Il 1° Maggio del 2018 era il 4° giorno di un weekend lungo trascorso in Lunigiana. Decidemmo di fare una passeggiata lungo il fiume Serchio, avevo portato con me la macchina fotografica, la stessa che uso per lavorare. Dopo un paio d’ore di cammino, ci fermammo nei pressi di uno degli argini naturali formato completamente da sassi di forma sferoidale.
Senza alcun motivo o intenzione particolare iniziai a lanciare i sassi nel fiume fotografando ogni lancio nel momento in cui il sasso toccava l’acqua. Il braccio faceva un mezzo giro e tirava il sasso in prossimità del punto in cui avevo fissato la messa a fuoco dell’’obiettivo. La macchina in posa pronta a scattare a ogni buco, f8–1/2500.
Trascorsi delle ore ripetendo sempre la stessa cosa. Mi piaceva tantissimo quello che stavo facendo, erano delle immagini spettacolari con le quali non mi ero mai cimentato.
Dopo qualche giorno, tornato a Milano, guardando quelle immagini, iniziai a riflettere sul gesto-rituale e piccolo avvenimento che avevo fotografato per ore, e su quanto fosse relazionato ad alcuni concetti che stavano alla base della mia ricerca in quel periodo: il lavoro, il successo, il fallimento.
Fare un buco nell’acqua è un’espressione associata a un fallimento, generalmente a qualcosa di non particolarmente grave, parte del quotidiano. Quelle fotografie erano la spettacolarizzazione di questo concetto. Iniziai così a ripetere questo gesto ovunque ci fosse uno specchio d’acqua naturale, sopratutto nei fiumi.
Il piccolo fiume è il posto più adatto, ci sono tantissime pietre, non ci sono onde ma solo un corso d’acqua che scorre nell’alveo, molto lentamente.
Mi interessava moltissimo la reiterazione di un gesto il cui risultato è un modo di dire associato ad un fallimento, ancor più m’interessava immortalare questo gesto con la fotografia, che è lo strumento principe con cui mi guadagno da vivere.
Iniziavo così non solo a collezionare immagini di buchi nell’acqua ma col tempo selezionavo le immagini immediatamente precedenti all’impatto tra il sasso e l’acqua.
Nel mese di luglio i curatori di Campo 17 il corso della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo mi proposero di curare come evento finale del loro percorso una mia performance, perché il tema della loro ricerca era il lavoro culturale e le relative annose vicende, tema che ben sposava la mia ricerca iniziata con Dominare spiritualmente il progresso.
Passai la maggior parte dei pomeriggi di fine agosto al fiume Frigido che sfocia nelle acque tirreniche di Marina di Massa, sperimentando lanci e relativi scatti sempre più spettacolari.
Buchi nell’acqua stava diventando una serie di un numero indefinito di fotografie da replicare nel tempo, qualcosa che però sia nella pratica che a livello iconografico, mi faceva pensare più all’immaginario del tempo libero, degli hobbies.
Quello che invece man mano desideravo, era avvicinare quanto più possibile questo gesto alla dimensione professionale quotidiana del fotografo e in generale alla media delle 8 ore lavorative giornaliere.
La pratica performativa con cui mi ero già cimentato in Dominare spiritualmente il progresso mi sembrava quella più appropriata per sintetizzare l’idea che stavo sviluppando.
In merito alle immagini che avevo prodotto fino a quel momento erano ancora troppo vicine alla rappresentazione di qualcosa di meraviglioso, di vitale, seppur con tanta auto-ironia sia nelle intenzioni che nel risultato. Iniziavo a pensare a un’immagine più asciutta, più drammatica, più essenziale.
Da qui l’idea di mettere in scena uno studio fotografico dove il fotografo e il suo assistente per 8 ore lavorative producono un numero indefinito di fotografie di buchi nell’acqua, era quella la mia proposta per Campo17.
Ha collaborato Irene Sofia Comi
Il 2 novembre 2018, lo Spaziobuonasera, in occasione di Artissima, si è trasformato in uno studio fotografico.
Al suo interno una vasca trapezoidale in plexiglas nero piena d’acqua, due luci continue da studio su stativi, uno scaffale su cui sono appoggiate delle palline nere utilizzate per i lanci, degli asciugamani, una tanica e un laptop.
Francesco Marilungo (già performer protagonista di Dominare spiritualmente il progresso) in piedi per 8 ore nei panni dell’assistente lascia cadere una per volta le palline nella vasca, ogni lancio è anticipato da un “3-2-1” ad alta voce, di fronte a lui Matteo Girola (nella vita artista e fotografo di professione) interpreta il fotografo dello studio, seduto su uno sgabello scatta una raffica di fotografie per ogni lancio, 311 lanci per 8 ore lavorative.
Di tanto in tanto una pausa per scaricare l’ingente numero di immagini sul laptop, e anche un po’ di tensione.
Buchi nell’acqua è il secondo atto di una trilogia che tra performance e fotografia che riflette sull’equilibrio tra la pratica artistica e la dimensione professionale, sui concetti di successo, carriera e fallimento.
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.