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I (never) explain #190 – Francesco Pedraglio

...immaginarsi sculture come maquettes di spazi capaci d’ospitare ipotetiche azioni performative. Quindi legare queste maquettes ad uno “spazio terzo” – lo spazio mentale della narrazione di queste stesse azioni – attraverso un numero di telefono graffiato sulle pareti, sui pavimenti o sui soffitti...
Francesco Pedraglio, If Only Walls Could Talk; 2019; performance con pietra di tufo, storia; 58x60x32cm

Tutto è nato da un posacenere. Anzi, da un fermacarte… da una scultura pensata come un fermacarte ma che tutti i lavoratori della fonderia con cui collaboro chiamavano “il posacenere”. Entrambi oggetti relativamente obsoleti, il posacenere ed il fermacarte, e forse proprio per questo capaci di suscitare in me una domanda: come produrre una scultura che racconti se stessa – che letteralmente si narri ad uno spettatore – senza dover esserci io presente a parlarci sopra in prima persona?

L’unica soluzione a cui sono arrivato è allo stesso tempo convulsa e semplice: immaginarsi sculture come maquettes di spazi capaci d’ospitare ipotetiche azioni performative. Quindi legare queste maquettes ad uno “spazio terzo” – lo spazio mentale della narrazione di queste stesse azioni – attraverso un numero di telefono graffiato sulle pareti, sui pavimenti o sui soffitti in bronzo delle sculture stesse. Il numero è attivo e si può chiamare per ascoltare la storia di quello spazio. A volte ho usato numeri di telefono comprati e messaggi preregistrati; altre volte mi sono appoggiato ad amici e conoscenti chiedendo loro d’essere i portavoce della storia. Comunque sia, l’idea è che ogni scultura viene lasciata in pace, abbandonata a se stessa e alla possibilità di raccontarsi o di restare muta a seconda della reazione dello spettatore. Sembra una cosa ovvia, certo… ma non era ovvia per me.

Ma visto che qui l’idea è di parlare di un lavoro in specifico, andiamo allo specifico con un esempio:

Spazio ideale per un colpo di stato fallito (+52 55 8526 1345)
Bronzo, alluminio, numero di telefono, storia.

E la storia va più o meno così:

Malattie stagionali a parte, è senso comune evitare qualsiasi spazio eccessivamente esposto a correnti d’aria improvvise, nonchè rifuggire insidiosi sbalzi di temperatura, siano essi caldi o freddi, secchi o umidi.

Non che il fallimento del colpo di stato indissolubilmente legato alla spazio che stai osservando abbia a che fare con un raffreddore comune o una qualsivoglia malattia causata dall’esposizione prolungata a condizioni meteorologiche sfavorevoli. Sarebbe un’assurda riduzione della situazione: un mal di stomaco di Napoleone non può da sola spiegare Waterloo. E tuttavia… beh, tuttavia è ​​facile immaginare come nessuno vorrebbe affrontare un evento in grado di stravolgere l’esistenza di un gran numero di persone – categoria in cui certamente inscriverei un colpo di stato – mentre afflitto da un brutto mal di gola o una persistente congestione nasale.

La realtà è che sono innumerevoli i fattori che hanno contribuito al fiasco del suddetto colpo di stato. Come la maggior parte degli eventi della vita, anche questo dovrebbe essere analizzato come una costellazione oggettiva di circostanze soggettivamente accumulate. E data la difficoltà nello scartare o accettare una qualsiasi di queste circostanze come fattore scatenante fondamentale per il fallimento, dovremmo tenerle tutte in considerazione e vedere cosa ne salta fuori.

Francesco Pedraglio, An island facing another island (who lands and who doesn’t), 2019, tessuti stampati a mano. Favignana (IT). Courtesy of INCUVA and the artist. Photo: Ilaria Orsini”
Francesco Pedraglio, Spazio ideale per un colpo di stato fallito (+52 55 8526 1345) Bronzo, alluminio, numero di telefono, storia, 2020/2024

Ad esempio, solo per citarne alcune.

