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I (never) explain #161 — Andrea Nacciarriti

Il progetto realizzato per lo spazio Kappa-Nöun a San Lazzaro di Savena è nato da una serie di coincidenze, una combinazione di eventi durata un paio di anni, prima ancora che Marco Ghigi mi proponesse di fare una mostra nel suo spazio.All’inizio è stato l’incontro con una barca, un barchino incassato in un seminterrato, sommerso […]

Andrea Nacciarriti, Installation view – barchino, chroma key, 2 bitte di acciaio inossidabile dimensioni ambientali, 2023 – Foto di Carlo Favero
Andrea Nacciarriti, Installation view – barchino, chroma key, 2 bitte di acciaio inossidabile dimensioni ambientali, 2023 – Foto di Carlo Favero

Il progetto realizzato per lo spazio Kappa-Nöun a San Lazzaro di Savena è nato da una serie di coincidenze, una combinazione di eventi durata un paio di anni, prima ancora che Marco Ghigi mi proponesse di fare una mostra nel suo spazio.
All’inizio è stato l’incontro con una barca, un barchino incassato in un seminterrato, sommerso da ogni genere di cose, difficile anche solo avere un’idea di come fosse fatto, se non un’ipotesi. Avevo lo studio in un’ala di quell’enorme spazio, per un’estate sono rimasto lì alla Factory ZeroZero l’associazione culturale che mi aveva ospitato e che è poi lo sponsor principale del progetto.
La curiosità di poterla vedere interamente, sola, in un luogo neutro mi ha convinto poi ad usarla.
Nel frattempo avevo già usato il chroma key, il dispositivo che ha digitalizzato l’immaginazione, lavorandoci ne ho apprezzato il suo potenziale in termini di spazialità, indipendentemente dalle immagini coinvolte per l’elaborazione. Il green screen non è solo uno strumento, è un luogo a tutti gli effetti, ma che luogo è? Come si comporta quando ci troviamo al suo interno? Come reagisce la vista rispetto a quel verde? Un po’ come se avessimo degli occhi in RGB la vista è sensibile a quella perseveranza di particolari, a quella definizione di pixel che isolano gli oggetti coinvolti, quasi si trattasse di una sovrapposizione tra due modelli della rappresentazione: quello prospettico e quello bidimensionale fusi insieme. Il fondo fagocita e astrae superficie e profondità. La sensazione di sospensione che si prova in quel giardino di cotone verde condensa in se tutte le immagini che si accumulano incessantemente nei nostri “taccuini visuo-spaziali”.
Ora, il ricordo di un passaggio di Lucrezio nel De rerum natura, riaffiorato attraverso la lettura del testo di Blumemberg naufragio con spettatore ha chiarito l’idea del dispositivo e la forma che avrebbe dovuto contenere. È un passo spesso citato in filosofia e non solo, così come lo sono le barche presenti nell’arte: il caso del lavoro di Christoph Büchel presentato alla Biennale di Venezia del 2019, o un po’ più indietro nel tempo, l’imbarcazione di Parmigiani che porta didascalicamente il titolo di naufragio con spettatore, e potrei riferirne molti altri.

Andrea Nacciarriti, Installation view – barchino, chroma key, 2 bitte di acciaio inossidabile dimensioni ambientali, 2023 – Foto di Carlo Favero

