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I (never) explain #31 – Federico Tosi

Federico Tosi , BABY, 2017ossa scolpite, 30 pezzi Era metà dicembre 2015 quando Guido Sant’Andrea mi invitò per un solo show da Almanac Inn a Torino. Conoscevo il posto, avevo fatto una collettiva l’estate precedente, ci avevo anche dormito una notte, in...

Federico Tosi - Foto courtesy the artist and Galleria Monica De Cardenas, Milano
Federico Tosi – Foto courtesy the artist and Galleria Monica De Cardenas, Milano

Federico Tosi , BABY, 2017
ossa scolpite, 30 pezzi

Era metà dicembre 2015 quando Guido Sant’Andrea mi invitò per un solo show da Almanac Inn a Torino. Conoscevo il posto, avevo fatto una collettiva l’estate precedente, ci avevo anche dormito una notte, in una stanza piccolissima e completamente sommerso da lavori di altri artisti. Mi era subito piaciuta.
Iniziai a realizzare un pavimento coperto da piccole sculture in pietra e un incendio fatto di fiamme peluche. Piuttosto brutto.

Ad un mese dalla mostra Guido mi scrisse: doveva mollare quello spazio perché il proprietario voleva riprenderselo in tutta fretta. La mostra fu rimandata e passarono diversi mesi prima che Almanac trovasse nuova sistemazione. In quel periodo il mio progetto si sgretolò completamente e nulla di quel che avevo fatto mi convinceva più. Spostare la mostra e cambiare spazio voleva dire cambiare anche il lavoro, quindi regalai e distrussi tutto quello che avevo fatto.

Era inverno 2016 e feci un sogno. Mi trovavo a un opening, in uno spiazzo all’aperto, fuori da un centro commerciale, e visitavo una mostra collettiva in cui c’era anche un mio lavoro, ma non sapevo bene quale fosse. Notai che tra gli spettatori si aggiravano dei cani, tanti, una dozzina almeno, che giocavano portandosi in giro delle ossa per tutto lo spiazzo. Mentre parlavo con qualcuno, mi si avvicinò un cane di piccola taglia con in bocca il suo osso. Voleva giocare che glielo lanciavo, lui correva a prenderlo. Mi porse il suo toy tutto sbavato e ricordo di averlo percepito ruvido al tatto, decisamente meno liscio di quel che mi sarei aspettato da un osso.
Lo rigirai tra le mani e vidi che era interamente scolpito con un delicato bassorilievo, fatto di decorazioni geometriche e floreali stranamente inquietanti, che facevano eco a uno stile indonesiano o azteco. Alzai lo sguardo e vidi che tutti i cani stavano mangiando ossa scolpite, chi più piccole, chi così grosse, da rosicchiare.

Capii subito che era quello il lavoro che avevo presentato alla collettiva fuori dal centro commerciale e…

Comprai le prime ossa dal macellaio turco sotto casa, le feci bollire e iniziai a scolpirle con un Dremel. Allora non avevo idea di quanto potesse puzzare un osso bollito e fresato con una punta diamantata. Soprattutto non sapevo quanto fosse irritante per la pelle e per gli occhi la polvere di osso finissima, che si alzava a nuvola mentre scolpivo. Bollii e scolpii le prime ossa in casa e sul balcone, creando un profondo disagio nei miei coinquilini.

Courtesy the artist
Courtesy the artist
Courtesy the artist
Courtesy the artist

Grazie ad un amico macellaio riuscii ad avere un grosso carico di ossa, tutte con i brandelli da pulire. Lavorai in un orto fuori città facendole bollire in un pentolone, all’aperto. Avevo in tutto più di trenta ossa belle grosse che andavano scolpite, ma non sapevo dove. Non avevo uno studio quindi passai mesi saltando da un posto all’altro, scolpendo ossa; avevo anche costruito una piccola struttura portatile per contenere la polvere, ma non era “il top”. Comunque ci presi la mano e, proteggendomi dalla polvere di osso marcio e dal freddo costante, in qualche modo riuscii a lavorare abbastanza bene. Arrivò la primavera che stavo ancora scolpendo ossa, ma almeno ero sul terrazzo di Almanac e faceva caldo. Era aprile 2017.

Avrei voluto lasciare le ossa appoggiate sul pavimento e invitare uno squadrone di cani durante l’opening, ma il pensiero dell’opera mutò nel tempo e divenne un’idea meno onirica, molto più razionale e legata al mio presente: stavo parlando di un’umanità scellerata, ma in qualche modo divertente, che commette un danno irreversibile mentre interiorizza pigramente il proprio tempo.

Questa dimensione andava completamente al di là dei cani e del sogno da cui ero partito, parlava di un epoca in cui l’uomo si impossessa di tutto mutandolo a suo favore, snaturando l’essenza della vita e riconsegnandone una versione deformata, pronta a stratificarsi a sua volta in una serie di momenti di strepitosa evoluzione o di errori esponenziali e sempre banali. In pieno Antropocene non si parla d’altro che di Antropocene.

Oltretutto alcune decorazioni erano troppo sottili e se un cane avesse morso uno di quegli ossi si sarebbe strozzato ingoiando una scheggia affilata e, onestamente, l’odore che emanavano non sarebbe stato allettante nemmeno per loro.

O, forse, quelle sculture erano diventate un po’ troppo signorine per essere lasciate per terra, rosicchiate da un branco di cani.

Federico Tosi, BABY - Installation view della mostra Baby ad Almanac Inn, Torino 2017. Foto by Sebastiano Pellion
Federico Tosi, BABY – Installation view della mostra Baby ad Almanac Inn, Torino 2017. Foto by Sebastiano Pellion
Federico Tosi - Foto courtesy the artist and Galleria Monica De Cardenas, Milano
Federico Tosi – Foto courtesy the artist and Galleria Monica De Cardenas, Milano
Courtesy the artist
Courtesy the artist

Ha collaborato Irene Sofia Comi

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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.