ATP DIARY

I (never) explain #194 – Alberto Tadiello

ECOTRANCE è un arabesco screziato di colori in movimento che inzuppa le pareti, le teche, il pubblico, in un loop sincopato e vagamente ipnotico. È un acquerello slavato che accarezza tutte le superfici...

ECOTRANCE è un attimo di trance, di alterazione di una certa sensorialità, generato da una eco, dal loop e dalla modulazione di luci e suoni che ritornano su loro stessi. 
Sono bolle, ebollizioni e bollori ispirati a una Bollente
Quando solleviamo il coperchio della pentola, l’acqua ha sempre la forma del suo contenitore, ma quella schiuma, quella tensione superficiale che sale dal fondo, è sempre diversa, sempre inquieta, bagna il volto, fa socchiudere gli occhi, inumidisce le narici, inebria la fronte, appena ci discostiamo la percezione svanisce. 

La scoperta dell’acqua calda 

Ci sono lavori che nascono sotto il segno di una fedeltà alla terra. 
Terra intesa come astro che ci ospita tutti, come luogo di deposizione, di appartenenza, di comune discendenza. 
Dalle viscere della Terra, dal sottosuolo – al soprasuolo, arriva un’acqua caldissima, la sorgente termale che identifica e nomina Acqui Terme. 
Portare in superficie, riportare alla luce, da sepoltura immemore, è qualcosa proprio dell’archeologia. 

Progettato per il Museo Archeologico di Acqui Terme, ECOTRANCE è un lavoro legato ad una riflessione intorno all’acqua intesa come liquido, come sinonimo e metafora di vita, come elemento di definizione dell’identità storica del luogo. 
È soprattutto una contraddizione interna a generare una tensione immaginativa: è un’acqua sulfurea, dove immediatamente si mescolano valori quali purezza, trasparenza, innocenza con fattori come maleodorante, marcescente, contaminato. Sono coefficienti che vanno ad aprire una dicotomia, ad attivare e ripensare una specificità. 
È un’acqua caldissima, poco sopra i 75°, che sgorga naturalmente da una fonte battezzata “La Bollente” e mostra la sua prossimità ad un cambio di stato, all’evaporazione, alla sparizione eterea. 
La sua salubrità è un ossimoro al tatto, la sua fumosità è un contrasto al deposito che si cristallizza come minerale giallastro e che incrosta i bordi dei materiali entro cui scorre.
I tombini limitrofi alla sorgente si animano di fumi, raccontano di energie geotermiche, di temperature romantiche che affiorano in superficie.

ECOTRANCE è un’installazione visiva e sonora che si presenta come un agglomerato di sfere a Led stroboscopiche che leggono una playlist di file audio elaborata a partire da una registrazione del loro stesso rumore di funzionamento. 
La scultura si dirama in 5 cablaggi che alimentano 20 sfere ciascuno. Ogni porzione del lavoro si attiva e disattiva secondo un algoritmo casuale in un range di tempo che va da uno a trenta minuti, senza mai permettere una totale accensione o un totale spegnimento delle parti.  
L’intervento è pensato come una sorta di cervello, di organismo artificiale dotato di vita propria, dagli sviluppi e andamenti imprevedibili, di cui né l’autore né il pubblico sono responsabili. 
Avanza imperturbato nel suo incedere, nella sua inarrestabile mutazione. 
La sua esplicita e insita variabilità gli permette di raccontarsi in maniera sempre nuova, gestendo una modulazione infinita di variazioni, che, archiviate sotto forma di voci, gli appartengono come elementi costitutivi di memoria. 

Come alcune specie di uccelli migratori o di cetacei che riescono a dormire con un emisfero per volta garantendo la respirazione e il controllo della rotta, la sua energia resta sempre tesa, in uno stato liminale. Non dorme né veglia mai completamente. In una sorta di sogno ad occhi aperti, saturo della vertigine di uno scotoma in un’aura emicranica o allucinato, vive in stato di trance. 
ECOTRANCE è un arabesco screziato di colori in movimento che inzuppa le pareti, le teche, il pubblico, in un loop sincopato e vagamente ipnotico. È un acquerello slavato che accarezza tutte le superfici della stanza centrale del museo, dalla cui bocca fossile si pronuncia un gorgogliare di suoni in continua variazione. Si prolunga nelle stanze adiacenti, svanisce come un vapore attraverso le finestre che guardano al giardino. 
Un pozzo delle meraviglie, un forziere trafugato, traboccante di pietre preziose, gemme, smeraldi, zaffiri, rubini, monete d’oro, spinge riflessi e fasci di luce dal basso verso l’alto, dalla bocca della Bollente, alla cupola dello spazio museale. 
Il brulicare di particelle a soffitto ricorda la chimica dell’acqua, un’attività neuronale, un’effervescenza di un brodo primordiale, sciami, una mischia stipata di cose viventi prossime ad un’evoluzione, ad un cambio di stato, alla trasmigrazione da un regno ad un altro. 
L’installazione, senza elettricità, è una presenza nera e traslucida, dall’anatomia globulare, filiforme e tentacolare, che scivola dentro il cerchio di blocchi marmorei di epoca romana e si impossessa dello spazio come un parassita o un organismo alieno. 
Coglie in anticipo i visitatori, i suoni arrivano a varcare il loggiato d’ingresso, e quando ci si allontana, resta nelle orecchie una singolare sordità e negli occhi un’inaspettata cecità. Qualcosa di un residuo si deposita e resta a pungolare il fruitore, come un tarlo acustico impresso nella memoria o un prurito corneo. 

