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I (never) explain #180 – Marco Cassarà  

Nei lavori di "The Rising", la forza evocativa della pelle di animale porta su un piano performativo l’incisione per mezzo delle smerigliatrici, instaurando una tensione che sfocia in un transfert tra due corpi, o forme, quella dell’animale e la mia. 

BONES OF LIGHT (THE RISING)

Il mio linguaggio grafico è caratterizzato dall’uso di smerigliatrici elettriche. In un certo senso, il mio tratto è amplificato dall’elettricità canalizzata nel mio polso. Il segno dunque, avviene per sottrazione della materia per mezzo di abrasioni meccaniche, una smaterializzazione nella superficie, in cui accadono e si definiscono eventi.
La prima volta che ho inciso un “segno elettrico” su una superficie è stato casuale, su un cuoio di vitello che per mesi è rimasto appeso in studio. Davvero non sapevo cosa farci, e sentivo un gran senso di responsabilità; era la pelle di un corpo scuoiato, stesa nel muro, intensa di dramma e tensioni. Così, preso da una rabbia improvvisa, mi cadono gli occhi su una smerigliatrice, e come in un getto ispirato, è partito il colpo: un segno che aveva la forza di un simbolo – così rifinito e sfocato allo stesso tempo – che sembrava un ologramma dentro e fuori la superficie. Una rivelazione. Un’espressione liberatoria, che ho sentito catartica sia per me che per l’animale; per la sua memoria.
Così ho iniziato a sperimentare questo linguaggio, e cominciato la serie The Rising, un lungo ciclo di lavori su cuoio, di cui i processi creativi, sono stati catalizzatori di un’esperienza di ricerca e di crescita personale (in cui ho anche smesso di mangiare carne).
Nei lavori di The Rising, la forza evocativa della pelle di animale porta su un piano performativo l’incisione per mezzo delle smerigliatrici, instaurando una tensione che sfocia in un transfert tra due corpi, o forme, quella dell’animale e la mia. 
All’apice di questo periodo di introspezione, l’ispirazione era tale da farmi sentire perfettamente centrato nella mia persona e nella mia ricerca. In seguito, le suggestioni che questi lavori suscitavano in me, le letture di opere monumentali (tra cui Psicologia e Alchimia di Jung, Essere e Tempo di Heidegger), e la fine improvvisa di una relazione sentimentale, sono stati un terribile cocktail per uno stato visionario, che traeva forza da una intensa attività onirica densa di simbolismo. 
Nel suo Libro Rosso, Jung scriveva che l’atto magico e la magia agiscono attraverso il tramite psichico di chi la pratica, trasformando la loro “realtà interiore”. Questa suggestione era diventata la mia urgenza. Tra esplosioni creative e crolli emotivi, volevo trasformare la mia realtà psichica, attraverso l’atto artistico. In momenti estremi e visionari –  talvolta di disperazione -, come in un corpo a corpo, mi scagliavo con la smerigliatrice su quelle superfici organiche, lacerandole, scavando dentro come se lo facessi in me stesso, cercando verità intrinseche, tracce di anima e spirito. 
Con un simile spirito poetico, e per fortuna allegro, ho lavorato sull’installazione site-specific Bones of Light, tuffandomi con la smerigliatrice nelle sue superfici metalliche.
L’installazione è stata realizzata in un mese e in locus, negli spazi de L’Ascensore. Circondato da una superficie specchiante alta più di due metri e lunga circa dodici – che si alterava ad ogni velatura aggiunta, mi sentivo dentro una caverna, con la stessa meraviglia di un uomo primitivo che scopriva ed esplorava il segno per la prima volta: un segno fatto di luce, che vibrava attraverso i graffi nel metallo. Qualcosa che veniva dal profondo.

