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I (never) explain #158 – Vera Portatadino

Abitudini ed esperimenti. Sono anni che dipingo a olio, velatura su velatura.  Ho cassetti pieni di acquarelli, disegni e carboncini; opere cartacee eseguite per il solo piacere di farle, rarissimamente esposte e quasi mai diventate bozzetti per dipinti su tela. Tuttavia, nel corso dell’ultimo anno, ho sentito il desiderio di riaprire quei vecchi cassetti e contemporaneamente […]

Vera Portatadino, “Tell Me Where the Bombs will Fall”,2023, indian ink and acrylic on canvas, 24 x 30 cm

Abitudini ed esperimenti.

Sono anni che dipingo a olio, velatura su velatura.  
Ho cassetti pieni di acquarelli, disegni e carboncini; opere cartacee eseguite per il solo piacere di farle, rarissimamente esposte e quasi mai diventate bozzetti per dipinti su tela. 
Tuttavia, nel corso dell’ultimo anno, ho sentito il desiderio di riaprire quei vecchi cassetti e contemporaneamente di sperimentare metodi, tecniche e strategie nuove. 
Immagino che ogni artista conosca ciclicamente la noia e senta l’urgenza di combattere le abitudini, avventurandosi oltre.

Non si tratta mai di rinnegare se stessi, di tradire la propria identità (oggi molto spesso confusa con il concetto di brand), quanto piuttosto di un sano bisogno di nutrimento ed esplorazione. L’originale necessità di conoscere il mondo. Si viaggia, si scopre e spesso si ritorna a casa diversi.
L’estate scorsa, un amico artista, uno di quelli sicuri di sé e quindi non timoroso di condividere la propria conoscenza in fatto di materiali, mi consigliò una tipologia di pennarelli a china indiana, resistenti alla luce. Cominciai a giocare. Mi trovavo in montagna. L’erba era alta e fiorita: dopo qualche giorno sarebbe stata falciata per diventare fieno.
Ci sono rituali, parte di cicli rurali che ristabiliscono il legame indissolubile tra l’uomo e la terra che esso abita. 
Mi piace attraversare i pendii montani i primissimi giorni di luglio. Le infiorescenze delle spighe mi arrivano quasi alle spalle: manca poco affinché mi sussurrino alle orecchie.
Mi viene in mente l’estate 2020, il giardino incolto del lockdown, la natura liberata, l’assaggio di un paesaggio post-umano, ma anche pre-umano.  O, forse, l’idea di quella terra sorella cantata dall’eco-femminista Susan Griffin nel finale di Woman and Nature (The Roaring Inside Her). 
Dipinsi fili d’erba ad acquarello e poi stappai pennarelli, uno dopo l’altro, punteggiando e delineando foglioline. 
Lì in mezzo comparve la figura, un po’ primitiva. 
Partecipe – non dominante. 
Un’altra amica artista direbbe: un’erba tra le erbe.
Il disegno finito mi sembrava troppo figurativo per il genere di opere a cui ero abituata. 
Vivo da sempre questa condizione di disagio per quella pittura contemporanea che eccede nella figurazione, che dice troppo, che racconta una storia precisa confondendosi con l’illustrazione. Allo stesso tempo coltivo con passione l’amore per l’arte antica, per i volti giotteschi, per gli affreschi medievali, per i Goya e per i Rembrandt. Per i dettagli nelle pale d’altare. Sono sempre stata attratta dai due poli e ho sempre scelto di camminato sul crinale.
Così girai istintivamente il foglio. 

Ora mi sembrava più adatto. Sentivo un’assonanza. 
Diceva qualcosa di quell’esperienza, ma non svelava tutto.
Mi piaceva, lo guardavo. Ne volevo ancora. Così decisi insolitamente di trarne ispirazione per un’opera più grande. Lavoravo a una mostra presso Casa Masaccio. Il tema era perfetto. PUPILLE. CI FIORISCONO GLI OCCHI SE CI GUARDIAMO. A cura di Rita Selvaggio.
Mi venivano in mente tutti quegli sguardi che io e le erbe ci scambiavamo. 
Nel testo critico era citata la Kore dei misteri eleusini, Persefone che ritorna dall’Ade sulla terra, da sua madre Demetra, facendo fiorire il terreno al suo passaggio.

Vera Portatadino, “Tell Me Where the Bombs will Fall”, 2022, indian ink on canvas

Lo sguardo, il ciclo della natura, la maternità. 
Realizzai un’opera tessile, dipinta a china, ricamata. Feci vari tentativi.

Finché quest’estate ripresi in mano il tema, cercando un dialogo con la serie di deserti rosa e arancioni che stavo dipingendo.

Intitolai tutte le versioni “Tell Me where the Bombs will Fall” in contrasto con l’idillio botanico, quasi a presagire l’imminenza di una fine, di una violenza, di una devastazione, di un bisogno patriarcale di imporre un dominio. 

Questo esperimento fu un momento di riflessione sui temi consolidati e sugli aspetti che avrei avuto intenzione di esplorare a livello concettuale e formale: il rapporto uomo-natura, l’ecofemminismo, le specie botaniche in via di estinzione, il piacere, la caducità, la maternità, il giardino come luogo d’origine e di contemplazione, ma anche la minaccia della fine, la desertificazione, la caduta, il surriscaldamento globale e gli ipotetici paesaggi futuri, spaziando da dipinti a olio a ricami, opere tessili e pennarelli a china. 

Ha collaborato Simona Squadrito*

Per leggere gli altri interventi di I (never) explain

I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.

Hanno contribuito alla rubrica Zoe De Luca, Simona Squadrito e Irene Sofia Comi