Uno: è indubitabile che il disegno di questo spazio – i suoi elementi decorativi… o meglio, la loro più totale assenza – sia stato da molti considerato come l’immagine ufficiale di un futuro che non poteva che essere prospero. Eppure ora, post factum, sappiamo bene come questo presunto futuro non si sia mai tramutato in presete. Semplicemtne non è mai realmente accaduto e non accadrà mai. Nessuno di questi dogmi – la linea semplice, la vertità dei materiali, la natura senza abbellimento etc. – si tradurrà in un presente vissuto essendo già stato relegato ad un passato dimenticabile. Una volta persa la fede nel potere democratico della leggerezza e dell’apertura, è andato tutto a rotoli.

Due: il campanello d’allarme era lí sotto i nostri occhi già dal primo istante e non ce ne siamo accorti. Non abbiamo visto o non abbiamo voluto vedere. E in effetti tutto ciò che circonda questo spazio – l’area intorno, per così dire – avrebbe dovuto farci dubitare delle reali conseguenze legate al suo disegno. Un ambiente desolato, lunare, làvico, piatto e aspro… una specie di  deserto svuotato di qualsiasi impronta umana. I pericoli nascosti dietro un pensiero positivista erano palesi fin dall’inizio. Ora non ci resta che goderci la vista agghiacciante.

Tre: nel bene o nel male, la composizione di questi due elementi – lo spazio e l’ambiente attorno allo spazio – è diventata un unicum inestricabile. Tanto avviluppato che il primo è afflitto da correnti d’aria anche perché il secondo è così scevro e desolato; mentre il secondo appare così invivibile anche perché l’architettura del primo sembra così temporanea, incompiuta. Un abbinamento perfetto, allo stesso tempo crudele ed attraente.

Potrei continuare, ma credo che l’idea sia ormai chiara: non è tanto che questo colpo di stato sia fallito, è che non è mai realmente iniziato. Non ha mai avuto la possibilità d’iniziare. Era stato pianificato, sì, certo… teorizzato, ma nient’altro. E tuttavia lo spazio esiste, e così i suoi terrificanti, desolati intorni. Quindi la domanda sorge spontanea: cosa ce ne facciamo di questi resti ingombranti di passato?

Una soluzione io l’avrei pure trovata. Anzi, l’abbiamo escogitata tutti insieme in maniera involontario e corale: trasformare questo spazio con tutte le sue teorie in un padiglione, in un oggetto di pura contemplazione. Un monumento. Un’immagine tridimensionale atta ad essere citata e poco altro. Un colpo di stato da raccontare, che nessuno ha realmente vissuto e che per queto non ha cambiato assolutamente nulla. 

Una volta ammesso tutto questo, finalmente potremmo affermare con un certo grado di tranquillità come ciò che rimane di questa idea di modernità è per lo più una certa dose di disuguaglianza sociale.

NB.
L’architettura non mi è mai interessata poi così tanto. Intendo l’architettura come organizzazione di forme e volumi in relazione ad una funzione umana. Eppure, guardando il mio lavoro non posso non notare come, da un punto di vista puramente formale, non ho fatto altro se non costruire spazi. Spazi semplici, essenziali, persino infantili. Sculture, disegni, pitture. Persino le performance altro non sono se non un percorso narrativo attraverso stanze mentali. E tuttavia nessuno di questi arriva ad essere un’architettura. Cosa sono veramente, non lo so neppure io. Forse solo strutture per raccontare… soggettive, temporanee, informali. Meccanismi mentali per fare quello che facciamo meglio: cercare di capirci qualcosa attraverso le storie che c’inventiamo.

Francesco Pedraglio, With regards to the Care of Horses: a love story; 2013/2019; performance con tre attori.
Francesco Pedraglio, Lo opuesto a los libros (The opposite of books); 2023; performance Museo Jumex, Città del Messico.
Francesco Pedraglio, Spazio ideale per un colpo di stato fallito (+52 55 8526 1345) Bronzo, alluminio, numero di telefono, storia, 2020/2024

Ha collaborato Simona Squadrito
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.