Luoghi in cui possiamo andare per attraversare il lutto
(come sono arrivata a dipingere “10 di coppe”)
Per il mio 31° compleanno, uno dei miei amici più cari mi ha regalato un libro intitolato Dizionario dei Dolori Ignoti.1 Nell’introduzione ho scoperto che fino a poco tempo fa la parola tristezza significava “pienezza”, dalla stessa radice latina, satis, da cui derivano anche le parole saziare e soddisfare.
“Essere tristi significava essere pieni fino all’orlo di un’esperienza di una certa intensità… Era uno stato di consapevolezza, che portava l’attenzione all’infinito e ad accogliere tutto, gioia e dolore allo stesso tempo.” Oggi, quando si parla di tristezza, la si assimila a una sorta di vuoto: all’assenza di speranza, alla depressione. In un certo senso, capisco che questi dipinti riguardano una forma specifica di tristezza, che tutti noi abbiamo conosciuto o siamo destinati a conoscere. È la tristezza che chiamiamo lutto. Il lutto è un processo particolare che dobbiamo attraversare per accettare una fine. Per un certo periodo, la perdita dell’oggetto che stiamo rimpiangendo ne accentua la presenza nella nostra mente. È uno strano paradosso che la rimozione di una persona, di un luogo, o di una cosa cara nella nostra vita li faccia esistere ancora più ostinatamente. È per questo che parliamo di essere perseguitati da spettri e che l’iconografia dei fantasmi è così importante nel nostro inconscio collettivo.
Su un altro piano, questi dipinti ci parlano di pittura. Tutte le gamme di colori che si possono usare nella pittura sono lì, negli arcobaleni.
Le tazze sono come piccoli recipienti, contenitori della materia stessa della pittura. Da un’estremità all’altra il movimento delle strisce di colore disegna un arco, in un movimento infinito che si auto-rigenera. Il tutto crea un passaggio che ci invita ad attraversarlo, entrando in uno spazio che è sospeso come un miraggio davanti a noi. “10 di coppe” è un archivo di un periodo di lutto e questo testo è una testimonianza di come è nato questo dipinto.
Nel giugno 2022 ho partecipato a una residenza per artisti in Grecia. In quel periodo ero in lutto. Durante la residenza disegnavo immagini per il mio proprio gioco di tarocchi. È un progetto che riprendo e abbandono regolarmente. L’iconografia dei tarocchi è come un sottofondo per tanti dei miei progetti. Con il passare dei giorni mi sono ritrovata a disegnare soprattutto le coppe. Le coppe sono rappresentate dall’elemento dell’acqua e vengono interpretate come il seme delle emozioni. Ho disegnato le carte 1, 2, 3, 4, 5 e 10 del seme delle coppe. Ho disegnato il 10 di coppe quattro volte, in quattro diverse configurazioni. In una di queste, ho disegnato 10 tazze nere, 5 su ogni estremità del rettangolo di carta. La parte “liquida” era un doppio arcobaleno, che sgorgava da tutte le tazze e si univa in un unico enorme arcobaleno.
Il 10 di coppe è spesso interpretato come il completamento di un ciclo. Di solito è una carta gioiosa. Ci dimostra una celebrazione, un senso di pienezza.
Nel mio “10 di coppe” si riconosceva un senso di gioia e di luminosità emanato dall’arcobaleno, accompagnato da qualcosa di più misterioso e cupo, che era l’effetto dell’inchiostro nero e del passaggio creato dall’arco.
Ho sentito l’impulso di voler approfondire la composizione su tela, e in dimensioni molto più grandi. È per questo che disegnare è così importante per me: è il luogo di scoperta incensurato, che spesso porta ad idee di composizioni per opere più grandi.
Tornata a Parigi, mi sono messa subito ad elaborare questo disegno.
Ho disegnato le tazze sulla tela, poi gli archi che avrebbero rappresentato gli arcobaleni. Ho diluito i tratti a matita in modo che fossero meno lineari e più simili a macchie, delineando gli spazi dove sarebbe andata la pittura.
Dopo alcuni giorni di elaborazione di tutti questi diversi impulsi di vita e di morte, tornai in atelier. Ero finalmente pronta a finire il dipinto. Volevo che gli arcobaleni, questi magnifici archi effimeri e scintillanti, avessero essi stessi un’aura. Aure impossibili, aure oscure.
Ha collaborato Simona Squadrito*
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.
Hanno contribuito alla rubrica Zoe De Luca, Simona Squadrito e Irene Sofia Comi