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I (never) explain #159 – Luigi Presicce

Scegliere una singola opera per un artista che ne ha fatte davvero tante in un percorso di quasi trent’anni è un’impresa beffarda, un voltare le spalle a tanti figli adorati per sceglierne poi solamente uno, uno degli ultimi tra l’altro, si perché l’ultima opera è sempre la migliore, non perché lo sia veramente, ma perché […]

Luigi Presicce, Giardino di delizia, 2023, Oil on Canvas, cm 200 x 160
Hugo van der Goes, Peccato originale, 1479 circa

Scegliere una singola opera per un artista che ne ha fatte davvero tante in un percorso di quasi trent’anni è un’impresa beffarda, un voltare le spalle a tanti figli adorati per sceglierne poi solamente uno, uno degli ultimi tra l’altro, si perché l’ultima opera è sempre la migliore, non perché lo sia veramente, ma perché da quella ne puoi fare un’altra ancora, per superarla. Si può già guardare avanti, mentre ancora “l’ultima opera” non è neanche conclusa. Adagiarsi sugli allori è possibile certo, ma per qualche ora: mi piace concedermi una vacanza quando faccio un bel quadro, di un giorno, due al massimo. Tornando alle centinaia di opere in lizza stipate in diversi storage e a quelle disgraziatamente vendute, la scelta di una singola opera su tutte è caduta appunto su un quadro di quest’anno. 
Perché proprio un quadro tra tante performance, vecchi dipinti, sculture in bronzo, ceramiche, disegni, costumi, libri d’artista ecc?
Non c’è stata forse una reale selezione, quanto più una comodità nel recuperare fotografie direttamente dal telefono anziché dai polverosi archivi cibernetici, potendo così mettere a fuoco oltretutto un ciclo di opere che certamente avranno un seguito poiché la loro realizzazione dipende dalla mia volontà, non da quella di altri, come nel caso di una performance per esempio. 
Giardino di delizia, come molte mie opere, è pregno di riferimenti primitivisti. In questo dipinto, dal retaggio biblico, l’assonanza con La caduta dell’uomo e il lamento del fiammingo Hugo Van Der Goes, è molto evidente, sia nella composizione del quadro, con le figure disposte a sinistra e a destra di un albero, un palmizio per me, sia particolarmente nella presenza di un rettile dalle sembianze diavolesche.
La figura maschile di Adamo è stata volutamente esclusa dal racconto. La scena è concepita come un diorama e mostra una sorta di fondale montano, con un sentiero che taglia in due il quadro e porta quasi certamente ad una montagna dalla punta tagliata (una cava di marmo delle Alpi Apuane). La figura centrale di Eva (come in parte quella del rettile) mostra i caratteristici tratti somatici delle mie figure recenti: un naso allungato, occhi stretti, mento pronunciato, lentiggini, zigomi sporgenti, grandi labbra e una folta capigliatura. Le mani, caratteristica di forte presenza nell’ultimo ciclo di opere, con la loro plurale colorazione e la morfologia scimmiesca, sono in questo quadro (nella figura femminile) nascoste, quasi a dissimulare il furto del tanto ostentato frutto proibito. Risalta, nella figura di Eva, il seno pendente e il pube ricoperto di peluria ancestrale. Sempre si avverte un ricordo per l’iconografia dei Santi pelosi: Santa Maria Maddalena, San Giovanni Battista e Sant’Onofrio. 

Cava di marmo, Alpi Apuane

Il rettile invece, da manovratore dei fatti, mostra una concreta eccitazione nei confronti del primo essere femminile sulla Terra, mentre lei, Eva, sembra solo in maliziosa posa (una pin up) di fronte ad un pubblico altro, ignoto da sé e dal racconto. Come in un autoscatto messo in una pubblica vetrina, Eva proclama la sua nudità impura e priva di vergogna ad un mondo di spettatori anonimi, memore di una pala d’altare o di un nuovo post in attesa di compiaciuti avventori. La storia del pudore, come ho scritto per il foglio di sala dell’esposizione “Sono una bionda artificiale”, è di per sé la storia della pittura stessa, immagini bucoliche e ammiccanti come Le déjeuner sur l’herbe di Eduard Manet, hanno scandalizzato nella loro epoca, ma non per la nudità femminile in sé, quanto per la presenza dei due gentiluomini accondiscendenti. Il tema dell’Eden o del Paradiso terrestre, che dir si voglia, ha sempre messo a nudo i propri protagonisti, cioè li ha messi in scena volutamente privi di orpelli, perché puri, senza peccato. Certo, non sono mancate grandi foglie di fico o panneggi postumi a impedire la libera visione dei genitali, come per i protagonisti invece della grande volta della Cappella Sistina nei Musei Vaticani. 

