, ma principalmente nel suo contenuto. Nell’arco della sua storia ha cambiato più volte il suo senso, forse perché il suo senso è fatto per essere cambiato, contradetto, dimenticato e reinventato. Così facendo la sua forma è diventata il suo senso e il contenuto il suo contenitore. Si potrebbe dire in modo provocatorio che la sua radice scompare e la sua forma è eterna. Ma non importa perché è fatta per essere riconfigurata, come il linguaggio – specialmente quello verbale. È un germe che crescendo si sviluppa in nuova forma, si evolve in qualcosa che prima non esisteva. Esiste solo nel momento dell’incontro e nell’attimo successivo riprende la sua evoluzione, ti lascia indietro, a quel momento che non esiste più, perché non appartiene più al presente. Il presente è lo spazio di tempo del duuuude; il suo senso esiste solo nel momento dell’occasione; definendosi specialmente nel momento dell’inadempienza, per poi esistere in altro. Una pausa in movimento.
Il duuuude è composto di poche cose per cercare di essere nessuna cosa. Un lungo filone di silicone trasparente che collega il pavimento al soffitto, attaccato ad un dc motor collegato ad un arduino che ne contiene il codice, allacciato a sua volta alla corrente, e via: si balla per non fermarsi più, per estendersi, flessibile, elastico e libero nel cambiare la sua forma, e il suo mutamento diventa il suo argomento, nella perpetua oscillazione del suo corpo. E pensare che la sua massa è stata solamente spremuta fuori da un tubo, sigillato sotto vuoto, nella attesa di essere espulso fuori, come un flusso verbale o anale – e da un buco doveva essere pure uscito, da lì tutto inizia e tutto passa. Passato per il passaggio per integrarsi nel paesaggio.
Fatto per performare senza sosta, nella sua natura codificata per l’iperattivismo. Un semplice corpo senza corpo, composto da solo movimento. Collocato nello spazio che non c’è, perché c’è dappertutto. Più si muove e più si immerge nell’atmosfera, per farsi atmosfera. Il suo fisico si sfoca perdendo la poca materia che possiede per trasfigurarsi in semplice aria, restando fino all’arresto come aria nell’aria.
Creato per essere sentito più che per essere visto, fuso nello spazio per formarsi in suono. Vibra nell’attrito del vuoto contro le masse che lo circondano e con loro si lega. Afferrando l’immanenza dell’unione, sciolta nell’espansione dell’azione e della sua ripetizione.
Alla fine vorrebbe solo appartenere senza essere qualcosa di definito, si accontenta di restare a danzare in quel piccolo spazio infinito, anche detto liminale, come questo piccolo scritto verbale.
Ha collaborato alla rubrica Irene Sofia Comi
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare.
Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.