stoneware | ˈstōnˌwer |
Lo stoneware, tradotto letteralmente come ‘articoli in pietra’, è un tipo di ceramica molto resistente che viene cotta ad alta temperatura. Il termine Stoneware può anche essere usato in modo generico per riferirsi a piatti in ceramica.
Una costante nel mio lavoro è stata la critica all’atto del vedere e, al contempo, all’incapacità di farlo realmente. Probabilmente sono più conosciuto per il mio lavoro sulla natura e sulla crisi ambientale in corso, temi su cui ho iniziato a indagare quando la crisi ambientale non era ancora così evidente come oggi, quando è impossibile ignorarla. Tuttavia, già dalla fine degli anni novanta, con la guerra nei Balcani, mi ero concentrato sui vari conflitti armati, evidenziando la nostra apparente incapacità di comprendere e prendere posizione nonostante l’incessante flusso mediatico.
“Stoneware” è un’opera del 2008, un set di piatti realizzato in collaborazione con Plusdesign, una galleria che aveva sede a Milano e la cui ricerca si collocava tra Arte e Design. I piatti, che a prima vista sembrano decorati in modo tradizionale, presentano in realtà immagini tratte dai giornali pubblicati tra il 2000 e il 2003, raffiguranti giovani palestinesi che lanciano pietre contro l’esercito israeliano durante l’intifada di quegli anni.
L’Intifada, che in arabo significa “rivolta,” fu un sollevamento di massa da parte dei palestinesi contro il dominio israeliano, iniziato nel 1987 nel campo profughi di Jabaliya e rapidamente diffuso a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. La resistenza palestinese si manifestò in molte forme, tra cui la disobbedienza civile, scioperi generali, boicottaggi di prodotti israeliani, graffiti e barricate. Tuttavia, furono i giovani palestinesi che lanciavano pietre contro le forze di difesa israeliane (IDF) a conferire all’Intifada una risonanza internazionale.
Da qui nasce il gioco di parole nel titolo “Stoneware,” riferendosi ai piatti di pietra.
Dal 1948, anno della Nakba, l’esodo forzato della popolazione araba palestinese durante la guerra civile del 1947-48, si stima che le vittime palestinesi siano state circa 140.000.
Nella mappa pubblicata da Al Jazeera lo scorso maggio emerge chiaramente la divisione tra i paesi che riconoscono lo Stato di Palestina e quelli che, invece, continuano a negarne l’esistenza e i diritti. I governi occidentali restano saldamente schierati a difesa del governo israeliano, ignorando le ripetute denunce delle organizzazioni internazionali per i diritti umani riguardo alle violenze perpetrate contro i palestinesi, così come la netta condanna di queste azioni da parte del tribunale internazionale.
Secondo la rinomata rivista medica The Lancet, in conflitti recenti, le morti indirette possono variare da tre a quindici volte rispetto alle morti dirette. Applicando una stima prudente di quattro morti indirette per ogni morte diretta si può ragionevolmente ipotizzare che fino a 186.000 o più decessi siano attribuibili all’attuale conflitto a Gaza. Considerando la popolazione della Striscia di Gaza nel 2022 ciò rappresenterebbe il 7,9% della popolazione totale. Un rapporto del 7 febbraio 2024 stimava che, senza un cessate il fuoco, il numero dei morti potrebbe raddoppiare (senza epidemie o escalation) o addirittura triplicare(se entrambe le eventualità si verificassero) entro il 6 agosto 2024.
Ha collaborato Simona Squadrito
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.