Una cosa divertente che non farò mai più #6 fa parte dell’ultima serie di lavori prodotta. Quando iniziai a lavorare a questo gruppo di sculture stavo riflettendo sul concetto di omissione, più genericamente su come si sia evoluta la comunicazione negli ultimi tempi in relazione alla sfera intima dell’individuo. Il dialogo, ormai mostro da dispositivo multimediale, è al contempo divenuto raro, insufficiente e banale di fronte ad una fisicità tangibile. Allo stesso tempo cambiano i significati nella terminologia ed inevitabilmente anche l’importanza che si attribuisce a determinate prese di posizione.
Molto legato alla letteratura e alla poesia, il mio lavoro come artista visivo si sviluppa da sensazioni ed esperienze personali e vira inevitabilmente in componimenti che sono risultati di sottrazioni. Mi piace considerare il mio metodo come una ricerca di figure retoriche visive.
Questa scultura in particolare è nata riflettendo su di un’ossessione che si manifesta nella mia vita di tutti i giorni, uno stretto rapporto tra la riservatezza e la preservazione di affetti intimi, tra la diffidenza e la fiducia.
Penso che, al fine di un sano dialogo, ci si debba approcciare, oltre che con le parole, anche con omissioni e pensieri che completano di sensazioni visive e percettive le parole stesse.
Legandomi a queste tematiche, per quest’opera mi sono focalizzato anche su ciò che ora è considerato debolezza, più nello specifico sul termine “inclinazione”, dove la frase “essere inclini a” è concepita come preambolo per azioni fallimentari o autodistruttive, come critica della rettitudine. A tal proposito consiglio la lettura del meraviglioso saggio di Adriana Cavarero Inclinazioni. Critica della rettitudine.
Ho immaginato questa scultura come dialogo tra i materiali e due differenti temporalità: il chiaro e palese presente e l’omissione di un ricordo probabilmente alterato dal tempo. Nel caso di Una cosa divertente che non farò mai più #6 il ricordo analizzato è il prodotto di un’inquietudine interiore che a lungo andare sfocia in rabbia e allo stesso tempo è quella stessa sensazione che provoca una malinconia velata, da qui il colore.
Il ricordo viene infatti enunciato tacitamente nei dettagli di ogni scultura e viene al contempo suggerito dai materiali, grazie alla lavorazione della lastra. Le proprietà d’ossidazione dell’ottone mi hanno permesso di rievocare l’atto, attribuendogli una sua specificità materica ed in questo caso lavorandolo come fosse il ritratto dello sfogo stesso.
La scelta del materiale ha seguito passo dopo passo l’evoluzione della ricerca.
In questo caso ho scelto due materiali che potessero sintetizzare il concetto elaborato: l’ottone crudo è l’autoritratto dell’individuo che muta nel tempo. Questo materiale molto solido e riflettente ossida al contatto con l’ossigeno in primis, ma anche con l’acido rilasciato dalla pelle creando un effetto pittorico in maniera totalmente casuale, grazie alle tracce lasciate dalla lavorazione (il passaggio degli strumenti da lavoro, le impronte digitali delle persone che l’hanno maneggiata ecc.). Come l’individuo invecchia e muta nel tempo in base alle esperienze personali, ho trattato anche l’ottone, come se fosse una pagina di un racconto di se stesso, un bagaglio di esperienze che si manifesta grazie a ciò che ha vissuto durante tutto il procedimento di creazione e, in questo caso, superficie dilaniata, piegata, graffiata e percossa con una trave da ponteggio fino al raggiungimento di questa forma finale.
Il pannolenci verde acqua è stato concepito come un innesto; non copre quindi tutta la superficie dell’individuo ma ne è parte fondamentale, si insinua negli spazi, prende importanza con prepotenza.
In questo caso necessitavo di un tessuto che potesse restituire spessore e morbidezza alle linee dure dell’ottone accartocciato e maltrattato, che potesse riempirne la forma e contrastare le caratteristiche del primo materiale. Il pannolenci è un pressato di lana al 100%, molto simile al feltro, ma, a differenza di quest’ultimo, non è sintetico.
Ho investito molto tempo sulla ricerca, tra letture e bozzetti, prove sui materiali e soluzioni allestitive. Successivamente mi sono chiuso prima nel laboratorio di un fabbro a tagliare e lavorare le lastre d’ottone in base alle dimensioni e alle forme decise precedentemente e, successivamente, ho lavorato all’innesto di tessuto in studio per circa un mese.
Una volta terminata la scultura l’ho firmata utilizzando il dito, dettaglio importante perché anch’esso inerente al dialogo tra temporalità.. La firma con il tempo si farà sempre più evidente grazie al contatto tra pelle e lega metallica.
Il titolo Una cosa divertente che non farò mai più restituisce una lettura su due differenti piani: il primo è un riferimento al saggio di David Foster Wallace, dove l’autore descrive e reinterpreta attraverso un’analisi ironica una crociera extralusso. Trovavo che il titolo del saggio fosse perfetto per questa tipologia di sculture in quanto le descrizioni di Wallace procedono ovviamente a tappe (trattandosi di una crociera). Inoltre, volevo giocare con quel “non farò mai più” che si sposa perfettamente con un’analisi di ricordi inerenti ad una prima volta irripetibile. Nel testo, lo scrittore descrive minuziosamente alcuni dettagli della nave e dei passeggeri soffermandosi su materiali e colori ed immaginando una storia fittizia per ognuno di essi, questo richiamava l’esercizio proposto al pubblico, ovvero reinterpretare le caratteristiche di questa scultura in base a un bagaglio di ricordi soggettivi ed estremamente personali.
Vorrei ringraziare chi ha permesso la produzione di questa scultura, Rita Urso, il suo entourage e MSGM per il supporto tecnico.
Ha collaborato Irene Sofia Comi
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I (never) explain – ideato da Elena Bordignon – è uno spazio che ATPdiary dedica ai racconti più o meno lunghi degli artisti e nasce con l’intento di chiedere loro di scegliere una sola opera – recente o molto indietro del tempo – da raccontare. Una rubrica pensata per dare risalto a tutti gli aspetti di un singolo lavoro, dalla sua origine al processo creativo, alla sua realizzazione.