All’inizio queste grandi teste in carta dipinta erano state realizzate per farne delle riprese video in situazioni in cui venivano indossate e messe in scena. Poi, col tempo la tecnica si è via via affinata e le sculture, pur conservando caratteri di approssimazione e semplificazione del volto, hanno acquisito valori plastici per me più compiuti, sono diventate opere che oltre a poter essere “attivate” facendole indossare a degli attori, mantenevano un senso plastico autonomo anche quando venivano presentate nella maniera più tradizionale su dei piedistalli o dei sostegni. Sono diventate delle sculture con la doppia possibilità di stare ferme, allestite, o muoversi, prendendosi il loro spazio.
Ciò mi ha portato inevitabilmente a riflettere sul teatro di figura e sulla performance, mantenendo però al centro del mio interesse la scultura. Si è trattato per me di animare delle sculture o, meglio, di mostrare la scultura attraverso il movimento, l’azione scenica. Una nuova forma espositiva per la scultura.
Per la realizzazione di alcuni cortometraggi realizzati con l’amico regista Danilo Torre, pur non essendo un performer, ho indossato io stesso alcune teste. Anche in occasione di inaugurazioni di mostre o fiere, scegliendo abiti adeguati alla figura e immaginando un minimo di azione o interazione con il pubblico. L’identità della persona che indossa la testa viene celata, ci si può riparare dietro (e dentro) l’identità della figura rappresentata. In fondo recitando con le teste, non ci si espone tanto, ci si espone parzialmente, con il proprio corpo ma non con il volto. E’ stato interessante per me notare come ogni persona che ha indossato la testa abbia dato al personaggio scultura un suo carattere unico.
Unica è anche la relazione che si stabilisce tra figura rappresentata nella testa e il suo “pilota”, cioè l’attore che la indossa. Le teste in cartapesta hanno sempre provocato entusiasmo, anche in contesti museali, solitamente austeri, hanno generato sorrisi, divertimento, stupore.
Sono opere che hanno richiamato l’attenzione anche per via delle loro dimensioni importanti. Si tratta di una scultura ad “alto volume”, enfatizzata, fintamente giocosa.
“Fintamente” poiché ad uno sguardo più distaccato e passata l’euforia della sorpresa, ci si trova davanti a volti immersi nei loro pensieri, a identità da scoprire, a figure altre a cui bisogna avvicinarsi e con cui si può cercare di stringere relazioni. Quasi persone da conoscere, da scrutare.
I volti prendono spunto da persone reali o immaginarie, a volte suggerite da sogni, a volte apparizioni fulminee nelle mie visioni. Insomma, non sono io che scelgo i soggetti da rappresentare ma aspetto che siano loro a reclamare di essere costruiti.
Così sono sempre al servizio dell’idea che affiora, dell’immagine che si manifesta. Traggo spunto dal mondo invisibile del pensiero che si mescola a quello dell’esperienza reale.
Il processo di lavorazione di questi lavori, fatto al suo interno di un intricato intreccio di filo di ferro e rete metallica, richiede molta pazienza, cosa che contrasta con la mia voglia di definire velocemente qualunque lavoro.
La fragilità di queste opere mi ha inevitabilmente costretto a riflettere sul problema della loro conservazione: da un lato il lavoro è troppo nuovo per essere trattato alla stregua di una reliquia e al tempo stesso è eccessivamente prezioso per essere considerato solamente come un apparato.
Devo misurarmi quotidianamente anche con il problema dell’ingombro di queste grandi sculture, non disponendo sempre di spazi adeguati per immagazzinarle. Problema che è diventato utile, perché mi ha spinto ad essere selettivo e a distruggere numerosi lavori che mi sembravano non eccezionalmente riusciti.
Nel frattempo altre teste in cartapesta sono nate e nasceranno e affronteranno le loro incertezze ed avventure.
Ha collaborato Simona Squadrito
Per leggere gli altri interventi di I (never) explain
I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.