Una nota sul colore. 

Ricordo che i galleristi negli anni a cavallo tra il millenovecento e il duemila intimavano ai pittori loro assistiti di dipingere quadri chiari. Tra quelli che hanno avuto la meglio all’epoca c’è stato di sicuro Victor Man, uno che dipinge praticamente quadri notturni. La luce è stata sempre l’unica direzione nella quale andare quando si dovevano scoprire i volumi delle cose. In questo senso Paul Cézanne ha aggiunto un tassello importante nella concezione dei solidi dipinti attraverso lo studio geometrico della forma e l’utilizzo del colore. Vincent Van Gogh ha tradotto la luce del sud della Francia con colori puri che ora non esistono più, come il giallo di cromo per esempio che contiene cromato di piombo, altamente nocivo alla salute. Credendo di agevolare una luminosità sempre più artificiale, in tema con la questione del diorama, ho iniziato a miscelare sulla mia tavolozza dei colori fluo, colori questi che non esistevano prima degli anni ottanta del novecento e venivano usati solo per le strade dai graffitari. Oggi è normale vedere come queste cromie acide siano entrate nell’orizzonte visivo, non solo nella segnaletica, ma nei vestiti, nei mezzi di locomozione, negli oggetti di uso comune. È banale pensare che questi colori siano un punto di forza di una tavolozza, sono solo colori di uso comune che vanno a sostituirne altri che nel frattempo sono stati eliminati dal mercato. 

Luigi Presicce, Giardino di delizia, dettaglio

Sono certo che nella mia pittura il colore conta quanto gli abiti che indosso mentre dipingo: realmente poco, si puó dipingere anche in mutande infatti, ma non si puó lasciare indietro il disegno. Tutto nasce dal disegno, dai codici del linguaggio pittorico che si sceglie di utilizzare, il disegno crea l’opera, la espone, la racconta, mentre il colore la rende solo appetibile. Non c’è, nella pittura figurativa, un messaggio che passi esclusivamente attraverso il colore, almeno che, non sia esso stesso (il colore) il messaggio, come il Blu Klein. 

Giardino di delizia ha avuto una gestazione disegnativa abbastanza lunga, non solo per le dimensioni del telaio, ma per la ricerca dei rapporti tra le due figure e tra queste e lo spazio. Nel disegno preparatorio si vedono i piedi di Eva e del rettile, mentre nel quadro questi non sono rientrati nel perimetro stabilito della tela. Questo accade quasi puntualmente e io lascio correre perché non mi piace cancellare, preferisco tenere un quadro con la scena inquadrata male piuttosto che ridisegnare tutto. Anche questo è giocare d’azzardo e non credo tutto sommato sia un errore. Un errore è tutt’altra cosa per un pittore, non saprei neanche spiegarlo, ha poco a che fare con quello che vedono gli altri, ogni pittore vede diverso anche dagli altri pittori. Quando un pittore guarda qualcosa lo fa solo e assolutamente alla sua maniera, è come pensare che la nostra visione oculare sia uguale a quella delle mosche per esempio. Avete idea di come veda una mosca? Certamente molto diverso da noi esseri umani, ma non è questa una questione di differenza di specie, solo un paragone esagerato (non troppo), su come ogni pittore vede il mondo intorno a sé e di conseguenza la propria opera. Immaginiamo un paio di occhiali che indossandoli ci facciano vedere il mondo come lo dipingeva Dalì, Picasso o Francis Bacon. Sono esempi casuali, ma significativi di una deformazione, di una devianza che solo nei loro occhi aveva ragione di esistere. Questo ovviamente vale anche per me e questo quadro, Giardino di delizia, non è solo l’ennesima immagine di un racconto biblico surreale, ma la visione, e rispettiva traduzione pittorica, di tutti gli elementi presenti nel quadro stesso, dalla montagna all’artiglio del diavolo, dal pelo pubico alla foglia della palma, dal seno cadente alle nuvole nel cielo. Guardare il mondo è per un pittore tradurre in segni tutto il visibile e quando ci si riesce anche l’invisibile.

Ha collaborato Simona Squadrito*

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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.

Hanno contribuito alla rubrica Zoe De Luca, Simona Squadrito e Irene Sofia Comi