Inevitabile segnalarli, ma nonostante la bellezza della chiglia, volevo che il barchino divenisse altro e che potesse perdersi, quasi sul punto di scomparire, perché ero conscio che non sarebbe stato il soggetto.
L’interesse è per qualcosa che va oltre la finzione, o piuttosto per ciò che ha decretato la fine della finzione stessa. Fiction e nonfiction sono terminologie anacronistiche che hanno dominato il linguaggio di buona parte del Novecento e che in breve tempo si sono ritrovate ad essere di un’epoca lontana. Il concetto di finzione separa nettamente il reale dall’immaginato, ma non è più il nostro tempo. La realtà sbattuta in faccia dal ready made della tragedia o l’illusione di un mondo rappresentato e immaginario ora non sono più così distanti, la forza esponenziale con cui le immagini transitano attraverso la nostra quotidianità e la tecnologia, di cui sono il risultato, non permettono quasi più l’identificazione di un fenomeno. La realtà non è più tale se non un mix-up di stimoli visivi incerti e instabili che ci rende spettatori non solo di fronte ad un’opera, ma di fronte alle nostre stesse vite, al nostro stesso essere spettatori.
La falsificazione della nostra esistenza nel reale, è il risultato di un fake identitario, la percezione delle cose è inquinata dagli innumerevoli ruoli che vestiamo e svestiamo in tempi brevissimi, a volte anche sovrapponendoli.
La barca di installation view è così efficace nel concetto che stavo cercando di formalizzare, anche per la sua provenienza, non è mai naufragata, è solo un barchino da pesca a fine vita, ma come riconoscerla e identificarla nel vuoto fisicamente analogico e potenzialmente digitale del chroma key? In che modo si mostra? Cosa stiamo effettivamente osservando? e se non fossimo semplicemente spettatori? La percezione di esserlo è presente quanto incerta, non siamo nemmeno in grado di avvicinarci, tale è la forza del dispositivo, che svelerebbe in maniera immediata il paradosso, ma la nostra insistenza a rimanere spettatori è tale, che probabilmente non ne siamo più così certi, talmente abituati ad arricchire il nostro desiderio più che a soddisfarlo, siamo sconfitti e inappagati.

Andrea Nacciarriti, Installation view – barchino, chroma key, 2 bitte di acciaio inossidabile dimensioni ambientali, 2023 – Foto di Carlo Favero
Andrea Nacciarriti, Installation view – barchino, chroma key, 2 bitte di acciaio inossidabile dimensioni ambientali, 2023 – Foto di Carlo Favero

Il titolo mi sembrava potesse rendere tutto più chiaro, in modo freddo e clinico, installation view fa riferimento all’immagine dell’opera, e così alla insensibilità della visione postprodotta in fase di fruizione. Quindi il tentativo di pormi di fronte all’opera, di conseguenza alla vita stessa, attraverso un modo nuovo di percepirla, ma il problema è: in quale modo? Del resto sembrerebbe necessario.
È evidente quanto l’uomo annaspi di fronte alla tecnica e alla tecnologia che si stanno emancipando dalle possibilità umane, la psiche è in difficoltà e il corpo disimpara, la specie non riesce ad adattarsi abbastanza rapidamente e sviluppa dei disallineamenti, crea dei baratri di incertezza che si proiettano nel verde del chroma key.
Le bitte sulla balconata, affacciato sull’ampio spazio del capannone, paiono sicure, ma aggrapparsi significa davvero stabilizzare lo sguardo su ciò che stiamo vedendo? L’inesattezza e data dallo spazio che è di per se un dispositivo dell’arte, una scatola dentro un’altra.
In definitiva, non ho mai pensato a un display che potesse delineare un giudizio, anche perché non sarebbe stato onesto e piuttosto presuntuoso, ma soprattutto sarebbe risultato inefficace, è invece nato perché potessi osservarmi, giornalmente frastornato dalla frustrazione che ho alimentato, assistendo ad un’identità che perdeva il controllo della sua presenza, arresa all’ipocrisia di una vita esperita in differita, schizofrenica e vigliacca.
Solo in quest’ottica poteva risolversi il progetto, attraverso la via autobiografica, cruda e cinica di un naufragio personale, silenziato e spaventoso, quel pensiero sommerso, quelle mancanze, quelle stesse che non sopporto del genere umano. Conscio ma altrettanto ipnoticamente abile nel far prevalere l’innocenza sulla colpa, deresponsabilizzato dalla persistenza a vivere come se ciò che ci ruota attorno non fosse davvero il nostro mondo.
Persi in pace in un enorme e infinito green screen.

Andrea Nacciarriti, Installation view – barchino, chroma key, 2 bitte di acciaio inossidabile dimensioni ambientali, 2023 – Foto di Carlo Favero

Per leggere gli altri interventi di I (never) explain

I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.

Hanno contribuito alla rubrica Zoe De Luca, Simona Squadrito e Irene Sofia Comi