Inizio a dipingere.
Sono mesi che non riesco a lavorare, sto ristrutturando lo studio, viaggio avanti e indietro da Bruxelles e non ho più un luogo dove dipingere.
Da mesi ormai, 5,6,7. non ricordo bene.
Approfitto della vacanza di un amico, è Natale, e mi installo nella sua casa studio.
Non ho materiale con me; entro nel suo studio, mi siedo sulla poltrona da pittore. Libero la parete dalle sue opere molto grandi, le sposto in modo accurato fa opere anche materiche e la parete è piena di pittura.
Spazzo il pavimento e libero lo spazio per lavorare.
Insicura srotolo la tela, un lino molto sottile che trovo nello studio. Tanto a lui non piace il lino sottile mentre io lo amo,
appendo la tela al muro con le graffette, ben tesa. La accarezzo.
Ne osservo lo spazio bianco,
La gatta si siede sulle mie gambe.
Mi sembra di vedere qualcosa sulla tela e allora la disegno, sembra un ramo. L’ombra di un ramo.
Questo mi costa fatica, sono mesi che non lavoro, sono incerta, ci penso domani, ora vado a letto.
Dipingo il ramo dell’ombra con acrilico bianco su tela bianca, voglio la materia del ramo, non il ramo.
(vorrei che questi oggetti fluttuassero e si compenetrassero come diversi mondi sovrapposti l’un l’altro, come se diversi mondi potessero esistere nello stesso luogo senza essere percepiti tutti nella stessa scala percettiva).
Guardo le foto scattate a dei sassi durante alcune passeggiate sull’Adda mentre studio le immagini della natura, no non ora.
Un’asta della finestra fa la sua ombra sulla tela, la dipingo con un tratto di acrilico leggero,
poi un riflesso e faccio altrettanto.
Sembrano sospesi l’uno sull’altro.
Non so veramente come gestire l’opera, in verità non cerco di gestirla ma vorrei solo tornare a dipingere.
Ogni volta è come se fosse la prima volta.
La gatta sale sullo schienale della poltrona, si sfrega sulla mia testa e si rannicchia, fa le fusa. L’altra si siede sulle mie gambe e così non posso alzarmi.
Resto lì ed osservo.
Mi alzo e disegno un parallelepipedo, solido, deciso e ben delineato,
disegno l’idea di un oggetto.
Cerco dei colori,
trovo un grande pennello immerso in un colore nerastro molto liquido, annuso olio e trementina.
Il colore dev’essere un Bruno Van Dyck o una terra d’ombra bruciata.
Voglio un colore viscerale che mi conduca al nocciolo profondo della pittura.
Trovo un grande tubo di rosso carminio, tutto storto ma ancora pieno di colore.
Prendo la bacinella di plastica dell’insalata che ho mangiato a pranzo.
Ci spremo il colore, prendo il pennello dal liquido nero, con lo stesso sciolgo il colore.
Mi sento impacciata in questi movimenti, come se non sapessi cosa fare.
I materiali non sono miei, lo spazio nemmeno. Sono mesi che non dipingo.
Il pennello è troppo grande, faccio fatica a sciogliere il colore,
ad ogni modo lo voglio liquido dunque aggiungo olio di lino e della trementina.
Ho rovesciato un pò di colore ma nello studio del mio amico non si noterà.
Mi alzo, mi fanno male le ginocchia.
Osservo la tela con il pennello in mano.
Rimetto il pennello nella bacinella di colore appoggiandolo al muro per evitare che si rovesci.
Mi siedo e fumo.
Mi alzo
Mi risiedo.
[…]
Non son sicura
Poi mi alzo, prendo il pennello, gocciola
allora prendo sia la bacinella che il pennello
Parto dall’alto, da sinistra a destra, prima pennellata lunga ed unica,
Seconda.
Cola la prima e ci ritorno
faccio la terza, ripasso la seconda e poi la prima
la quarta, torno alla terza, e così via fino al fondo.
Sempre da sinistra a destra.
Poi dall’alto al basso.
Mi piace di più il movimento orizzontale,
riprendo a sfregare da destra a sinistra
devo continuare finché il colore si stabilizza e non cola più.
da sinistra a destra e viceversa.
tutto richiede tempo,
sono stanca e mi fa male il braccio.
Non dipingo da mesi anche a causa di una tendinite al braccio destro durata 3 mesi.