Sono soprattutto le timbriche a depotenziare l’incanto dell’appetibilità visiva, a gravare sul caleidoscopio di luci, ad incrinare la magia, ad aprire una tensione. 
La playlist è di nuovo una scultura, sonora, una pila, una catasta, un agglomerato di elaborazioni digitali aggiunte una sull’altra, sovrapposte e deformate di volta in volta in un vero e proprio morphing che da un ronzio artificiale punta ad una biofonia animale. È come la metamorfosi di una campionatura che diventa una lingua, una loquela, una lallazione, una sintassi di suoni che si addizionano, si sottraggono, si zittiscono o restano in standby, in uno stato letargico o di quiescenza. 
Minimo un quinto del lavoro è sempre spento,  di conseguenza, al massimo quattro quinti del lavoro sono operativi o al massimo quattro quinti sono spenti. 
Il box di controllo che determina il funzionamento è stato realizzato da uno studio che si occupa di ingegneria robotica e di programmazione e gestisce l’attività di uno, o due, o tre, o quattro porzioni che riprendono puntualmente l’esecuzione della playlist dal momento in cui era stata interrotta. Questa variabile permette la fluidità di una profusione di voci sempre nuova, un’ibridazione a tratti nostalgica e lontana, siderale e ipnotica, a tratti vorticosa e intensa, graffiante e disturbante lasciando inalterate le istruzioni audio di default della sfera che in fase di avvio recitano: “mode is started, please connect” e che si sgranano nella coralità d’insieme ogni volta che si accende una porzione.

ECOTRANCE, Alberto Tadiello, Casa editrice Gli Ori – Civico Museo Archeologico di Acqui Terme

Sono 6 le parti che costituiscono la sequenza degli audio: nella prima la campionatura è stata alterata intensificando l’eco, aggiungendo timbriche prossime a voci di bambini, storpiature aliene, profondità da “lost in the space”.
Nella seconda, la registrazione è stata plasmata usando filtri con vocalità femminili, inflessioni alla Darth Vader, da robot e cartoni animati, fino a timbriche estremamente stridule, come gli squittii dei criceti. 
Ancora, demoni, echi, sinusoidali e poi voci di Dracula, di Frankestein, di orchi e pirati, deformazioni con precise connotazione spaziali come cave, grand canyon, hangar, …
Nella parte finale dissolvenze in, out, stretching, colpi di clacson rallentati, diversi reprise.
Tutta questa varietà di effetti e l’uso libero e onnivoro di filtri acustici ha dato al lavoro un range molto aperto di possibilità di generare combinazioni inedite e inaspettate, pensate per sfruttare la capacità del sistema di controllo di interrompere o attivare in modo imprevedibile le parti che lo costituiscono. 
La produzione sonora è stata realizzata parallelamente ad un’altra ricerca audio che ho condotto tra Buenos Aires e la Penisola di Valdés, in Chubut, a nord della Patagonia lo scorso inverno – una esplorazione dentro ai canti delle balene e al soundscape di Buenos Aires. 
All’interno di questo lavorio, contaminazioni e suggestioni si sono inevitabilmente intrecciate.

Ultimo tentacolo, protesi e prolungamento del progetto è il book ECOTRANCE edito da Gli Ori. 
A metà tra un catalogo e un libro d’artista il volume raccoglie una serie di immagini che sottendono il lavoro e ne raccontano la ricerca. 

Tra le pagine si susseguono meduse, anemoni di mare, iridi, fenomeni di bioluminescenza, krill, microrganismi acquatici, mappe cerebrali, luci radenti ai muri, appunti scritti, occhi di mosche, stelle marine, uova di rane, paesaggi attraversati da luci irreali, effetti moiré, simulazioni di scotomi e di auree emicraniche, stampe di frenologia, loop calligrafici, reperti archeologici.
Sono foto vagamente pixellate, sfuocate, riprese al microscopio, deformate fotografando direttamente gli schermi del telefono e del computer, con epidermidi e sensibilità diverse. 
Tra le pagine, ECOTRANCE Out of synch è uno dialogo tenuto con Francesca Togni e che si è svolto via email nei mesi di aprile-maggio 2025.


Qualcosa di irrisolvibile resta, nel delegare ad un lavoro la libertà di autogestirsi dentro a determinati parametri. 
Qualcosa come l’irresistibile e inquietante impressione che quella “cosa” sia un corpo vivente, pensante, parlante, pur sapendo che non lo è affatto. 
Qualcosa che ha a che fare con una profondissima solitudine, con un’indifferenza, a tratti animale, con una sideralità sorda e artificiale. 
Qualcosa come un’esclusione che le intelligenze della Natura espongono all’umanità. 

Per leggere gli altri interventi di I (never) explain
I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.