Guerrero Viejo
Byron Gago
Appunti —
La ricerca legata a Guerrero Viejo è iniziata durante i due mesi trascorsi nel programma Soma Summer in CDMX, in origine ho iniziato a riflettere sull’auto-costruzione come osservazione sul territorio con un focus sull’architettura nelle zone periferiche. In questi luoghi il fenomeno è maggiormente frequente e sintomatico ed è il risultato di una condizione precaria. Mi sono concentrato sulle forme di equilibrio informali e sui materiali crudi che si manifestano nell’estetica e nei codici di una nuova urbanistica spontanea, che ha come esito la ridefinizione del modo di vivere urbano.
Successivamente il mio interesse si è spostato sulle frontiere, seguendo il flusso di ricerca di architettura come sintomo; sono emersi diversi casi legati all’explotacion e alla dislocazione. Nella frontiera con gli USA sono evidenti le influenze ed implicazioni nel territorio, in un processo di mimesi e adattamento, in cui si creano momenti di rottura e di transizione che determinano un’ambiguità e plurivocità nella cultura locale. Al centro di questa ricerca basata sull’osservazione diretta sul campo, ci sono i fatti e le implicazioni a riguardo di Antigua Ciudad Guerrero in Tamaulipas al confine col Texas.
Nonostante Antigua Ciudad Guerrero sia considerata un’area di interesse culturale, ad oggi parti del villaggio sono ancora saltuariamente allagate per via della diga internazionale Falcon che fu costruita negli anni 50’. Questo ai tempi causò un evacuazione forzata del villaggio verso il nuovo complesso urbano chiamato Nueva Ciudad Guerrero, che è situato a 50 chilometri di distanza sempre situato sulle sponde del Rio Grande, fiume che delimita il confine con gli USA.
Questo caso si presenta come un contenitore che racchiude al suo interno differenti agenti stratificati nel tempo: una colonizzazione storica da parte degli spagnoli, e una meno esplicita, quella americana. Ad oggi il villaggio risulta come residuo di una transizione legata a flussi di denaro e d’interessi internazionali, rimanendo nell’ambiguità tra sito archeologico in stato d’abbandono e luogo occupato da organizzazioni di tipo criminale.
Nella Nuova Ciudad Guerrero il modello di vita è più improntato sullo stile americano – in primis per quanto riguardo l’architettura – implicando cambiamenti profondi all’economia e al folklore, che creano anche un tipo di de-attachment emotivo in relazione all’antico villaggio. Aldilà dell’enfasi nel processo e le dinamiche con i diversi fattori, l’approccio teorico e l’uso storico delle referenze, sono in realtà stimolo per una narrativa che coinvolge aspetti personali degli abitanti che definiscono poi quella che è la coscienza ed identità collettiva.
A partire dal mio interesse per la sovrapposizione di layer appartenenti a diversi periodi storici e culture, esiste un processo di interiorizzazione e analisi che porta poi a delle derive interpretative che comportano un appropriazione e trasformazione del materiale osservato e raccolto. Questo mi permette di creare una narrativa che mette in relazione l’individuo e il contesto attraverso la mia soggettività e l’aspetto empirico dell’osservazione sul campo, anche in quanto estraneo al luogo.
Questa ricerca raccoglie diversi tipi di materiale tra cui audio-video, fotografico e di modellazione 3D. La diversità degli output ha come risultato un processo di mimesi tra il materiale raccolto e quello prodotto in un tipo di archeologia visuale, con una forte componente di fiction. Componente che emula aspetti legati all’antropologia uniti ad un’estetica forense, introducendo gli elementi su un piano aperto all’astrazione e alla decontestualizzazione dei soggetti verso derive distopiche, derive in cui è trattato il tema della memoria e le rovine in intersezione con la situazione presente.
L’obiettivo di questa ricerca riguarda anche soluzioni di display, al fine di favorire diverse forme di distribuzione che possano muovere i contenuti di immagine e testo in un nuovo rapporto. Favorendo l’espansione dei contenuti attraverso piattaforme di distribuzione autonome, sia in forma fisica che digitale per offrire nuove possibilità per contestualizzare e interpretare le immagini, così come di fruizione attraverso una relazione non gerarchica tra i contenuti.
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Le dieci pratiche artistiche scelte per questa sezione di I (never) explain sono eterogenee eppure collegate da uno specifico approccio; ognuna di esse si sviluppa tramite l’ascolto di materiali e medium, intendendoli nella loro accezione più organica, autonoma, viva. Ognuna di queste opere è il risultato di una pratica fondamentalmente alchemica, poiché definita da gesti e stratificazioni, procedendo per addizione e sottrazione, manipolando la materia fino a trasmutarla in microcosmi personali.
A cura di Zoë De Luca
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.
Dall’apertura della rubrica, tra i curatori invitati a selezionare gli artisti: Simona Squadito, Irene Sofia Comi