Da sempre attratto dal mondo dell’invisibile, della magia e delle assurdità della vita quotidiana, mi addentro nei delicati confini che definiscono l’esperienza umana. Il mio lavoro indaga la sottile linea che separa il razionale dall’illogico, esplorando il fragile divario tra saggezza e follia. Attraverso questa esplorazione, scopro le forze invisibili e le connessioni nascoste che danno forma alla nostra percezione della realtà. Impiego gesti sottili per sovvertire le norme stabilite, integrando errori e paradossi nel mio lavoro, infondendo la realtà con uno strato di ironia. Questo approccio disorganizza nozioni convenzionali come ordine e significati, rivelando i meccanismi instabili, precari e i loro modi di essere.
L’elemento performativo centrale nel mio processo è l’uso che faccio di me stesso come soggetto / strumento. Attraverso l’autoritratto, incarno la natura sfuggente e contraddittoria dell’identità, trasformando il mio soggetto in un veicolo per una più profonda esplorazione esistenziale. Esso non è solo un’immagine, ma un partecipante attivo alla narrazione, contemporaneamente presente e simbolico.
Nel mio lavoro sottolineo la natura ciclica del fallimento e del rinnovamento, riconoscendo che nei momenti di perdita e incertezza emerge il vero potenziale creativo. Riflettendo sulle relazioni sociali e umane, trascendo l’autoreferenzialità, trasformando queste interazioni in nuove possibilità. Se il potenziale non si limita a un processo sequenziale e causale, ma può diffondersi in modo esponenziale, allora questo è uno spazio che può generare una miriade di risultati. L’artista agisce come un passeggero che attraversa l’incertezza del sapere, destabilizzando il proprio ruolo e la propria funzione.
Accidenti, dispetti di spettri, rappresenta un viaggio nato dal caso: un percorso di accidenti, incidenti, incidenze e coincidenze. È una serie fotografica composta da nove scatti, frutto dell’incontro con vecchie diapositive di famiglia e altre trovate per strada, tra Palermo e New York. Questa casualità è stata il punto di partenza per riflettere sul dialogo tra intuizione e destino, passato e presente, presenza e assenza, paesaggio e individuo. Ogni mia apparizione si relaziona a uno scatto proiettato su una tenda che funge da schermo e delimitazione; essa, nel rivelare, cela allo stesso tempo. Mostrando, inevitabilmente nasconde.
Le incidenze creano una narrazione in cui tracce di vite diverse si incontrano e convivono in uno spazio condiviso. Illusioni fantasiose, dal sapore infantile, a tratti paurose ma anche buffe, dove tutto è collegato: tragedia e commedia, memoria e fantasia, ricordi e déjà-vu. Tutto galleggia in una “piscina” magmatica, unica nelle sue differenze formali, cromatiche e materiche, che riflette gli ambienti naturali e urbani in cui siamo immersi.
I miei occhi spiano lo spettatore.
Un pappagallo in gabbia viene proiettato sulla tenda. Da quella stessa tenda, emergo io. È come se entrassi io stesso nella gabbia; divengo pappagallo. La luce, in questo caso, non è solo un elemento tecnico, ma un mezzo che dissolve i confini tra sogno e realtà, spingendo l’opera verso una riflessione sulla percezione, sull’identità e sul nostro ruolo di osservatori. Mi piace pensare che questo gioco di sguardi destabilizzi le certezze dello spettatore, costringendolo a interrogarsi: chi osserva e chi viene osservato?
La tenda diventa un confine che separa e unisce allo stesso tempo, evocando il desiderio di appartenenza e la complessità del nostro rapporto con ciò che consideriamo “casa”. L’essere umano, in queste opere, non è solo un soggetto ma un agente, un mediatore che attraversa i confini tra interno ed esterno, tra rivelazione e nascondimento, creando così un equilibrio instabile che invita alla riflessione ma anche all’intuizione. Cambiano coordinate e prospettive, ma soprattutto i significati.
Si estende sopra la mia testa un cielo infinito, capace di accogliere le stelle, le mie idee, ma è neve! Mio nonno in via Libertà quando si era liberi di parcheggiare sul marciapiede, ma non è mio nonno. Io fotografato da mia madre, sotto forma di mio padre prima che nascessi, in luna di miele in Spagna. Un coccodrillo appisolato al sole. Una villeggiatura a mare mai avuta. Un orizzonte sbilenco. Cosa racchiudono questi enigmi onirici?
Una (quasi) costante è la presenza di un materasso verticale sulla destra, anche lui incidentato dalla luce, come quando stai sognando ma sei consapevole del letto che ti sorregge. Il sonno, il sogno, il surrealismo, il non far niente. Essere semplicemente consapevoli. Una sveglia assopita o un sogno lucido.
Ha collaborato Simona Squadrito
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.