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I (never) explain #118 | ALMARE

UNA NECROMANZIA ADDENSATA Estratto da Una Necromanzia Sonora, Intervista con il collettivo ALMARE di Pietro Della Giustina, pubblicata nella rubrica “Universal Zombie Nation” della rivista d’arte contemporanea La belle revue #11 (2021) edita dal centro d’arte In extenso (Clermont-Ferrand, Francia). L’intervista integrale in inglese è disponibile sul sito. Uno dei temi centrali nella nostra ricerca […]

UNA NECROMANZIA ADDENSATA

Estratto da Una Necromanzia Sonora, Intervista con il collettivo ALMARE di Pietro Della Giustina, pubblicata nella rubrica “Universal Zombie Nation” della rivista d’arte contemporanea La belle revue #11 (2021) edita dal centro d’arte In extenso (Clermont-Ferrand, Francia). L’intervista integrale in inglese è disponibile sul sito.

Uno dei temi centrali nella nostra ricerca è il rapporto tra tecnologia – come interfaccia tra uomo e materia, secondo la celebre definizione di Ursula K. LeGuin – e la ricostruzione di un passato memoriale.

La Mattina del 5° Anniversario è il primo capitolo dell’audio-serie sci-fi Cronache di vita di Dorothea Ïesj S.P.U. che segue il viaggio della ricercatrice Dorothea verso la città di Baku e le sue peripezie nell’estrarre (e rivendere) suoni del passato. Prendendo spunto dall’archeologia sonora e in particolare dalle teorie dell’archeoacustica, l’opera descrive un futuro immaginario in cui il suono può essere estratto dagli oggetti e dalla materia grazie a una tecnologia chiamata ECHO (Equalized Control of Hierarchic Oscillation), debitrice diretta dell’idea a cui inneggiava Charles Sanders Peirce quando, nel 1902, affermava: «concedete alla scienza un centinaio d’anni […] e sarà in grado di scoprire che le onde sonore della voce di Aristotele si sono, in qualche modo, registrate da sé»1.

Nell’era dell’informazione, farsi tracciare è un memento mori ma anche un memento vivere, memento non tanto come monito, quanto come indicazione coatta, perché registrarsi e registrare è una condizione necessaria a esistere, un diktat imposto dall’economia della presenza. Tracciamo noi stessi per reazione: ricordati che sarai ricordato, registrati che sarai registrato.

In Breakthrough, lo psicologo Konstantin Raudive2 espone una collezione di più di 10.000 interferenze spettrali: voci di filosofi, scrittori e altri personaggi eminenti. I defunti si fanno voci di sintesi, parlano il linguaggio della macchina, «dell’automazione» (come lo definisce Luciana Parisi3), per rompere l’in-fanzia4 della morte e protrarsi in una ridondante post-vita dall’oralità inorganica. Le cosiddette EVP riportano alla vita esseri disincarnati la cui voce somiglia a librerie di autotune, apparizioni-softwares di vocaloidi che ammiccano alle attualissime voice-deepfake generate tramite AI. 

E’ interessante notare come per Raudive […] il paranormale si manifesta come “interferenza”, termine che nel vocabolario equestre indicava un incidente tra i cavalli, che si ferivano (inter-ferivano) le gambe urtandole l’una contro l’altra. 

La registrazione, come ogni tecnologia, è dunque questa interfaccia-interferenza, inter-volto e inter-ferita, che mette in contatto gli umani e la realtà circostante. Un atto maldestro e accidentale di percezione (perforazione) di una presenza nell’assenza, di una memoria nella perdita, uno scorcio-squarcio tra il mondo del sensibile e un mondo altrimenti sensibile.

In questo momento storico è rischioso parlare di contagio e viralità, ma pochi fenomeni vantano il potenziale pandemico di una hit musicale. Cercando la parola “earworm”, su YouTube emergono numerosi mashup di insopportabili ed irresistibili tormentoni.

