Ricordi di coppie, serpi, giunti e innesti è un progetto attualmente in corso, avviato nel 2023, che consiste in un archivio di immagini ed elementi scultorei. L’elemento attorno a cui ruota il lavoro è un segmento di un casco di banane raccolto in Italia, appartenente alla specie Musa basjoo, un soggetto spesso presente nel mio lavoro scultoreo per le peculiarità che contraddistinguono il processo di coltivazione a scopo alimentare e non di questa famiglia di piante. Il frutto che comunemente consumiamo, appartenente alla cultivar Cavendish, è un ibrido sterile risultante dall’incrocio tra due specie: Musa balbisiana e Musa acuminata. La sterilità dei semi in questa pianta impone una coltivazione e una riproduzione tramite talee, un processo che non varia il codice genetico della pianta e definisce ogni esemplare come un “clone” del precedente. Ciò è reso possibile grazie alla partenocarpia, una forma di sviluppo che permette al frutto di maturare anche senza fecondazione. Questo processo cattura la mia attenzione per la complessità del rapporto tra naturalità e artificialità nella coltivazione di questa pianta.
La tensione di questo binomio anima il mio lavoro in generale, contraddistinto da un interesse per i processi biologici, in particolare quelli vegetali, e da una passione per i processi di trasformazione della materia e di serializzazione. Il casco di banane, in questo caso, è sottoposto a un analogo processo di copia e trasformazione, realizzato in una fonderia industriale in acciaio inossidabile, ma tramite il processo di fusione a cera persa, una tecnica antica ancora utilizzata in industria per affrontare forme complesse. Questo lavoro si sviluppa anche grazie all’interesse per altre processualità, che definirei compositive e ibride, come l’innesto agronomico e la predisposizione di elementi seriali architettonici ed edilizi alla giunzione tramite modularità. La modularità mi sembra infatti un punto in comune tra il naturale e l’artificiale: la crescita di un’architettura mi ricorda quella di una pianta, con moduli uguali o simili tra loro collegati in un unico corpo, visibile o nascosto, come nei tubi interni alle pareti, nei sottotetti e nei pavimenti, decine e centinaia di metri di tubi e cavi, composti da moduli di pochi metri, uniti tra loro in un unico sistema capillare.
In accordo con questa idea il progetto si esprime in un indefinito processo di giunzione di questa scultura in acciaio inossidabile con altri elementi vegetali, provenienti da un erbario personale, a loro volta riprodotti in materiali da costruzione, come malte cementizie e metalli, quali acciaio e alluminio. Questi secondi elementi appartengono a specie incontrate nei dintorni del mio studio, in un contesto urbano. Colti all’interno di giardini o piccoli terreni coltivati, attirano la mia attenzione per una tensione simile tra naturale e artificiale. Alcuni di questi provengono da specie non autoctone, importate nei secoli come piante ornamentali o specie eduli, spesso sottoposte a ibridazione per adattarsi meglio al clima mediterraneo o nord-europeo. Un esempio è il frutto di una Magnolia grandiflora, raccolto di fronte al mio studio. Questa specie appartiene alla famiglia delle Magnoliaceae, probabilmente tra le prime angiosperme (piante da fiore e frutto) ad aver abitato la Terra, oggi tra le piante più diffuse anche nei giardini europei grazie a specie e ibridi che meglio si adattano al clima. Uno scatto relativo a questa specie mi ha portato ad aggiungere la parola “serpi” al titolo del progetto. Questa fotografia mi ha stimolato l’associazione formale del frutto di magnolia grandiflora con la testa di un serpente, è in realtà questa una dinamica che non raramente mi accompagna nel lavoro, mi ritrovo talvolta a identificare le mie sculture anche con forme animali oltre a quelle vegetali da cui partono. Inoltre in quel periodo stavo lavorando a un progetto, a oggi sospeso, incentrato sugli spostamenti tra i rifugi temporanei estivi di un gruppo di biacchi, dei serpenti particolarmente diffusi in Nord Italia. In queste ricognizioni, in cui mi appostavo vicino alle tane, difficilmente riuscivo a vedere la testa di questi rettili, nascosta nell’erba alta o intravista nell’atto di infilarsi in questi rifugi. Forse per un momento potrei aver pensato che fosse fatta così, costituendo un ibrido tra una corpo vegetale e uno animale, un’unione tra due universi distanti tra loro.
