ATP DIARY

I (never) explain #195 – Marco Pace

L’immagine come soglia, tra rifugio e visione C’è un momento, mentre dipingo, in cui le forme iniziano a respirare da sole. In cui il paesaggio non è più scena, ma organismo. È lì che nasce per me l’immagine: non come rappresentazione, ma come presenza. Un’apparizione lenta, stratificata, fatta di materia, di luce, di tempo che […]

Marco Pace con Max Peintner, Milano, 2013

L’immagine come soglia, tra rifugio e visione

C’è un momento, mentre dipingo, in cui le forme iniziano a respirare da sole. In cui il paesaggio non è più scena, ma organismo. È lì che nasce per me l’immagine: non come rappresentazione, ma come presenza. Un’apparizione lenta, stratificata, fatta di materia, di luce, di tempo che si deposita.

In questa opera, come in molte altre, l’immagine si costruisce come una dimora incerta. Una casa che non si può abitare se non con lo sguardo, o forse con il sogno. Le cupole trasparenti, che sembrano sospese tra cielo e terra, custodiscono un interno silenzioso. Le masse erbose si piegano e si sollevano come muscoli vegetali. E al centro, quasi a vegliare, quel piccolo cane bianco: presenza fragile, e rassicurante, come una porcellana nella vetrinetta della nonna.

Questa architettura immaginaria, ambigua e morbida, parla di un abitare diverso. Non quello funzionale, ma quello simbolico, emozionale non funzionale. Echi lontani risuonano qui, come sussurri, visoni drammatiche e allo stesso tempo ironiche.

MOS Architects , Afterparty, installation P.S.1, NY, 2009

Penso alle Oasis di Haus-Rucker-Co, a quelle bolle gonfiabili che isolano l’individuo dal caos urbano, come bolle di pensiero, oggi forse metafora di altro, penso al Panottico. Nelle  mie immagini, le bolle si siedono sul paesaggio, si è fanno pelle, utero, soglia. Non è più atto spettacolare, ma più la sapienza silenziosa che raccontano le immagini che Bernard Rudofsky ha raccolto nelle sue architetture senza architetti: costruzioni nate dall’intelligenza del corpo, dal vento, dall’ombra.

Architetture nate per caso o per necessità. Cresciute come funghi, o come tane, in un mondo in cui l’organico e l’inorganico non sono più separabili.

I miei dipinti sono terre di passaggio, dove ciò che è costruito viene riassorbito dalla natura, metabolizzato e ricostruito. L’immagine è una rovina che non ha ancora conosciuto il tempo.

Creare spazi in cui il pensiero possa sostare. L’immagine, allora, diventa una casa temporanea, una camera d’eco. Un luogo in cui non si guarda solo con gli occhi, ma con la memoria.

Cover: Gianni Pettena,  Architecture + nature, still frame da video, 2011

Marco Pace, home sweet home, serie di acquerelli per – Il crepaccio-, 2022
Supermassive Black Bucket, Marco Pace, Gabriele Tosi, Stefano Pascolini, tana delle tigri, Firenze, 2022
Mariana Castillo Deball, foto di un fossile, Ediacara hills, Australia, 2018.

Ha collaborato Simona Squadrito
Per leggere gli altri interventi di I (never) explain
I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.