Il colore inizia ad uniformarsi ed a diventare interessante ma vedo delle linee verticali comparire sul fondo.
La parete del mio amico ha dei segni materici verticali che compaiono nel mio fondo
Devo continuare per forza altrimenti il colore cola.
ma ci sono quelle linee verticali sempre più visibili sulle quali il colore è quasi scomparso.
mi fermo quando le linee di direzione del pennello si leggono ancora leggermente ed il colore non cola più.
I segni verticali mi hanno rovinato il fondo,
sono nervosa
prendo lo straccio
dal basso, inizio a cancellare
il colore si alleggerisce ma non si cancella,
il colore ha penetrato fortemente la tela
sfrego
nulla
fa niente non era giornata.
ho le unghie piene di colore, difficile da levare.
Domani
Vado a casa a prendere alcuni colori e pennelli. Il colore deve asciugare.
Una settimana dopo.
Mi siedo. Inizio a capire di aver preso l’impronta di un oggetto sottostante alla tela,
non l’ho rappresentato ma l’ho direttamente rubato alla realtà.
questo è interessante, ci tornerò.
Gli oggetti disegnati in precedenza sono immersi nel fondo, alcuni quasi impercettibili.
Ora voglio una dimensione ulteriore
una finestra, qualcosa che emerga verso di me o che mi porti al di là.
Cerco il nero vite. Spesso veniva usato per i cieli cupi negli affreschi
sono molto affascinanti.
è un pigmento vegetale ottenuto dal carbone.
Unito al bianco da una sfumatura grigio azzurra tipico del cielo che annuncia un temporale.
E’ un colore incombente, che evoca.
Racchiudo una porzione di tela con dello scotch
dall’alto al basso sfumo il nero con del bianco di titanio
mi piace il risultato e tolgo la maschera
è proprio una finestra sull’altrove.
riesce a condurmi in una nuova dimensione di pensiero
[penso all’infinito, seduto miro interminati spazzi al di là, e il naufragar m’è dolce]*
la pittura deve asciugare.
il colore è denso e ci vuole tempo.
Osservo l’opera. Sì ora inizia a prendere questo nome.
(Come un’opera può fingere? Non la realtà ma la sua essenza nei sensi e nell’esperienza. Mi chiedo come una cosa può essere rappresentativa e non semplicemente rappresentata. La figura sta in figura d’altro e non di se stessa. Se sta per se stessa, non rappresenta nulla, semplicemente è).
Schiarisco le linee verticali per accentuarle
forse non avrei dovuto, la prossima volta non lo farò.
meglio tenerle nella loro natura casuale (causale)
disegno l’ombra del parallelepipedo che inizia a dare solidità e stabilità all’opera.
disegno un sasso, il mio solito sasso,
forse non avrei dovuto farlo, lo alleggerisco con colpetti di gomma-pane
meglio, ora pare a se stante, nel suo mondo.
Quando torno il colore è asciutto,
capisco che vorrei dipingere un corallo, proprio lì sopra alla finestra.
Ho un colore magnifico che non ho mai usato ed è proprio adatto per un corallo.
Osservo La Madonna di Senigallia di Piero della Francesca.
Delineo il corallo con una matita bianca ed inizio a dipingerlo partendo dalla parte sovrastante la finestra, quando arrivo ai bordi della finestra mi accorgo che non è necessario finire il corallo
deve restare sospeso e svanire nel fondo.
Qualcosa manca
un verde; e l’opera pende verso sinistra.
tra i colori in studio trovo un verde ossido di cromo
colore tenue delle foglioline primaverili, magari portate dal vento
mi piace molto.
Agisco d’impulso perché l’opera ha ormai preso forza.
Ho rovinato l’opera
Sono sconvolta.
Una cosa irrimediabile.
Non ha senso, sono solo macchiette di colore e non danno né la leggerezza del vento né la delicatezza delle foglie.
Trovo subito a togliere una foglia ma ovviamente è ancor peggio,
la rifaccio ma così è ancor più grande.
Arriva sera, mi alzo e vado a letto.
Arriva sera e vado a letto.
osservo a lungo
poi con la grafite disegno le ombre delle foglioline.
Bastavano le ombre alle foglioline
finalmente vedo l’opera finita.
*cit. L’infinito, G.Leopardi
Ha collaborato Simona Squadrito
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.