Un altro esempio è l’infiorescenza di un Acanthus mollis, colta già secca a circa 500 metri dal mio studio. Pianta diffusa nel Mediterraneo, cattura la mia attenzione per il suo legame con la rappresentazione, in particolare come elemento legato alla decorazione architettonica. Mi intrigava l’idea di renderlo elemento attivo e al contempo mobile di una relazione scultorea/installativa, nonché soggetto principale, in primo piano, di una fotografia che andasse oltre la sua funzione decorativa. Questo erbario rappresenta per me una mappatura del territorio attorno al mio studio, una mappatura vegetale e al contempo un catalogo di azioni umane legate alla modellazione del paesaggio. Questo processo è attivato da una serie di camminate ed esplorazioni, un elemento basilare nel mio modo di lavorare e acquisire informazioni utili alla ricerca. In questi andirivieni, movimenti da un punto A fisso, identificato con il mio studio, e da una serie di altri punti mobili, sono senz’altro gli stimoli visivi e quelli olfattivi a catturarmi. I soggetti presenti nel mio lavoro mi incuriosiscono per associazioni formali, per le situazioni spaziali in cui sono stati trovati e per i profumi che connotano una specie rispetto a un altra. In altri casi è un interesse teorico, iconografico e/o botanico a spingermi a cercare: le camminate di questo tipo sono molto diverse, hanno uno scopo prefissato e spesso una direzione e una destinazione già prestabilite, il deambulare in questi casi è meno ricettivo e più mosso da un intento. Queste due modalità di lavoro, questi due modi di camminare, non sono in realtà così compartimentati; talvolta uscendo con uno scopo prefissato di ordine teorico mi imbatto in specie che non conosco e che mi attirano in maniera “viscerale” per suggestioni visive od olfattive e sulle quali solo in un secondo momento inizierò a documentarmi.
Questo esercizio compositivo non porta a soluzioni univoche, ma si esprime nella crescita e nello sviluppo della scultura iniziale, tramite un tubolare in acciaio e morsetti che la collegano a uno degli altri elementi scultorei. Ogni configurazione di questo processo viene immortalata in uno scatto fotografico in negativo, successivamente riprodotto su una lastra di vetro fumé. La scelta di questa tipologia di vetro è dovuta alla somiglianza con il negativo fotografico. L’idea del negativo o della lastra emulsionata è particolarmente adatta allo scopo che questi elementi hanno per me: un archivio di un processo e un archivio di un erbario, o meglio, di qualcosa che somiglia a un erbario da un lato e a un catalogo di prodotti industriali dall’altro.
Talvolta questi scatti sono riprodotti direttamente sulle vetrate di spazi espositivi e non, attraverso l’impiego di vetrofanie. Questa modalità mi permette di entrare in confronto diretto con l’architettura e con il paesaggio, naturale o urbano, che la superficie, opaca in alcuni punti e trasparente in altri, rivela in maniera filtrata. In un installazione due di queste vetrofanie di piccole dimensioni, erano applicate direttamente a delle grandi vetrate a volta, presenti in un’ex autorimessa di proprietà del comune dove ero residente durante il progetto Nuovo Forno del Pane Outdoor Edition. Come in gran parte del Paese gli edifici entrano in una continuità quasi armonica con il paesaggio naturale. In questo caso però, il paesaggio collinare al di fuori delle finestre dello stabile era filtrato da una pesante cancellata in ferro che ne impediva una lettura continua. Mi intrigava l’idea di aggiungere un ulteriore livello, un ulteriore filtro a questa relazione che da armoniosa e diretta diventava sempre più segmentata e complessa.
Ricordi di coppie, serpi, giunti e innesti è per me una ricerca potenzialmente infinita alla quale mi ritrovo a lavorare in maniera capillare e in concomitanza con altri progetti. La sua natura legata a processi di ibridazione e composizione la allontana da una forma concreta e stabile e si arricchisce di volta in volta grazie a nuovi interessi teorici e per una mia esigenza di modulare e ricombinare continuamente le mie sculture.
Cover: Andrea Di Lorenzo, Ricordi di coppie, serpi, giunti e innesti, (2023), acciaio inossidabile, cemento, morsetti/stainless steel, concrete, clamps, 160 ×40 × 50 cm
Andrea Di Lorenzo ha fatto parte della residenza Nuovo Forno del Pane Outdoor Edition 2024 promossa dal MAMbo, Bologna
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.