Segue lo scambio di riflessioni tra Luca De Leva e Daniela Zangrando, in occasione della mostra Hai Paura dell’Uomo Nero? Atto primo (a cura di Daniela Zangrando) ospitata al Museo Burel a Belluno, dal 16 Marzo al 27 Aprile 2019
Luca De Leva – Il fulcro della nostra percezione è nel profondo di noi stessi, in uno spazio in cui i pensieri non sono ancora diventati parole. Spesso non gli concediamo mai lo spazio e il silenzio per manifestarsi, o per meglio dire, lo sfidante non permette che ciò accada, perchè questo significherebbe arrivare a vedere che la nostra vita non è nelle nostre mani, cioè nella trasposizione in azione delle sensazioni percepite dalla mente profonda, ma nelle mani delle forze dello sfidante, nell’illusione interiore della nostra libertà personale.
Ecco quindi che non esprimere le emozioni negative e far emergere la mente profonda, creano un nuovo spazio interiore, uno spazio di ascolto e osservazione, uno spazio totalmente nostro, dove lo sfidante non può intervenire, né interagire per utilizzarlo a suo vantaggio.
Più grande, più profondo questo spazio diventa, più prendiamo energia dal campo gravitazionale dello sfidante, più grande e maestosa diventa la nostra esistenza.
Daniela Zangrando – Mi rendo conto di conoscere troppo poco il tuo lavoro. Di averlo liquidato velocemente. Superficialmente.
Ho guardato con grande attenzione i materiali che mi hai mandato. Mi piacerebbe sapere a cosa stai pensando ora. Cosa stai fantasticando, sognando. A cosa stai lavorando.
Quella lettera. La sua intensità e la sua semplicità stravolgono il senso. Penso operi lo stesso movimento della mostra. Una via di mezzo tra un solitario scambio epistolare pieno d’amore e un lascito testamentario.
“Rappresentare la morte come se non ci fosse. Una comunità in cui tutto si svolge come se nessuno avesse cognizione della morte. Nella lingua di quella gente non c’è alcuna parola per dire ‘morte’; ma non c’è neppure alcuna consapevole circonlocuzione. Anche se uno di loro avesse l’intenzione di infrangere la legge e in particolare questo primo comandamento non scritto, inespresso, e volesse parlare della morte, non riuscirebbe a farlo, perché non troverebbe alcuna parola comprensibile agli altri. Nessuno viene seppellito, nessuno cremato. Nessuno finora ha mai visto un cadavere. Gli uomini spariscono, nessuno sa dove; un senso di pudore li induce improvvisamente ad allontanarsi; poiché è ritenuto peccaminoso essere soli, non si fa mai menzione degli assenti. Spesso ritornano, ci si rallegra quando qualcuno è di nuovo presente. Ogni periodo di allontanamento e di solitudine viene considerato alla stregua di un brutto sogno, e non si è tenuti a riferirne. Le donne gravide tornano da questi viaggi con i bambini che hanno partorito, si sgravano in solitudine, a casa potrebbero morire durante il parto. Persino i bambini piccolissimi d’improvviso si allontanano.” (Elias Canetti)
Questa mostra non ha nome tra i miei pensieri. Forse non hai voluto infrangere quel primo comandamento. E l’hai fatto in silenzio. Con una determinazione assoluta. Di quelle a cui non si concede di voltare la testa all’indietro.
Un pensiero
– Amo leggere quello che scrivi, ho varie idee in mente ma davvero aspetto di venire lì perche il posto ha un valore troppo importante. Fine gennaio è vicina e quindi merita ancora più attenzione, senza contare che a fine gennaio compierò gli anni 🙂 Insomma voglio vedere prima.
[segue parte di mail scritta prima di alcune aggiunte precedenti]
In questo caso ancora di più, credevo che si pronunciasse búrel, invece è burél, giusto? L’altro giorno ho conosciuto un tizio che mi ha detto che c’è una grossa svalutazione del legno data la calamità recente, troppi alberi caduti troppo legno da vendere, è vero?
Cmq Daniela se scrivo
in maniera esposta è perché non mi sento, davvero; tante volte cerco di
riempire il vuoto, ma in realtà non sono mie le parole, pure questo è altrove,
non ha valore e spesso non invoglia all’impegno, come sentirsi capitati in
vita.
Immagino che in questi sei anni tu abbia spremuto parecchio, chissà se davvero
dobbiamo, in realtà sì (?), ci insegnano di dover costruire e che meglio, è
meglio di peggio, da molto prima degli americani (che sono il mio capro
espiatorio mentale preferito). Voi vivete in montagna, splendido, dico voi
perche penso anche ad Alberto, che dopo aver deviato il flusso di una fontana
pubblica per creare un arcobaleno mi ha fatto innamorare per sempre.
– Si sta facendo notte. Ho cercato di fotografarti quello che
vedo dal mio studio, in questo istante. È semplicemente una caduta di luce. Fra
qualche minuto resterò sola, con gli occhi dei lampioni.
Mi ero ripromessa, ricominciando a seguire gli artisti, di non innamorarmi più
delle loro idee. Di non pensarci notte e giorno, di non affezionarmi a come
muovono le mani o trascinano i piedi.
Ma come si
fa a pensare davvero (e non solo per “lavoro”, per professione, per retorica)
ad un abbassamento, ad una postura, senza continuare a sentire le parole che
vorticano in testa e nello stomaco? Senza quel mescolamento? Come faccio,
mentre mi parli al telefono, a non immaginare per un attimo di entrare in
quella camera, a non porre l’attenzione sulle due ciabatte tolte appena sei
entrato nella stanza, spalmate anch’esse a terra, basse, giù.
A non
chiedermi che musica stai ascoltando, oggi. Quali termini stai studiando. Cosa
hai scoperto di quel ferro di cavallo che sembravi così infantilmente contento
di aver trovato e che ti ha strappato un’esclamazione carnosa?
Una
frase. E uno schieramento di pensieri. È a questo che stai lavorando.
Sembrano
due poli perfettamente equilibrati. Eppure penso che in qualche modo siano
intrusi l’una all’altro. Sono distinti con precisione quasi chirurgica. Li
dividono le stanze. Ma non riescono in realtà a ridimensionare la forza che
penso abbiano nella tua testa. E non è una forza così pulita. È piena di
contaminazioni, che ancora non conosco bene, ma sento, sbirciando un po’ da una
porta socchiusa.
Non c’è
decorosa e manierista equidistanza, ma pressione.
-Oggi è successa una cosa, una rottura fisica, mi devia leggermente verso altre direzioni, accolgo la coincidenza, tutto è migliore, davvero. Molto.
Come mi divertono questi messaggi misteriosi che alla fine non significano niente ahah, sono richieste di fiducia.
Come stai?
– L’ho visto l’Altro sai? È questione di niente.
Per una
strana coincidenza anche per me, ieri,una rottura. Che però mi ha messo di
pessimo umore.
Verso che
direzioni ti sta muovendo?
A più
tardi
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I (never) explain è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere a una selezione di artisti di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare.
Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro o serie, dalla sua origine al processo creativo, dall’estetica al concetto.