Marco Cassarà, Bones of Light, 2024. Veduta della Mostra. Abrasioni e olio su lamiera zincata. Courtesy L’Ascensore. Foto di Fausto Brigantino
Fausto Cassarà, Bones of Light (performance), 2024. Courtesy l’artista e L’Ascensore. Foto di MT Mancini.
Marco Cassarà, Bones of Light (dettaglio)

Tra le vibranti velature della pittura ad olio,  i flussi di segni estesi in tutta l’opera sono caratterizzati da uno “straniante effetto cinetico”, attivato  dall’interazione di chi osserva, con la rifrazione della luce nei solchi incisi. L’effetto è simile a quello di un display elettronico, dinamico e interattivo. Qualcosa di virtuale ma dall’un aura arcaica.
Le configurazioni di segni incisi nei miei lavori, sono generate da una gestualità istintiva – talvolta rituale, talvolta selvaggia -, in cui l’approccio automatico, nel migliore dei casi, potrei paragonarlo a quello stato mentale che nello Zen è chiamato mushin, ovvero non-mente. In Bones of Light, a parte il blu pronunciato nell’opera, non avevo idea di ciò che avrei realizzato, ma il trasporto è stato tale, che mi ritrovavo spesso ad incidere ad occhi chiusi.  
Ricordo la notte in cui ho inciso il cavallo nella parte sinistra dell’installazione; avevo finito di lavorare e pulire i pennelli. Fuori da L’Ascensore, appena superata la via, mi imbattevo sempre  nella potente visione del Ficus di Piazza Marina (Palermo), era tutto molto suggestivo. Superato l’albero, mi viene in mente il cavallo raffigurato nel Trionfo della Morte, a Palazzo Abatellis (che era a pochi passi da lì). Un senso di irrequietezza mi ha riportato a lavoro. Scopro che la costellazione del pegaso era estesa in direzione della parete dove era già accennato il cavallo, e come illustrato nel progetto grafico, era affiancata da un allineamento planetario che si sarebbe perfezionato il giorno dell’inaugurazione della mostra. 
Quella notte ho inciso quel cavallo in un unico getto, senza staccarmi dalla parete. Come un Cavaliere dello Zodiaco (per chi se ne intende), scagliavo Fulmini di Pegasus! 
Scherzi a parte, questa figura –  di statura archetipica per me -, era già dentro quella lamiera,  intrecciata a una serie di suggestioni personali molto profonde. In primis era un pegaso. Prima di irrompere nell’astrazione del mio linguaggio, anni fa ha fatto la sua prima apparizione nei miei sogni, portando con sé un processo onirico che si è rivelato importantissimo, che in qualche modo si è concluso attraverso i processi creativi sperimentati nell’opera. 
La realizzazione di Bones of Light è stata un’esperienza bellissima e trasformativa, che non si sarebbe avverata senza il lavoro di una squadra molto coinvolta; con grandissimo piacere ricordo un simile coinvolgimento nelle tante persone presenti all’opening, e nel finissage, in cui l’elettricità che riverbera nell’opera è culminata con la performance di mio fratello alla chitarra elettrica.
L’intensità visiva dell’installazione culmina con la purezza del bianco vibrante della nicchia sulla destra, in cui una poesia stampata in alfabeto braille è fruibile al pubblico attraverso il tatto, ma velata alla vista, suggerisce una direzione da percorrere attraverso gli occhi interiori, uno scenario parallelo che spero di poter approfondire in futuro.

Cover: Marco Cassarà, Bones of Light, 2024. Veduta della Mostra. Abrasioni e olio su lamiera zincata. Courtesy L’Ascensore. Foto di Fausto Brigantino

Marco Cassarà, Bones of Light, 2024. Veduta della Mostra. Abrasioni e olio su lamiera zincata. Courtesy L’Ascensore. Foto di Fausto Brigantino
Marco Cassarà, Bones of Light (dettaglio)
Marco Cassarà, Pneuma (πνεῦμα), 2019, abrasioni e pigmenti su cuoio conciato, cm 120 X 100

Ha collaborato Simona Squadrito

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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.