ATP DIARY

I (never) explain #172 — Roberto de Pinto

"...di solito preferisco il non detto, l’allusione e l’implicito; tocchi delicati da parte di elementi naturali e ombre, baci e contatti inesistenti o impercettibili. Mi piace stare in bilico, né di qua né di là, presentando immagini che solo un pizzico di malizia sa risolvere: non dichiarando, le cose mi sembrano sempre funzionare."
Un chant d’amour, dettaglio, Roberto de Pinto, 2024.

UN CHANT D’AMOUR
Roberto de Pinto

Di solito quando le mie mani non toccano pennello o carboncino per più di una settimana iniziano a prudermi e lo fanno anche davanti ai quadri dei miei pittori preferiti, per i quali provo un pizzico di invidia.
“Un chant d’amour” è il mio ultimo quadro ed è, finora, il più esplicito che abbia mai fatto. È alto 180 cm, largo 135 cm, realizzato a tecnica mista con una base di encausto a freddo e successivi interventi a olio, pastelli e carboncino. È nato nel mese di maggio, dopo un aprile passato lontano dal mio studio, con le mani che mi prudevano, insoddisfatte più che mai.
Inizio un quadro sempre scegliendo la tela: questa volta capita a un lino grezzo dalla trama larga e dal filo spesso. La tendo sul telaio e la preparo con imprecise e veloci pennellate di gesso acrilico leggermente diluito. La superficie, quando asciuga, è di un bianco spento, imperfetta e a macchie, assorbente quanto serve.
Mentre la tela asciuga, mi dedico al bozzetto. 
Mi apro a più possibilità e inizio a disegnare figure erotiche solitarie – ho le mani sporche di nero e ogni cosa che tocco diventa traccia del mio passaggio: il foglio, la scrivania, il manico di una tazzina, il mio collo. Sento che sta funzionando, inizio ad avere trasporto disegno dopo disegno. Eleggo il secondo schizzo a bozzetto definitivo, lo ridisegno per sicurezza per capirne meglio le proporzioni e la posizione che avrà nel quadro. Tolgo la tela dal telaio e la fisso al muro ben tesa, poiché, spingendo il pennello, sfregandolo il più possibile, incidendo con punte e matite, il vuoto del telaio non reggerebbe. Inizio a disegnare la figura in maniera leggera, ne indovino quasi subito tutte le forme e scelgo di posizionare la gamba sinistra in posizione di apertura invece che in chiusura come l’avevo pensata su carta.
Passo al colore.

Roberto de Pinto, parete dello studio con vista a Un chant d’amour, 2024, Encausto, pastelli, carboncino e olio su tela, 180×135 cm

Inizio con le parti che voglio più rosse: il naso e le guance. Tra le tante possibili, scelgo una sanguigna piuttosto arancione e coloro queste zone. Si alza una polvere rossastra: la maggior parte rimane intrappolata tra i pori della tela, la restante cade ai miei piedi. Con della grafite o del carboncino accenno le parti in ombra. Creo l’encausto con un pennello di setole di maiale, punto alla guancia e inizio a strofinare. La cera scioglie il pigmento e lo incorpora a sé, annidandosi nella trama della tela. Il pennello si sporca di rosso, la materia che deposita non copre completamente ed è trasparente, proprio come un’epidermide. Le imperfezioni della preparazione a gesso ora partecipano ad erotizzare la pelle del mio personaggio. Passo all’occhio, lo voglio basso e lungo, tra l’esausto e il languido, con la pupilla in su. Lo curo e lo trucco il più possibile. Mi sposto sui baffi e sui capelli, dove uso un carboncino e matite di vari neri. Scendo verso il petto – mi rendo conto di essere molto preso dal quadro – accenno dei capezzoli con lo stesso rosso della guancia, rimesto tutto con la cera e do forma. Sempre con le matite, disegno i peli direzionandoli uno a uno verso lo sterno, lì dove si raggruppano e creano volume. Gradualmente li estendo a tutto il corpo: dai pettorali salgo alle spalle, tocco le braccia, poi scendo verso l’ombelico e incremento verso la mutanda, la sorpasso e vado direttamente alle gambe. A corpo concluso mi dedico agli slip usando il carboncino più nero e soffice che conosco. Li definisco e li illumino con una puntasecca togliendo la materia in eccesso.
La figura è completa e fluttua sulla tela bianca. Rifletto ora su dove vivrà – … un bagno? Troppo banale. Una camera da letto? Non mi convince – la parete di uno studio? Perché no?! Mi sembra perfetto: l’erotismo di un corpo che coincide con l’erotismo dell’atto pittorico. La pittura che diventa un amplesso, il disegno e le bozze i suoi preliminari.
Inizio ad abbozzare il fondo. 

Vorrei una parete come quella del mio studio, sporca di pittura e piena di disegni, come fossero promemoria. Preparo dei bozzetti a carboncino da stampare sulla cera umida come se fossero dei monotipi. Faccio attenzione perciò a disegnare in maniera speculare. Li appoggio sulla tela e calco con un grafitone su tutto il retro: le mie mani sono nere. Stacco il foglio e il carbone si è trasferito perfettamente sulla cera, comprese le ditate. Un po’ di colore invece rimane sul foglio. Mentre dipingo il fondo di grigio, ho ancora le mani sporche. Appoggio l’indice sulla parte appena campita lasciando un’impronta. Immergo i polpastrelli nella scatola dei carboncini e ne lascio un’altra. Creo così una galassia di segni e pennellate casuali. Appena percepisco di stare esagerando, mi fermo.
Lascio la tela al muro ancora qualche giorno, riguardandola ogni tanto, finché non la rintelaio decidendo che è conclusa e non ha bisogno di ritocchi.

Ci rifletto: di solito preferisco il non detto, l’allusione e l’implicito; tocchi delicati da parte di elementi naturali e ombre, baci e contatti inesistenti o impercettibili. Mi piace stare in bilico, né di qua né di là, presentando immagini che solo un pizzico di malizia sa risolvere: non dichiarando, le cose mi sembrano sempre funzionare. Su questa tela ho deciso però di mettermi alla prova, facendo qualcosa che non avevo mai fatto prima: l’atto è dichiarato e la figura ha una mano nella mutanda. E che mutanda! Nera, nerissima! Quanto mi è piaciuto dipingerla…

Lo lascio decantare un po’ e mi interrogo su quale sarà il prossimo quadro, se in linea o se in direzione opposta – Vedremo. Poggio “Un chant d’amour” alla parete, appena nato e ancora senza nome, poi mi ricordo di un film di Genet…

Roberto de Pinto, Un chant d’amour, monotipo, 2024

Ha collaborato Simona Squadrito

Per leggere gli altri interventi di I (never) explain
I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.

Nelle passate pubblicazioni hanno contribuito Zoe De Luca e Irene Sofia Comi