Un earworm è un brano musicale – o un frammento di un brano – che si insinua nella mente, reiterandosi in un loop mentale che persiste oltre l’ascolto.

Goodman parla dell’earworm5 partendo dall’iconico film Decoder6, in cui il tape-terrorism, la guerrilla anti-sistemica condotta dai protagonisti, si può ricondurre alle capacità “contagiose” delle tecnologie di registrazione. Nel film, questi audio-terroristi si oppongono al regime capitalista e alla sua Muzak – strumento di cattura, dispositivo musicale “di sfondo” – per incrementare un’a-critica propensione al consumo. Al di fuori del film, le modalità con le quali ascoltiamo nel regime capitalista contemporaneo, riflettono la logica operativa del potere. Dagli anni ’80 in poi, la produzione musicale serve le logiche del tardo capitalismo e può essere ricondotta alla lezione deleuziana riguardante il passaggio dalle società disciplinari alle società del controllo. Questo è possibile grazie alla predisposizione di condizioni di ascolto continuo: «an audio virology starts from the premise of a mode of audition that is always on. As with all other continuously open network connections, the body becomes vulnerable to viral contagion»7.

L’ascolto si fa ubiquo, inevitabile, al punto che spesso non siamo in grado di distinguere la fonte dei suoni in un panorama mediale saturato. È un punto che riecheggia anche nella nostra audio-fiction: «l’orecchio è un territorio costantemente invaso […] non si può chiudere […] modellare il suono significa allora modellare l’orecchio, modellare i comportamenti sociali […] modellare il reale». Così, la necromanzia di cui parliamo è decisamente biopolitica. 

Eldricht Priest valuta la questione dell’earworm partendo da presupposti diversi, suggerendo che, nonostante sia indubbiamente una risorsa del capitalismo, è anche un agente di disturbo, di resistenza. Il frastuono onnipresente permesso dalla tecnologia ex-termina la musica8, che non ha più motivo di essere ascoltata o ricordata – è tutto fondale, spalmato e onnipresente. Con gli earworms nel timpano invece, la musica fa coincidere pienamente percezione e pensiero. Provocatoriamente, potremmo dire che l’earworm è un bug, una metastasi del sistema che ci restituisce l’esperienza dell’ascolto – nella paradossale assenza di onde e frequenze9.

¹ Charles Sanders Peirce, Reason’s Rules, Collected Papers vol. 5, 1934.
² Konstantin Raudive, Breakthrough: An amazing experiment in electronic communication with the dead, 1971.
³ Luciana Parisi, «Machine Sirens and Vocal Intelligence», nel volume AUDIT unsound:undead, Urbanomic, 2019.
⁴ La parola «infanzia» indica letteralmente l’età in cui non si sa parlare.
⁵ Steve Goodman, Sonic Warfare : Sound, Affect, and the Ecology, Massachusetts Institute of Technology Press, 2010.
⁶ Muscha, Decoder, 1984.
⁷ Steve Goodman, Ibid.
⁸ Eldritch Priest, «Earworms, Daydreams and Cognitive Capitalism», dans Theory, Culture & Society, Vol. 35, 2018.
⁹ Ken McMullen, Ghost Dance, 1983.

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Le dieci pratiche artistiche scelte per questa sezione di I (never) explain sono eterogenee eppure collegate da uno specifico approccio; ognuna di esse si sviluppa tramite l’ascolto di materiali e medium, intendendoli nella loro accezione più organica, autonoma, viva. Ognuna di queste opere è il risultato di una pratica fondamentalmente alchemica, poiché definita da gesti e stratificazioni, procedendo per addizione e sottrazione, manipolando la materia fino a trasmutarla in microcosmi personali. 

A cura di Zoë De Luca

Per leggere gli altri interventi di I (never) explain

I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.

Dall’apertura della rubrica, tra i curatori invitati a selezionare gli artisti: Simona Squadito, Irene Sofia Comi