
Ad un certo punto ho iniziato a progettare dispositivi_coreografici, performativi, installativi. Sistemi immersivi in cui le persone stanno/pensano/contemplano/si guardano, in una condizione di attivazione nel semi riposo. Penso alla coreografia in senso espanso, come qualcosa che parte dal corpo e torna sempre al corpo, anche dopo essere andata lontanissimo.
L’ambiente avvolge i corpi, la danza li muove, in ogni caso, anche nella contemplazione, con i neuroni specchio. Poi c’è la parola, un altro modo per penetrare la carne e farla danzare.
Propongo testi sotto forma di audio che entrano nei corpi con l’obiettivo di smuoverla e di cambiarne il ph interno, mischio pratiche somatiche e corporee con altre riconducibili ai contesti new age, all’ipnosi e allo storytelling.
L’audio è uno strumento di hackeraggio consenziente dell’organizzazione percettiva di chi lo ascolta. È anche uno strumento per allenare la capacità visionaria, un’invito per una soft psychedelia.
Vorrei essere un fungo, una rana, una sostanza chimica che produce apparizioni e piacere. Connetto il potere visionario alla capacità sovversiva di creare futuri, di immaginare altro; il piacere è energia che orienta, insieme al desiderio.
Wow wide web parla di trasformazione e vuole stimolarla, sottopelle.
È una performance fruibile solo dall’interno: pubblico e performers condividono un unico spazio. Si propone come un ambiente accogliente, immersivo e sensoriale, un sistema di attrazioni prossimali non esclusive in cui lasciarsi attraversare da parole, sguardi, suoni. Si manifesta come un’esperienza atmosferica, un ecosistema morbido auto-organizzato, un paesaggio mobile e sonoro in mutazione.
La ricerca si alimenta di fisica, biologia, esoterismo, fantascienza, letterature femministe, neuroscienze. Riflette sulla connessione tra realtà (umana, animale, vegetale, minerale, extraterrestre, batterica, ecc.) che compongono la materia vibrante nella quale siamo immerse e di cui formiamo parte.
Anche qui un audio apre il lavoro. Arriva come un’introduzione situata, parlata, tipo un manifesto strambo. Poi muta in una pratica di visualizzazione interna di cambiamenti corporei, tra il body scanner e la S.F. che orienta verso l’interno l’attenzione di chi ascolta invitando a sperimentare un’estensione della percezione e una nuova immagine del proprio organismo tra organi e arti, presenti e immaginati.


L’audio, infine, ri-orienta lo sguardo all’esterno e approda nella dimensione collettiva: sovrappone le parole agli sguardi sciogliendo le posture in un’atmosfera condivisa di ipnosi sexy.
Poi succedono altre cose.
Emergono lingue blu e corpi sulla scena, creature strambe che ancheggiano tra il pubblico. Guardano, gattonano, si uniscono e si separano, cominciano azioni che poi diventano altro, danzano e si scuotono, lacrimano, cinguettano, ruggiscono e cantano un tema pop manomesso come una ninna nanna.
In scena ci sono sei performers: sei persone flinta*, individui non identificabili con la definizione di maschio cis ed etero.
Il desiderio di indagare in questo modo il tema della trasformazione nasce da un’estrema esperienza personale, il processo in assoluto durante il quale mi sono sentita altro, oltre il concetto di essere umano sperimentato fino ad allora: con l’esperienza della gravidanza, del parto e del post parto mi sono identificata indelebilmente come creatura postumana e queer, un corpo collettivo in trasformazione continua che integra tecnologia, natura e fantascienza.
Oltre l’individualismo, volente o nolente, il corpo si manifesta in modo esplicito come un pianeta abitato da più entità in costante movimento e ribilanciamento, in costante connessione.
Nessun’altra esperienza mi ha spinta così lontano dalla concezione patriarcale retrograda di identità binaria, statica e individualista.
Wow wide web si allontana anni luce dal convenzionale concetto di maternità, lo deromanticizza (spesso senza nemmeno nominarlo) per parlare di trasformazione, sensualità, connessione e queerness in senso esteso.
Se mi interessa parlare di gravidanza (e di ciò che ne consegue) è in senso sovversivo e queer, considerandola un processo di incarnazione estrema del concetto di trasformazione e co-dipendenza.
Un processo che non esclude nessunx e ci unisce esplicitamente nelle relazione inter-specie della condizione ovvia di esseri mammiferi. Siamo comunque e sempre figli3 (per adesso).
Il titolo, Wow wide web, parla di una rete nascosta e favolosa che stupisce, che fa fare WOW (atto linguistico di meraviglia nella contemplazione) e cita la Wood wide web, rete di cura sotterranea delle piante e dei miceli.
L’opera porta quest’istanza: ripensare alla trasformazione e alla relazione come condizioni desiderabili in un’ottica rivoluzionaria.
Cover e fotografie: Michela Depetris, “Wow wide web”, Performance, 2024.
Con B. Bordoni, Chiara Cecconello, Michela Depetris, Zoe Francia Lamattina, Ida Malfatti, Claudia Veronesi. Luci e visual: Colletivo Clon_e
Sound design: Pony Esposito
Foto: Emanuele Padovani per Base (Mi) e C.Farina per Interazioni
Produzione Codeduomo, con il supporto di Residenze Coreografiche Lavanderia a vapore Piemonte dal vivo e con il supporto di SPAM! Rete per le arti contemporanee



Ha collaborato Simona Squadrito
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.